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Guardò il cielo da una finestra. Era crepuscolo avanzato. Tornò al portone dalla strada di servizio. Poi uscì e lo chiuse, accuratamente dietro di sé. A piedi, consultando frequentemente le fotografie incominciò a cercare la strada verso la griglia di atterraggio. Doveva essere lì il centro delle posizioni degli invasori.

Era buio quando salì oltre le scale di servizio delle cantine di un altro edificio. Si trattava del palazzo delle comunicazioni della città ed era stato il punto chiave del procedimento di repulisti degli invasori appena atterrati. Il suo centralino aveva indicato quali appartamenti avevano i comunicatori in uso. Quando veniva una chiamata, si poteva mandare una squadra di assassini a sistemare chi aveva chiamato. Anche dopo la prima notte, poteva essere rimasta della gente isolata, singole persone, ignare di quanto stava avvenendo. Quindi ci sarebbe stato qualcuno di guardia, nel caso qualche morente chiamasse per avere il conforto di una voce umana mentre ancora viveva.

C’era un uomo di guardia. Calhoun vide una stanza illuminata. Con la pistola a spruzzo in posizione si mosse silenziosamente verso la luce. Murgatroyd zampettò fedelmente dietro di lui.

Fuori dalla porta, Calhoun regolò la sua singolare arma. Entrò. L’uomo sonnecchiava in una poltrona davanti al centralino spento. Quando Calhoun entrò, alzò la testa e sbadigliò. Si volse.

Calhoun lo cosparse di anelli di fumo, anelli a vortice. Ma gli anelli erano missili rotanti di destroetile vaporizzato, un anestetico ricavato dal cloruro di etile circa duecento anni prima e non ancora superato nei suoi usi speciali. Una sua proprietà era che un suo piccolo sbuffo di vapore produceva un impulso riflesso ad aspirare profondamente. Una seconda proprietà era che, come l’antico cloruro di etile, era l’anestetico conosciuto con l’azione più rapida.

L’uomo del centralino vide Calhoun. Le sue narici avvertirono l’odore del destroetile. Aspirò profondamente.

E cadde senza conoscenza.

Calhoun attese pazientemente fin che l’anestetico fu disperso. Era quasi unico tra i vapori poiché a temperatura ambiente era più leggero dell’aria. Si alzò verso il soffitto. Calhoun dopo un po’ si fece avanti e trasse una siringa di polisolfato. Si chinò sull’uomo incosciente. Non lo toccò in nessun altro modo.

Si voltò e uscì dalla stanza mentre Murgatroyd camminava piano accanto a lui.

Fuori, Calhoun disse: — Da medico a medico, forse non avrei dovuto farlo. Ma sto trattando con un’emergenza sanitaria, una pestilenza. Qualche volta si deve usare la psicologia per supplire alle misure normali. Considero che questo ne sia il caso. Comunque quest’uomo lo cercheranno prima degli altri. Ha un lavoro per cui la sua mancanza sarebbe notata subito.

— Ciii? — chiese Murgatroyd zelantemente.

— No, — disse Calhoun — non morirà. Non sarà tanto scortese.

All’esterno era buio pesto. Quando Calhoun uscì nella strada (si era guardato bene dal toccare qualcosa nell’ufficio per non far capire che qualcuno era entrato) era notte piena. Le stelle brillavano, ma le strade vuote e non illuminate della città erano buie.

Sembrava che nell’aria ci fosse una minaccia indistinta. Quando Calhoun si mosse lungo la strada, Murgatroyd che odiava il buio, allungò una zampa pelosa e si aggrappò alla mano di Calhoun per rassicurarsi.

Calhoun si muoveva silenziosamente e i passi di Murgatroyd erano inavvertibili. La sensazione di una città non mai abitata era impressionante. Una città addormentata sembra strana e piena di fantasmi, anche con le strade illuminate. Una città abbandonata è intollerabilmente desolata, con tutti i suoi abitanti partiti o morti. Ma una città che non è mai stata in vita, che si stende senza vita sotto il cielo notturno perché i suoi abitanti non sono mai venuti ad abitarla, quella città dà la peggiore delle sensazioni. Sembra innaturale. Sembra insensata. È come un cadavere che avrebbe potuto vivere e che non ha mai avuto un’anima, ed ora attende orribilmente che qualcosa di demoniaco vi penetri e gli dia un’apparenza di vita troppo orripilante per poterla immaginare.

