Il ragazzo urlò e Billy sentì in quell'istante un dolore atroce nell'orecchio. L'altro gli aveva appioppato un pugno e l'aveva preso in pieno. Vacillò, si mostrò sorpreso, ma non cercò di difendersi.
«Benissimo, Roles,» disse il signor Burgger con disgusto. «Qui hai finito di lavorare. Sparisci.»
«Ma, signor Burgger,» piagnucolò, infelice, «voi non sapete che questo cinese…»
«Fuori!» Il signor Burgger si alzò a mezzo, ansante, l'indice puntato sul ragazzo. «Fuori!»
Billy si mise da un lato, inosservato e dimenticato per il momento, furbo abbastanza per non sorridere. Il ragazzo fu finalmente convinto che non poteva fare più nulla e uscì, dopo aver gettato un'occhiata velenosa a Billy, mentre il signor Burgger scarabocchiava qualcosa su una lavagnetta.
«E va bene, ragazzo. A quanto pare hai trovato un lavoro. Come ti chiami?»
«Billy Chung.»
«Noi paghiamo cinquanta cents per ogni telegramma recapitato.» Si alzò e andò al banco, tenendo la lavagnetta in mano. «Tu esci a consegnare un telegramma e lasci dieci dollari di deposito. Quando riporti la tavoletta ti riprendi i dieci dollari più cinquanta cents. Chiaro?»
Pose la tavoletta sul bancone fra loro due continuando a guardarla. Billy vi lanciò un'occhiata e vide scritte col gesso le parole: quindici cents a me.
«Per me va bene, signor Burgger.»
«D'accordo.» Col polso cancellò la scritta. «Vai sulla panca, non far rumore, non litigare, non provocare guai, o farai la fine di Roles.»
Quando sedette, i ragazzi lo guardarono sospettosi, ma tacquero.
Dopo alcuni minuti un ragazzino molto scuro, ancora più basso di lui, si chinò e gli mormorò: «Quanto ti ha chiesto, di tangente?»
«Che vuoi dire?»
«Non fare il tonto, o glieli molli o non lavori qui.»
«Quindici.»
«L'avevo detto che ci sarebbe arrivato,» sussurrò ferocemente un altro ragazzo. «L'avevo detto che non si sarebbe accontentato di dieci cents…» Tacque improvvisamente quando l'impiegato guardò nella loro direzione.
Dopodiché la giornata si dipanò con calda regolarità e Bill fu lieto di rimanere seduto a far niente. Alcuni dei ragazzi recapitarono telegrammi, ma lui non fu mai chiamato. Le polpette di soia e lenticchie gli stavano come piombo sullo stomaco, e per due volte dovette recarsi al gabinetto scuro e puzzolente situato dietro l'edificio. Fuori, per la strada, le ombre si allungavano, ma vi era sempre nell'aria la stessa afa degli ultimi dieci giorni. Poco dopo le sei, altri tre ragazzi entrarono e si sedettero sulla panca già tutta occupata. Il signor Burgger guardò il gruppetto con l'aria ostile che non lo abbandonava mai.
«Alcuni di voi spariscano subito.»
Billy ne aveva avuto abbastanza per il primo giorno ed uscì. Le sue ginocchia si erano indurite a furia di stare seduto, e le polpette erano scese a sufficienza per permettergli di pensare alla cena. Accidenti, si disse con una smorfia, lo sapeva già cosa ci sarebbe stato a cena. La stessa cosa della sera prima, dell'anno prima. Sulla riva soffiava una leggera brezza che veniva dal fiume. Billy camminò lentamente lungo la Dodicesima Avenue, e sentì fresco sulle braccia. Dietro i capannoni, mentre non vi era nessuno in vista, sfilò uno dei fermagli di ferro che mantenevano a posto la suola dei suoi sandali e introdusse i suoi biglietti da dieci dollari nella spaccatura. Quei soldi erano suoi e soltanto suoi. Serrò il fermaglio e salì la scaletta che portava alla nave Waverly Brown, ancorata alla banchina n. 62.
