Ma tutti ammettevano che il servizio medico era importante. Il Quartier Generale del settore locale era nell’ammasso stellare Cetis. Era una specie di clinica interstellare, con delle appendici. Raccoglieva e disseminava i risultati dell’esperienza sulla salute e sulla medicina tra qualche migliaio di mondi coloniali e di tanto in tanto prendeva contatto con altri quartier generali che facevano lo stesso lavoro da qualche altra parte. Si doveva ammettere che ci volevano cinquanta anni perché una nuova tecnica sulla selezione dei geni attraversasse la parte occupata della galassia, ma la stessa distanza poteva essere coperta in tre anni con la superpropulsione andando direttamente da un punto all’altro. E il Servizio Medico era valido. Non c’era alcun problema di adattamento ecologico umano che fino a quel momento non fosse riuscito a risolvere, e c’erano diverse dozzine di pianeti le cui colonie umane gli dovevano la propria esistenza. Non c’era alcun posto, proprio alcun posto in cui una nave medica non fosse la benvenuta quando proveniva dal Quartier Generale.
— Voi a terra! — disse seccamente Calhoun. — Che cosa succede? Mi fate atterrare o no?
Non ci fu risposta. Poi improvvisamente ogni apparecchiatura in grado di emettere suoni sulla nave emise di colpo un rauco e mostruoso rumore. Le luci si alzarono e gli interruttori le spensero. Il segnalatore di vicinanza di un oggetto ululò. Il segnalatore della temperatura dello scafo sibilò. Il campo di gravità interna della nave diede uno strappo orribile per un istante poi cessò del tutto. Ogni strumento destinato a segnalare una emergenza scampanellò, o urlò, o rumoreggiò o ululò. Per un istante si scatenò l’inferno.
Durò soltanto meno di un secondo. Poi tutto si fermò. Non c’era più peso entro la nave e non c’erano luci. C’era un silenzio mortale e Murgatroyd emetteva suoni piagnucolosi nell’oscurità.
Calhoun pensava assurdamente dentro di sé. Secondo il libro, questa è la conseguenza casuale sfavorevole di qualcosa. Ma era più che uno sfavorevole avvenimento casuale. Era un avvenimento intenzionale, drastico e probabilmente mortale.
— Qualcuno s’è messo in azione, — disse Calhoun con calma nell’oscurità. — Che diavolo hanno laggiù?
Premette il pulsante dello schermo televisivo per vedere che cosa c’era fuori. Gli schermi televisivi di una nave sono ben protetti da fusibili contro i corti circuiti da sovraccarico, perché non c’è niente nel cosmo tanto indifeso e destinato a perire quanto una nave che sia cieca nel vuoto dello spazio. Ma gli schermi non si riaccesero. Non potevano. Gli interruttori non erano scattati in tempo.
I capelli di Calhoun si rizzarono. Ma quando i suoi occhi si adattarono al buio, vide le maniglie delle porte e degli strumenti che emettevano una pallida luce fluorescente. Non erano stati resi fluorescenti in vista di una emergenza come quella, naturalmente, ma potevano essere di grande aiuto. Sapeva quel che era accaduto. Poteva essere una cosa sola. Un campo di forza di una griglia di atterraggio agganciato a una nave di cinquanta tonnellate con la forza necessaria a far atterrare una nave di linea di ventimila tonnellate. Con quella forza avrebbe paralizzato qualunque strumento e fatto saltare qualunque interruttore. Non poteva essere un incidente. La ricezione delle notizie della sua identità, la richiesta ripetuta della sua identità, e poi la richiesta di aspettare. Quell’azione criminale era deliberata.
— Forse, — disse, Calhoun nella cabina nera come l’inchiostro, — il nostro arrivo come Nave Medica è una conseguenza casuale sfavorevole di qualcosa… e qualcuno ha intenzione di impedirci di farlo. Sembra proprio così.
Murgatroyd piagnucolò.
— E penso, — aggiunse freddamente Calhoun, — che qualcuno può aver bisogno di un buon calcio nel suo apparato negativo di alimentazione!
