Calhoun annuì. Questo era logico.
— Poi giunse un’altra nave. Erano rimasti vivi forse soltanto duecento di noi. Ma la metà presentavano già i segni della pestilenza. Questa altra nave arrivò, atterrò su razzi di emergenza perché non avevamo nessuno che sapesse come far funzionare la griglia di atterraggio.
Poi la sua voce tremò un poco mentre narrava dell’atterraggio della nave estranea nel porto della città che stava morendo senza nemmeno aver incominciato a vivere. Non c’era folla ad attendere la nave. Quelli che non erano stati ancora infettati avevano abbandonato la città e si erano dispersi ovunque, sperando di salvarsi dal contagio isolandosi in nuove abitazioni incontaminate. Ma non c’era mancanza di mezzi di comunicazione. Quasi tutti i sopravvissuti avevano osservato la nave scendere attraverso gli schermi televisivi nell’edificio di controllo della griglia di atterraggio inutilizzata.
La nave aveva toccato terra. Ne erano usciti degli uomini. Non sembravano dottori. E non avevano agito come tali. Gli schermi televisivi nell’edificio di controllo erano stati spenti immediatamente. Non si era riusciti a riprendere il contatto. Quindi i gruppi isolati si erano parlati in modo agitato per mezzo degli schermi televisivi. Si erano scambiati messaggi di speranza disperata. Poi erano apparsi gli uomini appena atterrati in un appartamento il cui occupante stava conversando con un altro gruppo in un edificio distante. Uno di essi aveva lasciato il visofono acceso mentre si avviava a ricevere gli uomini che sperava fossero almeno ricercatori, venuti a scoprire le cause della pestilenza per eliminarla.
Coloro che stavano agli altri apparecchi visivi avevano fissato ansiosamente quell’appartamento. Avevano visto il gruppo dei nuovi venuti entrare e assassinare deliberatamente il loro amico e i sopravvissuti della sua famiglia.
Persone colpite dalla pestilenza o soltanto terrorizzate, a grande distanza le une dalle altre in tutta la città, si erano messe in contatto con disperazione. Era possibile che ci fosse stato un errore, un equivoco e che fosse stato commesso un delitto non autorizzato. Ma non era un errore. Per quanto impensabile fosse una simile idea, si aveva avuta la prova che la pestilenza su Maris III doveva essere eliminata come se si trattasse di una epidemia di afta epizootica tra gli animali. Quelli che l’avevano e quelli che erano stati esposti al contagio dovevano essere uccisi perché il contagio non si spargesse tra i nuovi venuti.
La convinzione di un simile orrore non poteva essere accettata senza una prova assoluta. Ma quando era venuta la notte, la fornitura di energia elettrica della città era stata sospesa e le comunicazioni erano cessate. La singolare calma del tramonto su Maris III aveva lasciato dovunque un silenzio terribile, salvo per le urla che erano echeggiate in mezzo agli innumerevoli edifici non occupati dalla città, con le loro finestre spalancate.
I miseri rimasugli dei sopravvissuti alla pestilenza erano fuggiti nella notte, da soli e in gruppi, portandosi la pestilenza con loro. Alcuni avevano trasportato membri della loro famiglia che era troppo deboli per camminare. Altri avevano aiutato vedove o amici o mariti già segnati dal destino a raggiungere l’aperta campagna. La fuga non poteva salvare le loro vite. Poteva soltanto impedire il loro assassinio. Ma in un certo qual modo sembrava una cosa da doversi tentare.
— Questa, — disse Calhoun, — non è la storia della tua malattia. Quando hai preso l’infezione o qualunque cosa essa sia?
— Tu non sai di che cosa si tratta? — chiese la ragazza senza speranza.
— Non ancora, — ammise Calhoun. — Ho troppo poche informazioni. Sto tentando di averne di più.
Non parlò delle informazioni raccolte da un morto in un campo di granturco a pochi chilometri di distanza.