Non si vedeva il fiume. Legate insieme da vecchie gomene e da catene coperte da incrostazioni marine, le lunghe file di vecchie navi Victory e Liberty componevano un paesaggio rugginoso ed ostile, fatto di superstrutture antiquate, di sartie dove era appesa la biancheria, di rinforzi, di tubi, di antenne e di fumaioli. Di là da queste navi vi era la singola banchina dell'incompiuto ponte Wagner. Billy non si sentiva spaesato, perché era nato lì dentro, dopo che la sua famiglia e gli altri profughi di Formosa si erano sistemati in questi alloggi provvisori, affrettatamente rimediati, sulle navi poste in disarmo sin dalla fine della seconda guerra mondiale, navi abbandonate alla ruggine e che nessuno reclamava, dimenticate ai loro ormeggi di Stony Point, sul fiume Hudson. Non si era trovato altro posto per accogliere il flusso dei nuovi arrivati e in quel momento era sembrato che le navi in disarmo fossero una trovata brillante, in attesa di qualcosa di meglio. Ma era stato difficile provvedere a un'altra sistemazione e man mano si erano aggiunte altre navi alle prime. La flotta rugginosa e coperta di alghe era diventata parte integrale della città, al punto che tutti credevano fosse sempre stata lì.
Ponti e passerelle collegavano le navi affiancate e di quando in quando si scorgeva anche l'acqua fra l'una e l'altra, con i suoi mucchi di immondizie galleggianti e puzzolenti. Billy proseguì fino al Columbia Victory e scese, lungo una passerella, fino all'appartamento n. 107.
«Era ora che ti facessi vedere,» disse Anna, sua sorella. «Abbiamo già finito di mangiare. Per fortuna ti ho tenuto qualcosa da parte. Prese il piatto di Billy da uno scaffale alto e lo mise sul tavolo. Aveva solamente trentasette anni, ma i capelli tutti bianchi, la schiena ormai piegata in due. Le sue speranze di lasciare un giorno la famiglia e la città galleggiante erano svanite da un pezzo. Di tutti i figli Chung, lei era la sola nata a Formosa; ma al tempo della fuga era così piccola, che i suoi ricordi dell'isola erano imprecisi e parevano piuttosto il riflesso di un piacevole sogno.»
Billy lanciò un'occhiata alle fette molli di polenta d'avena, ai crackers marrone, e si sentì chiudere lo stomaco: il ricordo delle polpette, ancora vivo, gli toglieva la voglia di questo pasto. «Non ho fame,» le disse, respingendo il piatto.
Sua madre aveva visto il gesto e distolse lo sguardo dal televisore, dandosi finalmente la pena di notarlo per la prima volta da quando era entrato.
«Che hai da dire, sul cibo? Perché non mangi? È roba buona.» La sua voce era sottile ed acuta, con una leggera raucedine resa più evidente dal parlare modulato dei cantonesi. Non aveva mai fatto la fatica di imparare più di due o tre parole d'inglese, e in famiglia quella lingua non si usava.
«Non ho fame.» Cercava una giustificazione soddisfacente. «Oggi fa troppo caldo, ecco. Mangialo tu.»
«Io non toglierò mai il cibo di bocca ai miei figli. Se non lo vuoi tu, lo vorranno i gemelli.» Parlava continuando a guardare lo schermo della TV, e il rombo delle voci amplificate dall'altoparlante quasi copriva la sua voce, rimbalzando sugli urli dei gemelli di sette anni che litigavano in un angolo per un giocattolo. «Be', da' qui, ne assaggerò un pochino. Tutto il mio cibo lo do ai ragazzi.» Si mise in bocca un cracker e cominciò a masticare con la rapidità di un roditore. Era poco probabile che i gemelli riuscissero a carpirgliene un po', perché la vecchia era una specialista nell'arraffare le briciole, i resti, gli avanzi d'ogni genere e la sua figura tutta tonda lo dimostrava abbastanza. Prese dal piatto un secondo cracker senza distogliere lo sguardo dallo schermo.
Il caldo e la nausea che Billy provava ancora gli chiudevano lo stomaco. All'improvviso avvertì la mancanza di spazio della cabina dalle paratie di acciaio, le voci piagnucolose dei fratellini, il parlare rauco della TV, l'acciottolio prodotto da sua sorella sparecchiando. Andò nell'altro locale, l'unico altro locale che possedevano e chiuse dietro di sé la pesante porta metallica. Quel locale era stato un tempo una specie di ripostiglio. Era un quadrato con meno di due metri di lato e il letto, sul quale sua madre e sua sorella dormivano, lo riempiva quasi tutto. Una finestra era stata tagliata nel fasciame della nave, una semplice apertura rettangolare; i segni, vecchi di trent'anni, del taglio a fiamma erano ancora chiaramente visibili tutt'intorno. D'inverno vi si imbullonava sopra un portello per coprirla, ma per ora, Billy poteva lasciare pendere fuori le braccia e guardare laggiù, molto lontano oltre le navi affiancate, i fari della costa del New Jersey. Era quasi notte, eppure l'aria sul suo viso era più calda di quanto fosse mai stata durante il giorno.