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Questo era quanto era accaduto esattamente. La città vuota era stata imbevuta di particelle di virus così sottili che soltanto il microscopio elettronico avrebbe potuto dire che esistevano e non avrebbe potuto distinguerle da quelle strettamente simili ad esse. Ma esse erano mortali. Singolarmente, no. Da solo, ciascuno dei due tipi poteva produrre soltanto la più semplice delle infezioni. Combinate, producevano una tossina che toglieva al sangue umano la sua capacità di trasportare l’ossigeno. In un certo senso l’effetto era uguale a quello del monossido di carbonio. Più direttamente, facevano deperire i corpi per mancanza di ossigeno.

E tutto ciò era innaturale. Degli uomini avevano progettato la peste e i mezzi per diffonderla. Ne avevano fatto uso. Sul mondo dove il tuono era rimbombato in un cielo senza nubi, uomini e donne erano morti. Poi era giunta una nave per verificare le cose, per assicurarsi che tutto fosse andato bene su Maris III. I nuovi venuti sapevano che la pestilenza non li avrebbe toccati. Avevano ucciso i pochi sopravvissuti che erano riusciti a trovare in città e avevano dato la caccia agli altri in aperta campagna.

Ora attendevano che giungessero altri della loro razza, per occupare il pianeta preparato per loro. Quando fossero venute le navi da Dettra Due, che aveva costruito la città e preparato i campi, i coloni occupanti potevano rifiutare di farli entrare. O potevano lasciarli atterrare e vederli morire. Maris III ora era inutile per il mondo che lo aveva sviluppato. Solo il mondo che aveva assassinato la sua prima minuscola popolazione poteva ricavarne un beneficio. Perché naturalmente gli emigranti del mondo criminale sarebbero stati immunizzati contro la pestilenza che i loro governanti avevano inviato prima di loro. Potevano vivere lì liberamente, come i macellai che erano giunti per primi. Poteva sembrare una brillante concatenazione di avvenimenti.

Ma Calhoun digrignava i denti. Vedeva altri aspetti di quella faccenda. Uomini che potevano fare una cosa del genere, potevano anche andare oltre. Molto oltre. Quel che aveva immaginato era niente in confronto a quanto poteva venire dopo.

C’era una luce in movimento nella città. Calhoun si alzò a sedere, tutto teso, a osservarla. Era un’automobile sulla superstrada con i fari che splendevano a illuminare la strada. Svanì dietro gli edifici. Ricomparve. Attraversò un ponte slanciato e scomparve di nuovo, per poi riapparire. Stava venendo più vicina e dopo poco i suoi fari splendettero negli occhi di Calhoun mentre filava furiosamente sul tappeto erboso della griglia di atterraggio, diretta all’edificio dove erano alloggiati i trasformatori e i comandi della griglia.

Là si fermò con una rapida frenata. Le luci rimasero accese. Degli uomini balzarono fuori e corsero all’edificio di controllo. Calhoun non sentì alcuna voce. Le canzoni delle creature della notte avrebbero annullato le voci umane. In pochi minuti comunque un maggior numero di uomini uscì dall’edificio ammassandosi accanto all’automobile. Dopo pochi secondi l’auto era ancora in movimento, ondeggiando e sobbalzando sull’erba verso l’astronave atterrata.

Si fermò a cento metri da dove Calhoun si era nascosto. I fari brillavano e scintillavano contro il tondeggiante metallo argenteo dell’astronave. Un uomo si mise a gridare:

— Aprite, aprite! È accaduto qualcosa! Un uomo è ammalato! Sembra che abbia la peste!

Non accadde niente. Lui gridò ancora. Un altro uomo batté sullo spesso metallo del portello stagno esterno.

Dagli altoparlanti esterni risuonò improvvisamente una voce.

— Che c’è? Di che si tratta?

Molte voci tentarono di balbettare, ma una voce dura li fece tacere e gridò delle spiegazioni, ciascuna delle quali avrebbe potuto essere stata scritta in precedenza da Calhoun. C’era stato un uomo di guardia al centro delle comunicazioni della città, il quale non aveva passato diverse comunicazioni tra i posti abitati dagli invasori. Qualcuno era andato a vedere perché. L’uomo al centralino era incosciente. Sembrava aver preso la peste. Sembrava che le iniezioni che aveva fatto non lo avessero immunizzato.