Gli invasori senza dubbio sentivano quella strisciante atmosfera di orrore. In breve ce ne fu una prova. Calhoun udì piccoli rumori da ubriachi nelle strade. Li rintracciò con cautela. Trovò il posto, una finestra illuminata al pianterreno di una lunga strada ai cui lati si allineavano strutture torreggianti che raggiungevano il cielo. Le ripide pareti erano assolutamente buie. Le stelle che comparivano nella stretta striscia di cielo che si vedeva in alto erano tremendamente lontane. La stessa strada era vuota e scura, e frusciante degli echi di rumori che in realtà non erano mai stati fatti. E non c’erano assolutamente suoni naturali. Le pareti degli edifici non lasciavano passare i suoni notturni normali dell’aperta campagna. C’era un silenzio morto e soffocato e frusciante adatto a rompere i timpani di chiunque.

Salvo per il cantare degli ubriachi. Degli uomini bevevano insieme in una stanza inutilmente piccola che avevano illuminato vivamente perché sembrasse più viva. Tutt’attorno a loro c’era morte e silenzio, quindi essi facevano rumori che ritenevano festosi, costringendosi all’allegria con molte bottiglie. Dopo aver bevuto abbastanza, forse, l’illusione poteva diventare credibile. Ma era pur sempre una scia di suono pietosamente minuscola della città buia e vuota. Fuori, dove Calhoun e Murgatroyd si fermarono ad ascoltare, il rumore dei canti degli ubriachi aveva il carattere di una profonda ironia.

Calhoun grugnì, e il suono echeggiò senza fine tra le pareti nude.

— Quei tipi ci potrebbero servire, — disse freddamente. — Solo che ce ne sono troppi.

Lui e Murgatroyd andarono avanti. Si era familiarizzato con le stelle, in precedenza e sapeva di muoversi in direzione della griglia di atterraggio. Aveva fatto in modo che un uomo in servizio, al centralino, non fosse in grado di compiere il proprio dovere. Il procedimento era stato scelto accuratamente. Aveva abbattuto l’invasore con un soffio di vapore di destroetile e poi gli aveva fatto un’iniezione di polisolfato. La combinazione era normale, come solfato di magnesio e etere, secoli prima. Il polisosfato era un anestetico ausiliario, mai usato da solo perché chi lo subiva rimaneva incosciente per giorni e giorni. In chirurgia era usato in quantità che sembravano non influire per niente su un uomo, eppure il minimo soffio di destroetile lo rendeva incosciente per una operazione, mentre poteva essere richiamato alla coscienza istantaneamente. Era il più sicuro e controllabile di qualunque altro anestetico.

Ma Calhoun aveva invertito il procedimento. Aveva reso incosciente l’addetto del centralino con il vapore e poi gli aveva iniettato il polisolfato per tenerlo incosciente sessanta ore o più. Poi lo aveva lasciato. Quando l’invasore fosse stato trovato incosciente, la cosa avrebbe preoccupato gli altri macellai, moltissimo. Non avrebbero mai pensato che la sua condizione fosse il risultato di un’azione nemica. Lo avrebbero creduto in coma. Il coma era l’ultimo effetto della pestilenza che aveva donato loro un pianeta. Avrebbero creduto che il loro collega stesse morendo della pestilenza dalla quale si supponeva fossero immuni. Si sarebbero lasciati prendere dal panico, aspettandosi una morte immediata. Ma se ci fossero stati più uomini in apparente stato di coma, sarebbe stato più facile creare una completa disorganizzazione e la disperazione.

Una porta sbatté, indietro, accanto alla finestra illuminata nella desolata strada buia. Qualcuno uscì. Qualcun altro. Un terzo uomo. Si mossero lungo la strada, cantando con voci rauche e stonate e con parole imbrogliate e incerte come i loro passi. Gli echi risuonavano tra le alte pareti degli edifici. L’effetto era sovrannaturale.

Calhoun si spostò sotto una porta. Attese. Quando i tre uomini furono di fronte a lui, si presero a braccetto per mantenere l’equilibrio. Un uomo ruggì dei versi piuttosto osceni di una canzone alla quale si unì un altro, con qualche incertezza. Il terzo protestò in modo dispiaciuto. Si fermò e i tre discussero solennemente su qualcosa di indefinibile, ondeggiando mentre discutevano con la serietà di gufi ubriachi.