«Ho qui un messaggio…» Billy era penosamente consapevole della incertezza, del timore che la sua voce tradiva.
«Newton, ingresso,» disse il portiere, e col pollice fece cenno a Billy di entrare.
Una porta si aprì sul lato opposto dell'atrio e si udirono per un attimo delle risate maschili, che si spensero di colpo quando l'uomo che era uscito chiuse la porta dietro di sé. Indossava una divisa simile a quella del portiere, nera con bottoni dorati, ma aveva solo una treccia di cordoncino rosso su ogni spalla, anziché gli alamari risplendenti dell'altro.
«Che cosa c'è, Charlie?» chiese.
«Un ragazzo con un telegramma. Non l'ho mai visto prima.» Charlie voltò le spalle e riprese la sua posizione di cane da guardia davanti alla porta. Il suo compito era terminato.
«Il messaggio è autentico,» disse Newton, strappando la tavoletta dalle mani di Billy prima che questi se ne rendesse conto, e passando il dito sulla scritta in rilievo della Western Union. La restituì a Billy e, quando questi l'ebbe ripresa, gli fece scorrere rapidamente le mani sulla camicia, sui calzoncini, sotto le ascelle e fra le gambe di Billy.
«È pulito!» gridò, poi scoppiò a ridere, «solo che ora mi dovrò lavare le mani.»
«Va bene, ragazzo,» disse il portiere senza muoversi, voltando sempre le spalle a Billy. «Portalo su e torna qui svelto.»
Anche il guardiano aveva voltato le spalle e se n'era andato lasciando Billy solo nel centro dell'atrio, in mezzo a un grande tappeto multicolore, senza dirgli una parola, senza indicargli da che parte dirigersi. Voleva chiedere, informarsi, ma l'istintiva superiorità di quegli uomini l'aveva disarmato e umiliato a tal punto che l'unica cosa che desiderasse ora, era un angolo per nascondersi. Una specie di sibilo sommesso, all'altra estremità del locale, attirò la sua attenzione ed egli vide aprirsi la porta di un ascensore in mezzo a qualcosa che aveva preso per un gigantesco organo di chiesa. Il lift lo guardò e Billy si fece avanti, tenendo il messaggio davanti a sé come uno scudo di protezione contro l'ostilità dell'ambiente.
«Ho qui un messaggio per O'Brien.» La sua voce tremò, quasi spezzandosi. Il lift, un ragazzo non più vecchio di lui, fece una risatina di scherno. Era giovane ma cercava di assumere l'atteggiamento e i modi richiesti dalle sue mansioni.
«O'Brien? 41-E, che significa 5° piano, nel caso che tu non sappia cosa sia una casa d'abitazione.» Rimase fermo bloccando l'entrata dell'ascensore, e Billy non sapeva che cosa fare.
«Posso… voglio dire, l'ascensore…»
«Non vorrai portare questa tua puzza nell'ascensore degli inquilini? Le scale sono là, in fondo…»
Billy senti che lo sguardo irritato del lift lo seguiva mentre attraversava l'atrio e un po' di quella rabbia contagiò anche lui. Ma perché si comportavano così? Lavorare in un posto come quello non significava abitarvi. Sarebbe stato ridicolo, figurarsi, quegli uomini abitare in un posto come quello! Anche quel sederone del portiere! Cinque piani: aveva il fiato grosso prima di arrivare al secondo e quando giunse al quinto dovette fermarsi per asciugarsi il sudore. Il corridoio si estendeva nelle due direzioni, e delle porte profonde si aprivano su di esso. Qua e là un'armatura antica pareva montasse la guardia al vuoto di quel lungo spazio. La pelle gli prudeva per il sudore, l'aria era calda, soffocante. Scelse la direzione sbagliata, e quando si accorse che i numeri decrescevano, tornò indietro. Il numero 41-E era, come tutti gli altri, senza campanello né battente, con il nome O'Brien scritto in lettere dorate. Toccò la porta e questa si aprì. Data un'occhiata all'interno per precauzione, egli entrò in una piccola camera oscura, rivestita di legno, con un'altra porta davanti a lui. Era una specie dì prigione medioevale. Fu preso dal panico quando la prima porta si chiuse dietro di lui e una voce incorporea risuonò lì dentro, come se l'aria sola l'avesse prodotta.