Si slacciò la cintura di sicurezza e si gettò a tuffo attraverso la cabina in cui non c’era alcuna gravità. Nell’oscurità aperse la porta di un ripostiglio. Quel che fece nell’interno di solito era compiuto da un uomo che calzava guanti fortemente isolanti, nella griglia di atterraggio del Quartier Generale. Fece scattare certi interruttori che avrebbero permesso lo scarico delle batterie di accumulatori di potenza che facevano funzionare la superpropulsione della nave. Per inserire nella superpropulsione anche solo una nave da cinquanta tonnellate ci volevano mostruose quantità di energia e quando la nave ne usciva mostruose quantità venivano immagazzinate. La potenza consisteva in pochi grammi di energia pura, naturalmente e per ragioni di sicurezza quelle quantità erano immesse nelle batterie Duhanne soltanto prima del lancio della Nave Medica e ne erano tirate fuori non appena tornava. Ma ora, Calhoun aveva aperto interruttori che avevano reso disponibili enormi quantità di energia da gettare nel campo di forza d’atterraggio che lo circondava… se fosse stato necessario.
Fluttuò di nuovo verso la poltrona di comando.
La nave si scosse. Violentemente. Era mossa dal campo di forza senza alcuna delicatezza. Le mani di Calhoun fecero appena in tempo ad afferrare lo schienale della poltrona, prima che la scossa avvenisse, e quasi furono costrette a lasciare la presa. Evitò per un pelo di essere sbattuto contro la parete posteriore della cabina dalla improvvisa accelerazione. Ma era ben lontano dal pianeta. Era alla estremità di una leva lunga ottanta chilometri e per riuscire a fare in modo che questa leva riuscisse a sbatacchiarlo brutalmente erano necessari determinati controlli. Ma qualcuno li stava facendo. La scossa cambiò direzione. Fu sbattuto selvaggiamente contro la poltrona alla quale si era aggrappato. Lottò. Un’altra scossa, in un’altra direzione. Ancora un’altra. Lo sbatté violentemente nella poltrona.
Dietro di lui Murgatroyd squittì rabbiosamente mentre era sbatacchiato nella cabina. Cercò di aggrapparsi a qualcosa con le quattro zampe e la coda.
Un’altra scossa. Calhoun aveva appena finito di agganciare la cintura di sicurezza, altrimenti una scossa furiosa lo avrebbe mandato a spiaccicarsi contro il soffitto della cabina. Un altro maligno impulso di accelerazione mentre cercava di raggiungere i comandi. Lo scuotimento della nave aumentò in modo intollerabile. Aveva la nausea. Una volta fu sbattuto tanto violentemente nella poltrona che quasi svenne; poi la direzione della spinta fu cambiata nella direzione opposta tanto che il sangue che affluì alla sua testa fu quasi sul punto di farla esplodere. Le braccia gli si apersero incontrollabilmente. Gli venne il capogiro. Ma quando le sue mani furono sbattute sul pannello degli strumenti, tentò, malgrado le escoriazioni, di aggrapparsi agli interruttori e ogni volta riuscì ad aprirli. Praticamente tutti i circuiti erano fuori uso, ma ce n’era uno…
Lo aperse con le dita intorpidite. Ci fu un rombo così feroce che sembrò quasi un’esplosione. Aveva raggiunto l’interruttore che rendeva efficiente il circuito di scarico delle batterie Duhanne. Lo aveva aperto. Era stato fatto per permettere lo scarico della riserva di potenza di superpropulsione della piccola nave negli accumulatori del Quartier Generale al ritorno da una missione. Ora, invece, si versò nel campo di atterraggio all’esterno della nave. Ammontava a centinaia di milioni di kilowatt/ora, immessi nella frazione di un secondo. Si sentì odore di ozono e il rumore fu come un colpo di tuono.
Ma improvvisamente ci fu una strana e incredibile pace. Le luci ripresero a splendere con incertezza appena le sue dita tremanti rimisero a posto gli interruttori di sicurezza. Murgatroyd strillò con indignazione, mentre stava aggrappato disperatamente a un pannello di strumenti. Ma gli schermi televisivi non si riaccesero. Calhoun bestemmiò. Velocemente rimise in funzione altri circuiti elettrici. L’indicatore di vicinanza denunciò la presenza del pianeta Maris III a circa sessantacinquemila chilometri. L’indicatore di temperatura dello scafo era sui 13 gradi C. Il campo di gravità interno si riattivò debolmente e poi crebbe fino a ridiventare. normale. Ma gli schermi non si accendevano. Erano danneggiati permanentemente. Calhoun si arrabbiò per qualche secondo, poi recuperò la calma.