«Mettete giù quelle cose,» gridò, ma prima che potesse acciuffarli avevano già assaggiato le erbe e le sputavano, delusi.
«Brucia la lingua!» urlò il maggiore dei maschietti e buttò il contenuto del pacchetto sul pavimento. L'altro ragazzo si mise a saltellare dalla contentezza e fece la stessa cosa con il resto delle erbe. Scansarono l'arrivo di Andy e prima che li potesse fermare, il pacchetto era svuotato.
Appena Andy ebbe voltato le spalle, il ragazzetto, ancora tutto eccitato, si arrampicò sul tavolo dove le sue scarpe imbrattate lasciarono impronte di sporcizia, e aprì la televisione. Una musica a tutto volume sovrastò gli urli dei bambini e i richiami inefficaci della madre. Tab trattenne per il braccio Belicher che apriva il guardaroba per vedere che cosa c'era dentro.
«Fate uscire i bambini fuori di qui,» disse Andy, pallido di rabbia contenuta.
«Io ho un mandato d'alloggio, ho la legge per me,» gridò Belicher indietreggiando di qualche passo e sventolando il quadrettino di plastica stampato.
«Me ne infischio dei diritti che avete o no,» disse Andy, aprendo la porta del corridoio. «Ne parleremo appena avrete fatto uscire questi ragazzi.»
Tab sistemò la cosa afferrando per la collottola il ragazzo più vicino e spingendolo fuori della porta. «Il signor Rusch ha ragione,» disse, «i ragazzi possono aspettare fuori mentre regoliamo la questione.»
La signora Belicher si lasciò cadere di peso sul letto e chiuse gli occhi, come se la faccenda non la riguardasse minimamente. Il signor Belicher indietreggiò verso il muro, dicendo qualcosa che nessuno senti o si preoccupò di sentire. Sì udivano degli strilli e dei singhiozzi rabbiosi nel corridoio quando l'ultimo dei ragazzini venne buttato fuori.
Andy si guardò intorno e vide che Shirl si era rifugiata nella loro camera. Udì la chiave girare nella serratura. «Presumo non ci sia nulla da fare,» disse guardando fermamente Tab.
Il gorilla alzò le spalle, desolato. «Mi dispiace, Andy, vi giuro che mi dispiace. Ma che posso fare d'altro? È la legge, e se loro vogliono stare qui, non potete far niente.»
«È la legge, è la legge,» ripeteva Belicher, facendo eco.
Non vi era nulla da fare. Andy aveva stretto i pugni e si dovette far forza per riaprirli. «Tab, aiutami a portare queste cose nell'altra stanza, vuoi?»
«Certamente,» disse Tab. E prese l'altra estremità del tavolo. «Cercate di spiegare a Shirl la mia parte in questa faccenda, vi spiace? Non credo possa comprendere che questo è il mio lavoro e che sono costretto a farlo.»
I loro passi scricchiolavano sulle erbe aromatiche sparse sul pavimento e Andy non gli rispose nemmeno.
CAPITOLO DECIMO
«Andy, devi far qualcosa, quella gente mi fa impazzire!»
«Pazienza, Shirl, non è poi così terribile,» disse Andy. Era in piedi su una sedia e svuotava un bidone d'acqua entro il serbatoio a muro. Voltandosi per rispondere a Shirl aveva lasciato cadere un po' d'acqua sul pavimento. «Lasciami finire questo lavoro, poi discuteremo.»
«Io non voglio discutere, io ti dico ciò che sento. Ma ascoltali un po'…»
I rumori pervenivano chiarissimi attraverso la leggera paratia. Il bimbo più piccolo piangeva, non cessava mai di piangere, notte e giorno. Per poter dormire Andy e Shirl dovevano mettere dei tappi di cera negli orecchi. Gli altri litigavano ignorando completamente il gemito acuto del padre che si lamentava. Per peggiorare le cose, uno dei ragazzi picchiava ritmicamente sul pavimento con qualcosa di pesante. La gente dell'appartamento sottostante sarebbe tornata a lamentarsi. Senza nessun risultato, comunque. Shirl sedeva sull'orlo del letto, torcendosi le mani.
