— Salve, — disse educatamente. — Mi sono interessato molto al suo lavoro. Sono del Servizio Medico, a proposito. Sono venuto qui per un normale controllo sanitario del pianeta e qualcuno ha tentato di uccidermi quando ho chiesto le coordinate di atterraggio. Avrebbero fatto meglio a lasciarmi atterrare e fulminarmi quando fossi uscito dalla mia nave. L’altro naturalmente era un gesto molto più drammatico.
Occhi neri velenosi lo guardavano. Cambiavano notevolmente da momento a momento. In un certo istante erano pieni di furia rovente che era praticamente pazzia. In un’altro sembravano diventare astuti. E poi ancora rivelavano una paura puramente animale.
Calhoun disse in tono staccato:
— Dubito che serva molto parlare in questo momento. Attenderò fin che lei si sarà reso conto della situazione. Io sono nella nave. Sembra che non ci sia qualcun altro in condizione di provocare dei guai. I due uomini che il suo reparto di… ehm… ripulitura ha portato qui sono fuori causa per qualche giorno. — Aggiunse come spiegazione, — polifosfato. Una dose extra. È tanto semplice che ho pensato non l’avrebbe indovinato. Li ho messi fuori uso perché pensavo che lei fosse pronto a farmi entrare con un altro esemplare.
La figura simile a una mummia emise dei suoni inarticolati. Si sentiva un digrignare di denti. Si sentivano gorgoglii di pazza rabbia impotente.
— Lei è in stato di shock emotivo, — disse Calhoun. — Immagino che in parte sia vero, in parte falso. La lascerò perché lei lo superi. Desidero delle informazioni. Penso che lei voglia trattare. La lascio solo perché ci pensi.
Uscì dal laboratorio. Sentiva un acuto disgusto dell’uomo che aveva catturato. Era vero che credeva che il piccolo uomo avesse ricevuto un acuto shock emotivo scoprendosi catturato e impotente. Ma una parte di quello shock era costituito da una rabbia così orribile da minacciare la pazzia. Calhoun immaginò freddamente che chiunque avesse preso le decisioni e condotto la vita che egli immaginava fosse quella dell’uomo legato (la sua ipotesi fra l’altro era notevolmente esatta) potesse essere letteralmente condotto alla morte o alla pazzia, ora che era legato e poteva essere schernito a piacere. Ma non aveva voglia di schernire il suo prigioniero.
Controllò tutta la nave. Controllò il tipo e la struttura, verificò il cantiere in cui era stata costruita, fece una lista esatta nella sua mente di quel che sarebbe stato necessario per renderla un involucro inerte inutilizzabile da chiunque e tornò nel laboratorio.
Il suo prigioniero ansava, esausto. C’erano degli allentamenti di non grande entità delle strisce che l’avvolgevano. Calhoun con indifferenza strinse meglio i nodi. Il suo prigioniero sputava bestemmie indicibili e isteriche.
— Bene, — disse Calhoun tranquillamente. — Si liberi di tutta la sua pazzia e vedremo di parlare.
Si mosse per uscire ancora dal laboratorio. Da un altoparlante uscì una voce ed istantaneamente cercò e trovò il microfono che serviva a rispondere. Lo spense mentre il suo prigioniero tentava di urlare degli ordini.
— Non ha ancora scoperto niente? — chiedeva con apprensione la voce nell’altoparlante. — Non sa che cosa è successo a quegli uomini? All’appello ne mancano altri due. Qui si sta creando qualcosa di molto simile al panico. Gli uomini stanno immaginando che un dottore locale stia diffondendo la pestilenza tra noi.
Calhoun alzò le spalle. La voce veniva dall’esterno. Era stata una voce autorevole fino a poco tempo prima. Ora era preoccupata. Non rispose alla domande e queste furono ripetute. L’uomo attese poi chiese ancora. Quasi implorò una risposta che con il microfono chiuso, comunque non poteva esserci. Calhoun ascoltò con aria distaccata quando la voce autorevole, che doveva essere quella del capo dei macellai si seccò perché non veniva tenuta in considerazione. La voce svanì piano piano, tremando, leggermente scossa ma non si poteva dire se lo fosse per il terrore o per l’odio. Forse per entrambe le cose.
