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Erano rimasti solamente i più robusti degli arredi nautici: un tavolo da carteggiare metallico, saldato alla parete; il telegrafo di macchina; la ruota del timone dalla quale mancava la metà delle caviglie. Billy aprì con cautela il pacchetto di droga sul tavolo nautico e infilò il dito nella polvere grigia appena visibile nella luce delle stelle. Come la chiamavano? L. S. D. ? Qualunque cosa fosse era comunque venduta in polvere, per questo forse la chiamavano “sporcizia”, come la polvere comune. Anzi mescolavano la polvere comune alla droga per allungarla. Bisognava prenderla così com'era, sporcizia e droga insieme, per ingerire abbastanza L. S. D. da sentirne gli effetti. Aveva osservato Sam-Sam e altri ragazzi dei Tigers quando fiutavano la droga, ma lui non lo aveva mai fatto. Come facevano? Alzò l'involtino di plastica, se lo tenne sotto il naso, tappandosi una narice col pollice, ed aspirò con forza. L'unica sensazione che avverti fu un tremendo pizzicore, e si chiuse il naso con due dita per non starnutire e spargere tutta la polvere. Quando l'irritazione cessò aspirò il resto della polvere con l'altra narice e gettò il pezzetto di plastica in terra.

Non provava niente, assolutamente niente, il mondo era come prima e Billy capi di essere stato imbrogliato. Due dollari buttati via, gettati al vento, per niente. Si chinò fuori del finestrino senza vetri e senza riquadro, e le lacrime si mescolarono al sudore del viso. Pianse e pensò per un po' a quella truffa, e si disse che per fortuna era buio e nessuno poteva vederlo piangere, lui, un ragazzo di diciotto anni. Sotto le sue dita le irregolarità del metallo nell'apertura della finestra, parevano al tatto valli e montagne in miniatura. Ruvide, lisce, dure, morbide. Si appoggiava alla finestra, lasciava scorrere le dita e il godimento tattile gli procurava fremiti di piacere lungo la spina dorsale. Come mai non lo aveva notato prima? Si chinò e leccò con la lingua il metallo. Il sapore insieme dolce, acido, metallico e sporco era stupendo e quando con gli incisivi toccò il ferro, gli parve di aver staccato con un morso un pezzo della lamiera grande quasi come la metà del ponte di comando.

Il fischio di un piroscafo riempì il mondo col suo lamento, da qualche parte, laggiù sul fiume, o qui vicino; capì che era assai più d'un fischio, era musica, acuta, bassa, che lo circondava e spalancò la bocca per assaggiarla meglio. Chi era stato, il suo piroscafo, a fare quel fischio? Gli scuri profili delle traverse, degli alberi, dei cavi e dei fumaioli, antenne, bozze, stragli, barche si muovevano intorno a lui, creando forme oscure, danzanti contro l'altra oscurità, quella del cielo. Salpavano tutti, naturalmente, lui l'aveva sempre saputo che sarebbero salpati un giorno, e il momento era venuto. Diede ordini in macchina e prese il timone. Le caviglie di legno erano così tornite, così adatte al palmo. Parevano membri turgidi, uno per mano! Voltò, sterzò, e portò la nave nella ondeggiante foresta di scheletri neri.

Anche l'equipaggio si dava da fare. Bravo quell'equipaggio! Gli ordini, lui li sussurrava perché quella gente era così in gamba da comprendere i suoi ordini anche se li pensava, senza pronunciarli. Si asciugò il naso umido. Erano tutti sotto coperta e facevano tutte le cose ben fatte che fa un buon equipaggio mentre lui, di sopra, guidava la nave per loro. Anch'essi sussurravano mentre faticavano, e due di loro, proprio sotto il ponte di comando, si chinavano a parlare. Bill ne udì uno che diceva: “Tutti al loro posto?”, cosa piacevole da udire, e l'altro rispondeva: “Sissignore”, e anche questo era piacevole. E vedeva al buio i suoi uomini numerosi sui ponti, altri sulle passerelle, altri che scendevano. Nelle sue mani il timone era grande e solido, e lui continuava a muoverlo di qua e di là, guidando la sua nave fra le altre navi.

Luci. Voci. Di sotto. Gente. In coperta.