«Ma lo senti, quel baccano?» disse. «Non cessa mai. Io non so come facciano a vivere così. Tu non sei mai in casa e quindi il peggio non lo senti. Non possiamo farli andar via in qualche modo? Ci deve pur essere qualcosa da fare.»
Andy finì di svuotare il bidone e scese dalla sedia, facendosi strada nella stanza ora stipata di mobili. Avevano abbandonato il letto di Sol e il suo guardaroba, ma il resto era stato portato nella loro stanza e non c'era un palmo di spazio libero sul pavimento. Si lasciò cadere di peso sulla poltrona.
«Ho tentato, tu sai bene che ho tentato. Due degli agenti di pattuglia che ora vivono in caserma, sono disposti a installarsi qui appena riusciamo a cacciare i Belicher. Questa però è la parte più ardua. Hanno la legge per loro.»
«C'è forse una legge che ci obbliga a sopportare gente come quella?»
Si stringeva le mani, disperata, contemplando la parete divisoria.
«Senti Shirl, non possiamo parlarne in un altro momento? Io tra poco devo uscire…»
«No, ne parliamo subito. Tu hai sempre rimandato, da quando quelli sono arrivati, cioè da due settimane, e io non posso più aspettare.»
«Andiamo, andiamo! Non è poi così terribile. È soltanto rumore.»
La stanza era molto fredda. Shirl tirò su le gambe e si avviluppò nella vecchia coperta. Le molle del letto stridettero sotto il suo peso. Vi fu un momentaneo silenzio nell'altra stanza, che terminò con una risatina super-acuta.
«Ma li senti?» chiese Shirl. «Ma che razza di mentalità ha quella gente? Ogni volta che sentono scricchiolare il letto nella nostra stanza scoppiano a ridere. Non siamo mai soli, neanche un po'. Quella parete divisoria è leggera come la carta, e loro ascoltano tutto ciò che facciamo, sentono ogni nostra parola. Se loro non possono andarsene, non possiamo traslocare noi?»
«Dove? Su, su, un po' di buon senso, Shirl. Riteniamoci fortunati di avere almeno questa stanza per noi. Sai quanta gente c'è ancora che dorme per le strade, e quanti morti di freddo si raccolgono ogni mattina?»
«Non m'importa un bel niente. È di me stessa, della nostra vita che mi preoccupo.»
«Ti prego, non ora.» Alzò lo sguardo verso la lampada che sfarfallava e diminuiva d'intensità, e che poi si riaccese. Si udì un'improvvisa gragnuola di grandine sulla finestra. «Ne riparleremo quando torno. Non starò via molto.»
«No, voglio sistemare le cose subito, non hai fatto altro finora che rimandare la questione. Non hai alcun bisogno d'uscire adesso.»
Staccò il suo cappotto trattenendo la collera.
«Puoi attendere almeno fino al momento in cui tornerò. Ti ho detto che avevamo finalmente sentito parlare di Billy Chung… un informatore ha detto di averlo visto uscire da Shiptown. C'è da pensare che egli sia stato a casa sua. È una notizia già vecchia di quindici giorni, ma sul momento l'informatore non l'aveva giudicata abbastanza importante per riferircela. Sperava probabilmente di veder tornare il ragazzo, ma quello non si è più fatto vivo. Devo parlare con i suoi e vedere un po' che cosa ne sanno.»
«Tu non hai nessun bisogno di andarci ora. Tu stesso hai detto che la cosa è successa molto tempo fa…»
«E che importa? Il tenente vuole un rapporto domattina, e che cosa gli dico? Che tu non volevi lasciarmi uscire stasera?»
«Quello che gli dirai non m'interessa.»
«Lo so benissimo. Ma interessa me, è il mio lavoro e lo devo svolgere.»
Si lanciarono un'occhiata di sfida, senza parlare, col respiro rapido. Di là dalla parete si udì uno strillo acuto e un bambino si mise a singhiozzare.
«Sturi, io non voglio litigare con te,» disse Andy. «Io ora devo uscire, non ti posso dire altro. Ne riparliamo più tardi, quando torno.»
«Ammesso che tu mi trovi ancora qui quando torni.» Stringeva i pugni ed era impallidita.
«Cosa vuoi dire?»
«Non lo so. Io so soltanto che qualcosa deve cambiare. Ti prego, sistemiamo la cosa subito…»