«Sono le due passate, è meglio che vada.»
«Non volete un altro po' di kofee, prima?» gli chiese Shirley.
«No, grazie.» Finì la sua tazza e la ripose con cura sul piattino. «Tornerò in mattinata, se non vi disturbo.» Si avviò alla porta.
«In mattinata va bene,» gli rispose Shirl porgendogli la mano, «e grazie per essere rimasto qui questa sera.»
«Sono io che vi ringrazio dell'accoglienza, e ricordate che non avevo mai assaggiato il whisky prima d'oggi.»
L'intenzione era di stringerle la mano, dirle buonasera e basta. Ma per chissà quale ragione se la ritrovò fra le braccia, con il viso nei suoi capelli soffici e le mani sulla pelle vellutata della sua schiena. Quando lui la baciò lei gli restituì il bacio con tale ardore che Andy seppe subito che tutto andava bene.
Alcune ore dopo, disteso sul vasto letto, Andy sentiva al suo fianco il contatto di quel corpo tiepido, e sulla guancia il soffio lieve del suo respiro. Il ronzio del condizionatore conferiva serenità alla notte, perché copriva, o attutiva, ogni altro rumore. Aveva bevuto troppo, se ne rendeva conto, e sorrise fra sé nel buio. E con questo? Se fosse stato sobrio non sarebbe mai finito lì, dov'era adesso. Forse al mattino si sarebbe pentito dell'accaduto, ma per ora sentiva che quella cosa era la più bella che gli fosse mai capitata. Tentava di provare rimorso ma non vi riusciva. Appoggiò la mano con gesto possessivo sulla spalla della ragazza e lei si mosse nel sonno. Le tende non erano del tutto chiuse e nel loro spacco egli vedeva la luna, distante e amica. «Va tutto bene,» si disse, «va tutto bene,» e continuò a ripeterselo mentalmente.
Il chiarore della luna penetrava dalla finestra aperta, come un occhio indagatore, come una torcia nella notte densa, irrespirabile. Billy Chung aveva dormito qualche ora al principio della notte. Ma poi uno dei gemelli aveva avuto un incubo e lo aveva svegliato. Dopodiché era rimasto sveglio. Se quell'uomo non fosse stato nel bagno… Billy si rotolava qua e là con la testa, mordendosi il labbro, sentendo il sudore colargli per il viso. Non era venuto per ucciderlo, no; ma ora che era morto non gliene importava niente. Era per sé che tremava. Che cosa sarebbe successo se l'avessero preso? E di certo avrebbero finito per trovarlo. La polizia era fatta per quello. Avrebbero ritirato il ferro dalla tempia del morto, l'avrebbero portato in laboratorio, trovato l'uomo che glielo aveva venduto… La sua testa si agitava da una parte e dall'altra del guanciale già bagnato, e un gemito, bassissimo, fischiava fra i suoi denti stretti.
CAPITOLO NONO
«Non si può dire che ti sia fatto bene la barba, Rusch,» disse Grassioli con il suo tono di voce abituale, cioè irritato.
«Non me la sono fatta per niente, tenente,» rispose Andy, alzando gli occhi dalla pila dei rapporti accumulati sul tavolo. Il tenente lo aveva visto mentre passava dall'ufficio indagini all'ufficio impiegati. Andy sperava di firmare il cartellino e lasciare l'ufficio senza incontrarlo. Trovò una rapida scusa. «Sto seguendo certi indizi a Shiptown, ci vado oggi pomeriggio e non vorrei dare nell'occhio. Non credo che esista neppure un rasoio in tutto quel quartiere.» La scusa era coerente. Per la verità era uscito tardi da Chelsea Park e non aveva avuto il tempo di radersi.
«Ah, sì? Che novità ci sono?»
Andy sapeva che era inutile ricordare al tenente che l'inchiesta gli era stata affidata solo nel pomeriggio di ieri.
«Ho un indizio concreto che si riferisce al caso.» Sì guardò in giro, ma non vi era nessuno che potesse sentire, e continuò a bassa voce: «So il perché delle pressioni sulla polizia.»
«Cioè?»