— La sua popolarità sta calando, — disse Calhoun. Depose il microfono disinnestato. Notò un ricevitore spaziofonico vicino all’altoparlante interno. — Ehm, — disse. — Sospettoso, no? Lei non si fidava nemmeno del capitano. Voleva tenere i contatti direttamente! Tipico!
L’uomo avvizzito, legato come un salame improvvisamente parlò con assoluta gelida precisione:
— Che cosa vuole? — domandò.
— Informazioni, — disse Calhoun.
— Per lei? Che cosa vuole? Io posso darle tutto! — disse la bocca sotto gli occhi da pazzo. — Posso darle tutto quel che riesce ad immaginare! Posso darle ricchezze maggiori di quelle che può sognare!
Calhoun si sedette con aria negligente sul bracciolo di una poltrona.
— La ascolto, — osservò. — Ma a quanto pare lei è soltanto il direttore tecnico di questa operazione. Non è un’operazione molto grande. Avevate soltanto un migliaio di persone da uccidere. Lei sta eseguendo degli ordini. Come potrebbe darmi qualcosa di importante?
— Questa… — il prigioniero bestemmiò, — questa è una prova, un esperimento! Mi lasci andare, mi lasci finire e io le darò un pianeta da comandare! La farò re di un pianeta. Avrà milioni di schiavi! Avrà donne a centinaia, a migliaia se lo vorrà!
Calhoun disse in tono distaccato: — Non si aspetterà che ci creda senza particolari.
Gli occhi neri fiammeggiarono. Poi con uno sforzo di volontà tanto violento quanto era stata violenta la sua furia, la piccola figura legata si costrinse alla calma. Ma non era vera calma. La furia si rivelava quando tentava un gesto persuasivo e non riusciva a muoversi. La frustrazione una terrificante plausibilità, con una precisione di dettagli che dimostrava uno schema elaborato con infinita accuratezza. Aveva convinto un governo planetario a tentare. Era il suo schema. Per realizzarlo ci voleva lui. Avrebbe avuto tanto potere da essere in grado di corrompere Calhoun con tutto ciò che poteva essere seducente e apparentemente irresistibile. Si mise decisamente all’opera per corromperlo.
Era una cosa orribile.
Dapprima doveva esserci una spiegazione, con tali particolari per cui l’uomo del Servizio Medico potesse comprendere che la sua ricompensa sarebbe stata infallibilmente disponibile.
La conquista di Maris III era, come Calhoun aveva più che indovinato, soltanto la prova pratica di un nuovo metodo di guerra e di conquista interplanetaria. Lì c’era un nuovo pianeta. Aveva una minuscola popolazione di preparatori che attendevano le centinaia di abitanti permanenti che avrebbero dovuto prendere possesso della città costruita su misura, delle strade, delle fattorie. Quella minuscola popolazione era stata usata per provare una nuova e irresistibile forma di conquista. La peste. La peste era stata diffusa sopra la città, l’unica fino a quel momento. Nella notte, la gente non si era accorta di nulla. Aveva incominciato a morire e anche allora non aveva saputo perché moriva o che cosa avesse provocato la morte o quando la causa della sua morte fosse stata introdotta. Ma moriva!
Calhoun annuì. Non era impressionato dal fraseggiare misterioso. Avrebbe potuto esserlo qualcuno che non fosse riuscito a immaginarsi come la peste era stata introdotta e che cosa fosse e come si era ritenuto che potesse sfuggire ai metodi microbiologici ordinari.
Il suo prigioniero continuò. E il suo tono divenne lusinghiero, e fu stridulo, e poi ancora fu tremendamente convincente e notevolmente persuasivo.
Una volta che Maris III fosse stata occupata dai coloni del mondo che aveva inviato la peste, non sarebbe stato possibile far niente. Dettra Due non avrebbe mai potuto far atterrare la sua gente nella città. Sarebbe morta. Solo la popolazione usurpatrice avrebbe potuto viverci. Per tutto il tempo a venire, il mondo di Maris III sarebbe appartenuto alla gente che vi aveva seminato la morte. I coloni permanenti avrebbero dovuto essere immunizzati come i membri del gruppo dei primi invasori.