Murray Leinster
L’arma mutante
Capitolo primo
La probabilità di conseguenze sfavorevoli non può essere calcolata zero in ogni azione di vita normale, ma la probabilità aumenta esponenzialmente, quando una serie di azioni si prolunga. L’effetto delle considerazioni morali, nel comportamento, si può affermare che sia una riduzione verificabile matematicamente del numero degli avvenimenti casuali possibili. Naturalmente non fa alcuna differenza, rispetto ai fatti, che questo processo sia chiamato uso intelligente della probabilità, o etica o pietà. È il metodo per cui gli avvenimenti casuali sfavorevoli sono resi meno probabili. Azioni arbitrarie, come quelle che noi definiamo criminali, non possono mai essere giustificate dalla matematica. Per esempio…
Calhoun era disteso nella sua cuccetta e leggeva Probabilità e condotta umana di Fitzgerald, mentre la piccola Nave Medica fluttuava in superpropulsione, durante la quale non restava che far passare il tempo. Murgatroyd, il tormal, dormiva raggomitolato come una palla in un angolo della piccola cabina della nave. La sua coda era meticolosamente disposta attorno al naso. Le luci della nave splendevano senza variazioni di intensità. C’erano dei lievi rumori occasionali, quelli che si devono fornire perché un uomo non impazzisca nella mortale mancanza di suoni di una nave che viaggi a velocità molte volte superiore a quella della luce. Calhoun voltò la pagina e sbadigliò.
Qualcosa si ridestò da qualche parte. Ci fu uno scatto e una voce registrata disse:
— Quando suona il rintocco, mancheranno cinque secondi all’uscita.
Nel silenzio risuonò uno scatto metronomico, grave e deciso. Calhoun si sollevò dalla cuccetta e mise un segno nel libro. Si diresse alla poltrona di comando e vi si sedette, allacciando la cintura di sicurezza. Disse:
— Murgatroyd, ascolta, ascolta, l’allodola canta da qualche parte in Cielo. Svegliati e pettinati i baffi. Ci stiamo arrivando.
Murgatroyd aperse un occhio e vide Calhoun nel posto del pilota. Si srotolò e zampettò dove c’era qualcosa a cui aggrapparsi. Fissò Calhoun con occhi scintillanti.
— Bong! — fece il nastro registrato. Poi iniziò il conto alla rovescia. — Cinque… quattro… tre… due… uno…
Si fermò. La nave emerse dalla superpropulsione. La sensazione era inconfondibile. Lo stomaco di Calhoun sembrò rivoltarsi due volte ed egli ebbe la nauseante sensazione di girare fino al capogiro in quello che in un certo qual modo sembrava essere un cono. Inghiottì la saliva. Murgatroyd emise suoni soffocati. Fuori, cambiò tutto.
Il sole Maris fiammeggiava silenziosamente nel vuoto aldilà dell’oblò. L’ammasso stellare di Cetis era a poppa e la luce che lo rendeva visibile aveva viaggiato molti anni per giungere fin lì, benché Calhoun avesse lasciato il Quartier Generale Medico soltanto tre settimane prima. Il terzo pianeta di Maris viaggiava splendidamente lungo la sua orbita. Calhoun controllò e annuì soddisfatto. Si voltò a mezzo per parlare con Murgatroyd.
— Siamo proprio arrivati.
— Ciii! — stridette Murgatroyd, che sgancio la coda dalla maniglia di un mobiletto e saltellò a guardare lo schermo televisivo. Quel che vedeva, naturalmente, non significava niente per lui. Ma tutti i tormal imitano le azioni degli esseri umani, come i pappagalli imitano le loro parole. Diede una rapida occhiata, con aria giudiziosa, allo schermo e poi fissò Calhoun con aria interrogativa.
— È Maris III, — gli disse Calhoun, — ed è abbastanza vicino. È una colonia di Dettra Due. Ci hanno informato che una città era stata incominciata due anni terrestri fa. Ora dovrebbe essere sul punto di essere colonizzata.
— Ciii, ciii! — strillò Murgatroyd.
— Quindi togliti dai piedi, — ordinò calmo Calhoun. — Ci avvicineremo e li avvertiremo che siamo qui.