«Che cosa volete?»
«C'è un telegramma. Western Union,» disse, e si guardò intorno. Il locale era vuoto. Di dove veniva, la voce?
«Fammi vedere la lavagna.»
In quel momento capì che la voce usciva da una grata posta in alto, sulla porta interna, vicino alla lente di una telecamera. Alzò il messaggio all'altezza dell'obbiettivo. Lo sconosciuto, evidentemente, ne fu persuaso, poiché si udì uno scatto che interrompeva il circuito TV e subito dopo la porta si aprì davanti a lui, lasciando al tempo stesso uscire un soffio d'aria gelata.
«Dammi qua,» disse Michael O'Brien, e Billy gli porse la lavagna e attese mentre l'uomo rompeva il sigillo con il pollice e apriva le due metà pieghevoli.
Sebbene più vicino ai sessanta che ai cinquanta, con i capelli d'un grigio ferro, una pancia impressionante e una doppia fila di gioielli, O'Brien portava ancora i segni di una gioventù trascorsa sulla banchine del West Side: cicatrici sulle mani e su un lato del collo, e un naso rotto che non era mai stato aggiustato correttamente. Nel 1966, come diceva quando raccontava la sua storia, era un mascalzoncello di ventidue anni, con nient'altro in testa che donne e liquori. Passava un paio di giorni al porto, ogni settimana, facendo lo scaricatore, per potersi pagare la festa; ma un bel giorno era stato coinvolto in una rissa sanguinosa allo “Shamrock Bar and Grill”, e la sua vita era mutata. Durante la sua convalescenza al San Vincenzo (il naso era guarito presto, ma egli si era fratturato il cranio cadendo sul pavimento), aveva meditato seriamente sulla sua esistenza e deciso di farne qualcosa. Che cosa? Egli non lo diceva nel raccontare la sua vita; ma si sapeva che si era occupato di politica locale, di smaltire merce di contrabbando o rubata in banchina, e di molte altre cose alle quali era meglio non alludere in sua presenza. In ogni caso, i nuovi affari rendevano meglio del mestiere di stivatore e non si era mai pentito di aver imboccato quella strada. Alto un metro e novanta, impaludato in un'immensa vestaglia variopinta, come un elefante da circo, doveva, a rigor di logica, sembrare ridicolo. Invece, no. Aveva visto troppo, fatto troppo, era troppo sicuro del suo potere perché si potesse mai ridere di lui… anche se ora muoveva le labbra e contraeva la fronte nello sforzo di decifrare, parola per parola, il suo telegramma.
«Aspettami qui, voglio fare una copia di questo telegramma,» disse, arrivato alla fine. Billy assentì, felice di aspettare quanto più a lungo possibile nell'aria fresca di un'anticamera riccamente arredata. «Shirl! dove diavolo è il blocco?» gridò O'Brien.
Un borbottio arrivò dalla porta di sinistra. O'Brien aprì ed entrò in quella camera. Gli occhi di Billy lo seguirono istintivamente attraverso l'arco illuminato della porta sino al letto dalle bianche lenzuola dove era distesa una donna.
Voltava la schiena, era nuda, aveva i capelli rossi sparsi sul guanciale, la pelle di un rosa pallido con una manciata di efelidi sulle spalle. Billy si immobilizzò, col fiato mozzo. La ragazza era vicina, forse a tre metri da lui. La donna incrociò una gamba sull'altra accentuando la rotondità dei glutei. O'Brien le parlava; ma le parole giungevano a Billy come suoni senza significato. Poi lei si voltò sul letto verso la porta aperta, e lo vide.
Billy non poteva far nulla, non poteva muoversi, né voltare gli occhi da un'altra parte. Lei vide che lui la guardava, gli sorrise, stese il braccio verso la porta per chiuderla, i suoi seni si alzarono, pieni e tondi, con le punte rosa. E la porta si richiuse. Lei sparì dalla sua vista.