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«Te la passerai bene, ragazzo,» gli disse. «Abbi cura del vecchio Charlie e vedrai che Charlie avrà cura di te.»

«Certo, signor Charlie, certo,» disse il ragazzo cercando di mettere un'intonazione d'interesse nella sua voce. Tutta quella faccenda era nuova per lui e continuava a non garbargli molto, ma gli aveva procurato un lavoro. Sorrise timidamente.

«Ora basta,» disse Charlie dandogli un altro colpetto, più forte questa volta, perché gli lasciò un segno rosso sulla pelle bianca. «Assicurati che la porta sia ben chiusa quando esci, e chiudi il becco sul lavoro.» Charlie uscì di casa.

Per strada faceva molto più caldo di quanto si fosse immaginato e fischiò per fermare un peditaxi. Il lavoro di questa mattina avrebbe dovuto fruttargli di che pagare dozzine di taxi a pedale. Due conducenti si contesero il cliente, ma licenziò il primo perché era troppo mingherlino. Charlie aveva fretta e pesava centoventi chili.

«Empire State Building, all'entrata che dà sulla 34a Strada. E spicciati.»

«Con questo tempo?» mormorò il conducente in piedi sui pedali per mettere il veicolo in moto. «Mi volete vedere morto, generale?»

«Crepa, non m'interessa. Ti darò un D per la corsa.»

«Allora mi volete far crepare di fame? Con un dollaro non andrete oltre la Quinta Avenue.»

Litigarono per quasi tutto il percorso, mentre serpeggiavano nelle vie affollate, gridando per sentirsi l'un l'altro al di sopra del rumore cittadino, al quale erano talmente abituati che non lo notavano più.

A causa delle restrizioni di corrente elettrica e perché non esistevano più pezzi di ricambio, un solo ascensore faceva servizio nell'Empire State Building e saliva sino al 25° piano soltanto. Poi si andava a piedi.

Charlie salì due altri piani e fece un cenno al gorilla seduto ai piedi delle scale che portavano al piano seguente. Era già stato in quel luogo altre volte e l'uomo lo conosceva, come pure gli altri guardiani in capo alle scale. Uno di essi gli aprì la porta.

Il giudice Santini somigliava a un profeta del Vecchio Testamento, per i capelli bianchi, lunghi fino alle spalle; ma non per il linguaggio.

«Sterco, ecco cos'è. Sterco! Io pago un capitale per avere un po' di farina e farmi un piatto di pastasciutta, e tu che ne fai?» Respinse schifato il piatto di spaghetti e si asciugò il sugo dalle labbra con un grande tovagliolo che si era infilato nel collo della camicia.

«Ho fatto del mio meglio,» ribatté sua moglie gridando. Era piccola e bruna, aveva vent'anni meno di lui. «Se volevi la pasta fatta in casa, dovevi sposare una contadina dei tuoi paesi con i piedi piatti e i baffi. Io sono nata qui, come te, in città, a Mulberry Street, e so solo che gli spaghetti si comperano dal droghiere e…»

Lo squillo acuto del telefono interruppe il flusso del suo discorso e la zittì immediatamente. Guardarono entrambi l'apparecchio sullo scrittoio, poi lei voltò le spalle e uscì in fretta dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé. Non vi erano molte chiamate in quei giorni e quelle poche che arrivavano erano sempre importanti e concernevano affari che lei preferiva non sentire. Rosa Santini godeva di tutti gli agi e i piaceri della vita, e meno sapeva sugli affari del giudice Santini, meglio era per lei.

Il giudice si alzò in piedi, si asciugò la bocca di nuovo e posò il tovagliolo sulla tavola. Non si affrettò (no di certo, alla sua età!) ma neanche indugiò. Si sedette alla scrivania, prese un notes nuovo per gli appunti, la penna stilografica, e afferrò il telefono. Era un vecchio apparecchio spaccato in diversi punti e tenuto insieme da nastro adesivo. Il cavo era sfilacciato e quasi rotto.

«Pronto. Santini…» disse, e ascoltò con attenzione. I suoi occhi si dilatarono: «Mike? Big Mike? Dio mio!» Dopodiché non disse altro, solo “sì” o “no”, e quando riattaccò gli tremavano le mani.