Compì una manovra normale di avvicinamento a velocità interplanetaria. Naturalmente fu un procedimento lungo ma dopo qualche ora abbassò l’interruttore del trasmettitore e inviò le solite frasi di identificazione e di richiesta di atterraggio.
— Nave Esculapio Venti a terra, — disse nel trasmettitore. — Richiedo le coordinate per atterrare. La nostra massa è di cinquanta tonnellate. Ripeto, Cinque zero tonnellate. Scopo dell’atterraggio: ispezione medica planetaria.
Si rilassò. Questo lavoro ormai era pura routine. C’era una griglia di atterraggio nello spazioporto di Maris III. Dalla sua stanza di controllo sarebbero state inviate istruzioni, che indicavano una posizione a circa cinque diametri planetari dalla superficie di quel pianeta. La piccola nave di Calhoun si sarebbe diretta in quel punto. La gigantesca griglia di atterraggio avrebbe emesso un suo campo di forza particolare che avrebbe agganciato la nave e l’avrebbe portata gentilmente ma irresistibilmente a terra. Poi Calhoun, che rappresentava il Servizio Medico, avrebbe conferito con aria grave con le autorità planetarie a proposito delle condizioni sanitarie di Maris III.
Non ci si doveva aspettare che venisse a galla qualcosa di importante. Calhoun avrebbe fornito tutti i dettagli dei recenti progetti nel campo della medicina. Queste notizie potevano essere già giunte a Maris III per mezzo degli ordinari rapporti commerciali, ma lui avrebbe dovuto assicurarsene. Poteva, ma la cosa non era possibile, imparare qualcosa di nuovo che avessero scoperto lì. In ogni caso entro tre giorni doveva tornare alla piccola Nave Medica, la griglia l’avrebbe spinta in alto fino a non meno di cinque diametri planetari di distanza e l’avrebbe rilasciata. E Calhoun, Murgatroyd e la Nave Medica sarebbero rientrati nella superpropulsione tornando velocemente al Quartier Generale da dove erano venuti.
In quel momento, Calhoun stava aspettando una risposta alla sua richiesta di atterraggio. Ma guardava il grande disco del vicino pianeta.
— In base alla carta, — osservò a Murgatroyd, — la città dovrebbe essere sulle rive di quella baia, più o meno dove finisce, vicino alla linea dell’orizzonte.
La sua chiamata ebbe risposta. Una voce disse con tono incredulo dall’altoparlante del telefono spaziale:
— Che cosa? Di che si tratta? Che cosa avete detto?
— Nave Medica Esculapio Venti, — ripeté pazientemente Calhoun. — Chiedo le coordinate per l’atterraggio. La nostra massa è di cinquanta tonnellate. Ripeto, cinque zero tonnellate. Scopo dell’atterraggio: ispezione sanitaria planetaria.
La voce disse con aria ancora più incredula:
— Una Nave Medica? Santo… — Dal cambiamento del tono, l’uomo sul pianeta doveva essersi voltato dal microfono. — Ehi! Senti un po’ qui!
Silenzio improvviso. Calhoun alzò le sopracciglia. Tamburellò sul pannello di controllo davanti a lui. Una pausa molto lunga. Poi dalla superficie del pianeta giunse una nuova voce:
— Voialtri lassù! Fatevi conoscere!
Calhoun disse con molta educazione:
— Questa è la Nave Medica Esculapio Venti. Vorrei scendere a terra. Scopo dell’atterraggio: ispezione sanitaria.
— Aspettate, — disse la voce dal pianeta. Suonava molto tesa.
Risuonò un mormorio, trasmesso da ottanta chilometri più in basso. Poi si sentì uno scatto. Il trasmettitore là in basso era stato chiuso. Calhoun alzò ancora le sopracciglia. Questo non era affatto previsto dalle consuetudini. Il Servizio Medico era sovraccarico e scarso di personale. Le risorse dei servizi interplanetari erano sempre destinate ad essere stiracchiate al massimo, perché al momento non era possibile un governo galattico. Migliaia di pianeti occupati, i più vicini a distanza di anni luce, non potevano fare le elezioni o tenere riunioni politiche perché il viaggio, anche con la superpropulsione, era troppo lento. Potevano avere soltanto organizzazioni di servizi la cui autorità dipendeva dal consenso della gente servita e il cui sostegno doveva essere ottenuto dove e quando era possibile.