«Non è nell'alloggio, tenente.»

«Quel porco è scappato quando vi ha udito arrivare.»

«Forse, signore, ma avevamo disposto degli uomini ai boccaporti e sulle scale. E anche ai punti di collegamento con le altre navi. Dev'essere ancora a bordo. Sua madre dice che è andato a letto alla stessa ora degli altri.»

«Trovatelo, allora. Avete metà dell'effettivo a disposizione per prendere un solo ragazzo. E dunque prendetelo!»

«Sissignore.»

Prenderlo? Prendere chi? Ma lui, perbacco! Prendere lui. Capiva ora chi era quella gente, di sotto, polizia, e lo cercavano. Lo avevano individuato nel modo che lui aveva sempre intuito. Ma non voleva andare con loro. Non ora, che si sentiva così! Era forse la polvere che gli dava quella sensazione? Polvere meravigliosa! Si sarebbe dovuto procurare dell'altra polvere. Non sapeva molte cose, una di queste cose era che i poliziotti non avevano o non vi davano la polvere. Niente polvere?

La ringhiera scricchiolò, dei passi pesanti risuonarono sulla scaletta che portava al ponte di comando. Billy saltò sul tavolo nautico e, attraverso un finestrino, passò dall'altra parte, allungò le braccia, si appese, si arrampicò e si tirò fuori. Era facile. Ed era anche piacevole.

«Che porco!» disse una voce, molto più forte, fuori della finestra sottostante. «Non è qui, tenente.»

«Continuate a cercare. Andate dappertutto. Dev'essere da qualche parte.»

L'aria notturna era tiepida e mentre correva gli sembrava fosse abbastanza densa da reggerlo. Forse avrebbe potuto passare così, a volo, sull'altra nave? Si trovò a un tratto vicino al fumaiolo e questa gli sembrò una soluzione migliore. Delle sbarre di ferro tondo, imbullonato alla lamiera, da un lato del fumaiolo, formavano una scaletta, e lui vi si arrampicò.

«Non avete sentito nulla, lassù?»

Ancora un gradino e fu in cima. L'ampia bocca spalancata, ovale del fumaiolo era nera, contro l'oscurità più nera ancora della notte. Non poteva andare oltre, tranne dentro il fumaiolo. Avanzò una mano nel vuoto, il suo piede scivolò, per un minuto tentennò poi cadde all'interno della galleria scura e la sua mano incontrò una sbarra interna, ruvida, arrugginita, coperta di grasso e scaglie. Si arrampicò sulla sbarra e si accovacciò a mezzo, la mano aggrappata sull'orlo metallico del fumaiolo. Guardò le stelle. Le poteva notare ora, perché le voci non erano più che un mormorio distante come le onde, ed era la prima volta che vedeva delle stelle come quelle. Erano forse stelle nuove? Avevano ognuna un colore diverso, colore che non ricordava di aver visto prima. Gli vennero i crampi nelle gambe, e le mani che si aggrappavano al metallo si intorpidivano. Non poteva più resistere. Sarebbe caduto in fondo a quel tunnel senza fine sotto di lui. Quel nascondiglio non era stato la buona soluzione che gli era parsa prima. Con supremo sforzo raddrizzò le gambe e strisciò oltre l'orlo metallico del fumaiolo, e trovò la scaletta che permetteva di salire sulla superficie liscia del metallo pitturato.

Per uno che è nato su una nave, che vive su una nave, è un mondo altrettanto normale di quello fatto di strade, o qualsiasi altro. Billy sapeva che a prora, arrampicandosi oltre la ringhiera, e lasciandosi penzolare, si poteva saltare sulla poppa di un'altra nave ancorata contro di essa. E vi erano altri modi di passare da una nave all'altra evitando le passerelle e le scale, e li sapeva adoperare, anche nel buio, senza difficoltà, per raggiungere la riva. Vi era quasi arrivato, quando si rese conto che i piedi gli dolevano nel punto dove avevano strisciato su una manichetta di acciaio arrugginita e si era riempito la pianta dei piedi di schegge di metallo acuminate. Si sedette, e nel buio tentò di sfilarne alcune, al tatto. Mentre era lì seduto, appoggiato alla ringhiera, gli vennero i brividi.