«Big Mike» disse il tenente Grassioli, quasi sorridente. Neanche una fitta ammonitrice della sua ulcera riuscì a deprimerlo, come faceva di solito. «Bel lavoro. Qualcuno si è proprio guadagnato la giornata.» Il cacciacopertoni macchiato di sangue era posato sul suo tavolo e lo ammirò come se si trattasse di un'opera d'arte. «Chi è stato?»

«Con molta probabilità si è trattato di un furto con scasso andato male,» disse Andy in piedi davanti al tavolo. Lesse gli appunti del suo blocco, riassumendo brevemente i particolari più significativi. Quando ebbe finito, Grassioli brontolò qualcosa e indicò le tracce di polvere per le impronte sull'impugnatura del cacciacopertoni.

«E questo? Come sono le impronte?»

«Molto chiare, tenente. Pollice e tre dita della mano destra.»

«Qualche probabilità che l'abbia fatto fuori la ragazza, o il suo gorilla?»

«Una possibilità su mille, signore. Nessun motivo valido. Egli li manteneva entrambi, e parevano molto afflitti. Non per lui, penso, ma perché perdevano il posto.»

Grassioli ripose il ferro nel sacchetto e lo porse nuovamente a Andy. «Questo basta, per ora. Un nostro fattorino andrà al Comando Polizia Criminale la settimana prossima; quindi manderai le impronte e una breve relazione sui fatti. Scrivi la relazione sul dorso della cartolina delle impronte, siamo solo al dieci del mese e abbiamo quasi esaurito la nostra razione di carta. Dovremmo anche prendere le impronte della ragazza e della sua guardia del corpo, e mandarle insieme a quelle. Ma accidenti, non c'è tempo. Pazienza. Metti agli atti e dimenticatene. Torna al tuo lavoro.»

Mentre Andy prendeva un appunto sul suo blocco, il telefono squillò. Il tenente alzò il microfono. Andy non prestò attenzione alla conversazione e si era già avviato per uscire quando Grassioli coprendo il microfono con la mano lo richiamò. «Torna indietro, Ruschi» e riprese ad ascoltare attentamente il suo interlocutore.

«Sissignore, benissimo» disse. «Non vi è dubbio che sia stato un tentativo di furto con scasso, l'uccisore ha poi usato lo stesso arnese per farlo fuori. Un cacciacopertoni appositamente affilato.» Ascoltò ancora un momento poi diventò tutto rosso. «Nossignore, non possiamo. Cos'altro potevamo fare? Sì, all'ordine del giorno in permanenza. Nossignore. Benissimo, signore. Assegnerò un investigatore a quel caso.»

«Figlio d'un cane,» disse il tenente, ma solo dopo che ebbe riattaccato il ricevitore. «Hai sbagliato tutto con questo caso, Rusch. Ora torna indietro e vedi di rimettere le cose a posto. Cerca di scoprire come ha fatto l'assassino a introdursi nell'edificio, e se veramente si è trattato di effrazione. Prendi le impronte di quei due sospetti. Manda un fattorino all'archivio criminale con tutte le impronte perché siano esaminate. Voglio sapere tutto dell'assassino, se è schedato. Muoviti.»

«Non sapevo che Big Mike avesse degli amici.»

«Amici o nemici, non m'importa una cicca. Ma qualcuno ci pungola affinché si trovi il colpevole. Quindi sbrigatela il più presto che puoi.»

«Da solo, tenente?»

Grassioli mordicchiò l'estremità della sua penna stilografica.

«No, voglio un rapporto al più presto. Prendi Kulozik con te.» Ruttò dolorosamente e allungò il braccio in fondo al cassetto per prendervi le pillole.

Le dita dell'investigatore Steve Kulozik erano tozze e spesse, e parevano a prima vista prive di agilità. Al contrario erano svelte ed esperte. Egli teneva con la giusta pressione il pollice di Sbirl e lo premeva sulla lastra di ceramica bianca, lasciando un'impronta nitida e senza sbavature, nel quadrato segnato “pollice destro”. Poi, una per una, premette le altre dita sul tampone d'inchiostro poi sulla piastrella, finché ebbe riempito tutti i quadrati.

«Mi volete dire come vi chiamate, signorina?»

«Shirl Greene, con la e finale.» Si guardò le dita macchiate d'inchiostro nero. «E con queste impronte cosa sono diventata, ora, una criminale? Una persona schedata?»