La voce dell’altoparlante disse:

— Sciocchezze! Portatelo dentro!

Pochi secondi dopo il portello si aprì e scese in basso, formando una rampa dal terreno al portello vero e proprio. Gli uomini a terra sollevarono una figura inerte dall’automobile. In parte portandola in parte trascinandola salirono la rampa fino al portello. Calhoun vide che anche il portello interno era aperto. Trascinarono dentro la figura.

Poi non accadde niente, salvo che uscì un uomo fregandosi le mani sull’uniforme come se avesse una paura isterica che toccando il compagno privo di conoscenza si fosse infettato anche lui.

Poco dopo uscì un altro uomo. Tremava. Poi gli altri. La voce aspra disse furiosamente:

— Così lui scoprirà di che si tratta. Non può essere la peste. Siamo stati immunizzati. Deve andare tutto bene. Magari è svenuto o qualcosa del genere. Smettetela di comportarvi come se doveste morire! Tornate al lavoro. Ordinerò un appello, tanto per essere sicuro.

Calhoun ascoltò con soddisfazione. La porta interna si chiuse ma quella esterna rimase giù come una rampa. L’automobile si allontanò, si fermò, scaricò qualche passeggero all’edificio di controllo e se ne andò, scomparendo sulla superstrada da dove era apparsa la prima volta.

— L’uomo che ho messo fuori combattimento, — disse seccamente Calhoun a Murgatroyd, — li impressiona sfavorevolmente. Sperano che sia soltanto un incidente. Vedremo. Ma la persona autorevole farà l’appello. Dovrebbe scoprire qualcosa che li preoccuperà tutti, quando lo farà.

— Ciii! — disse Murgatroyd in tono sommesso.

Ci fu ancora silenzio e tranquillità salvo per la canzone alle stelle in aperta campagna. Sembrava che di tanto in tanto nel coro vi fossero colpi di tamburo.

Passò mezz’ora prima che dall’edificio di controllo si vedesse uscire una luce a pianterreno. Era come se fossero state aperte porte invisibili e la luce ne uscisse. In pochi minuti apparve una luce che avanzava. Svanì e fu visibile ancora, come la luce della prima automobile.

— Ah, — disse Calhoun soddisfatto. — Controllando, hanno trovato l’invasore che abbiamo lasciato per strada. Lo hanno annunciato per mezzo del comunicatore. Può darsi che abbiano registrato altre due scomparse, una delle quali è accanto a te, Murgatroyd. Dovrebbero sentirsi leggermente scombussolati.

L’automobile giunse in velocità al centro della griglia di atterraggio e frenò. L’attendevano delle figure. Dopo una brevissima pausa raggiunse ancora l’astronave con il portello aperto. La voce aspra ansimò:

— Ce n’è un altro. Lo portiamo dentro!

L’altoparlante disse, in tono in certo qual modo seccato:

— Va bene. Ma il primo uomo non ha la peste. Il suo tasso metabolico è normale. Non ha la peste!

— Qui ce n’è un altro, comunque!

Le figure arrancarono sulla rampa con il secondo carico inerte. Riemersero dopo pochi minuti.

— Non è riuscito a svegliare il primo uomo, — disse una voce inquieta. — Mi sembra un brutto segno.

— Lui dice che non è la peste.

— Se dice che non lo è, — intervenne la voce autorevole, — allora non lo è! Dovrebbe saperlo. Ha inventato lui la peste!

Calhoun dietro il gigantesco supporto della griglia di atterraggio disse quietamente a se stesso, — Ah.

— Ma ascolta, — disse una voce spaventata. — C’erano dei dottori nella città quando siamo arrivati noi. Forse qualcuno è scappato. Forse, forse avevano qualche specie di germe che hanno messo in giro per ammazzarci…

La voce autorevole abbaiò. Tutte le voci ruppero in una confusione di parole e di balbettii. Gli invasori erano preoccupati. Erano spaventati. Normalmente non sarebbe loro accaduto di pensare a una malattia infettiva deliberatamente introdotta tra di loro, ma erano in quel posto proprio in seguito a una faccenda del genere. Non comprendevano tali minacce. Erano stati disposti ad approfittarne, fin che si trattava di una faccenda a senso unico. Ma ora sembrava che un’infezione stesse colpendo anche loro, sembrava probabile che si trattasse della peste da cui si era assicurata loro l’immunità. Alcuni avevano già la tremarella.