Il tenente guardò le fotografie di Nick Cuore e dei suoi compagni mentre Andy spiegava il significato del cuore disegnato sulla finestra e l'identità delle persone interessate all'omicidio.
«Benissimo,» disse Grassioli quand'ebbe finito. «Non parlare di queste cose nei tuoi rapporti, a meno che vi sia un indizio chiaro contro Cuore. Però riferiscimi tutto. Ora vattene, hai sprecato fin troppo tempo qui dentro.»
Il caldo batteva ogni primato precedente. I giorni passavano ma la temperatura non calava. Per strada sembrava di vivere in una vasca di aria calda, nauseabonda, immota, e così piena di lezzo dei rifiuti, del sudore umano e della putredine in generale, che non si poteva quasi respirare. Eppure per la prima volta da quando era incominciato il caldo, Andy non lo notò. La notte precedente gli era presente alla memoria in maniera prepotente, eppure così incredibile, che non riusciva a cacciarla dalla mente. Aveva tentato, aveva anche del lavoro da smaltire; ma il viso di lei e il suo corpo facevano capolino dai margini della sua memoria. Nonostante il caldo, provava di nuovo quella sensazione di calore per tutto il corpo. Non si poteva andare avanti così. Batté il pugno destro nel palmo della mano sinistra e sorrise vedendo lo sguardo meravigliato della gente vicina a lui in quella folla. Aveva del lavoro, tanto lavoro da sbrigare prima di poterla rivedere.
Voltò nel vialetto che correva fra le due file di autorimesse chiuse, dietro Chelsea Park, fra questo edificio e il bordo del fossato, e che portava all'ingresso di servizio. Udì alle sue spalle un frastuono di ruote e si fece da parte con un balzo per lasciare il posto a un enorme rimorchio di camion che pareva uno scatolone montato su ruote, guidato da due uomini che lo trainavano. Erano piegati in due e non si curavano di null'altro che di tirare. Passando a pochi passi da lui, Andy vide che le cinghie del traino tagliavano il collo e scavavano ferite inguaribili nelle loro spalle, ulcere che macchiavano di pus la loro camicia.
Andy camminò lentamente dietro il rimorchio e si fermò quando non fu più in vista dell'ingresso. Poi si chinò sul bordo del fossato. Rifiuti e sporcizia si accumulavano sul fondo di cemento, e fra i blocchi del muro si vedevano larghi anfratti nei punti dove il cemento era caduto. Non era difficile arrampicarsi su quel muro a notte fatta. Di lampioni vicini, neanche uno. Anche di giorno chi volesse introdursi nel palazzo sarebbe stato veduto solamente se qualcuno avesse guardato fuori dalle finestre più vicine.
Nessuno lo notò quando si lasciò cadere dall'orlo del fossato e si mise a camminare lentamente sul fondo. Era come entrare in un forno, con i muri alti che trattenevano e riverberavano il caldo. Cercò di non badarvi e camminò lungo il muro interno finché trovò la finestra con il cuore segnato nella polvere. Era facile da individuare e lo era probabilmente anche di notte. Vi era un cornicione proprio sotto la fila delle finestre della cantina e vide che avrebbe potuto facilmente accedervi. Era largo abbastanza per starvi in piedi. Sì, era fattibile forzare una finestra stando in quel punto, e l'omicida doveva essersi introdotto nell'edificio proprio così. Il sudore gli colava dal mento e cadeva sul cemento del cornicione, lasciandovi piccole macchie scure. Il caldo lo stava soffocando.
«Ma che cosa credete di fare, lì sopra? Vi romperete il collo!» gli gridò una voce, e lui si raddrizzò, guardò in alto verso il ponte levatoio che attraversava il fossato, e vide il portiere che alzava un pugno minaccioso. Egli riconobbe Andy e la sua voce mutò immediatamente. «Scusate, non vi avevo riconosciuto, signore. Posso fare qualcosa per aiutarvi?»
«Sì, tiratemi fuori di qui. C'è qualche finestra che si possa aprire?»
«Sì, andate avanti un pochino, ce n'è una sulla vostra destra, che dà nell'atrio.» Il portiere scomparve e poco dopo la finestra in questione si aprì e apparve il suo faccione.