La ragazza parlò della sua malattia. Il primo sintomo era stato la svogliatezza. Poteva uscirne facendo uno sforzo, ma si era aggravata. Giorno per giorno diventava necessario uno sforzo sempre più intenso, sempre più violento per prestare attenzione a qualunque cosa e aveva notato una sempre maggiore debolezza quando tentava di agire. Non sentiva alcun disturbo, nemmeno fame o sete. Doveva imporsi una sempre maggiore risoluzione anche solo per ricordarsi del bisogno di fare qualcosa.
I sintomi erano singolarmente uguali a quelli di un uomo rimasto troppo a lungo ad alta altitudine senza ossigeno. Erano ancora più simili a quelli di un uomo in un velivolo non pressurizzato, al quale fosse stata interrotta la fornitura di ossigeno. In quelle condizioni un uomo sarebbe morto senza accorgersi che stava scivolando nell’incoscienza, solo che sarebbe accaduto nello spazio di minuti. In questo caso il processo era più lungo. Era una questione di settimane. Ma la fine era la stessa.
— Sono stata contagiata prima che fuggissimo, — disse Helen tristemente. — Allora non lo sapevo. Ora so che ho soltanto pochi giorni di capacità di pensare e di agire, se cerco di sforzarmi. Poi smetterò di essere capace anche di tentare.
Calhoun osservò il minuscolo registratore per far girare il nastro a molti canali da una bobina all’altra.
— Hai avuto abbastanza energia per tentare di uccidermi, — osservò.
Guardò l’arma. C’era una molla a balestra d’acciaio sistemata perpendicolarmente all’estremità di una canna simile a quella di un fucile sportivo. Poi vide una manovella e una ruota dentata per mezzo della quale la molla poteva essere tesa, immagazzinando la forza per lanciare il dardo. Chiese:
— Chi ha messo in tensione questa balestra?
Helen esitò. — Kim… Kim Walpole, — disse alla fine.
— Non sei la sola fuggiasca ora? Ci sono altri del tuo gruppo ancora vivi?
Esitò ancora poi gli rispose:
— Alcuni di noi sono giunti a rendersi conto che non importava stare separati. Non potevamo sperare comunque di vivere. Avevamo già la peste. Kim è uno di noi. È il più forte. Ha messo in tensione la balestra per me. Era lui che aveva le armi.
Calhoun fece domande che sembravano casuali. Lei gli disse di un gruppo di fuggitivi che erano rimasti insieme perché tanto erano già segnati dal destino. Ce n’erano stati dodici. Due ora erano morti. Tre erano nell’ultimo stadio di letargia. Era impossibile nutrirli. Stavano morendo. Il più forte era Kim Walpole che si era arrischiato in città per portar fuori le armi per gli altri. Li aveva guidati e ora era ancora il più forte e, almeno la ragazza lo pensava, il più saggio di loro.
Stavano aspettando di morire. Ma i nuovi venuti sul pianeta, gli invasori, credevano… non si accontentavano di lasciarli morire. Gruppi di cacciatori uscivano dalla città e li cercavano.
— Probabilmente — disse la ragazza con indifferenza, — per bruciare i nostri corpi ed evitare il contagio. Ci uccidono, così non hanno bisogno di aspettare. E la cosa ci sembra così orribile che abbiamo pensato di difendere il nostro diritto di morire di morte naturale. Per questo ti ho colpito. Non avrei dovuto, ma…
Si fermò senza risorse. Calhoun annuì.
I fuggitivi ora si aiutavano reciprocamente semplicemente per evitare l’assassinio. Si riunivano esausti al calar della notte e quelli che erano i più forti facevano quel che potevano per gli altri. Di giorno, quelli che potevano camminare si disperdevano in posti nascosti e separati, in modo che se uno veniva scoperto gli altri potevano ancora sfuggire la vergogna di essere macellati. Non avevano un motivo più forte di quello. Stavano semplicemente tentando di morire con dignità, invece di esser uccisi come bestie ammalate. Il che rivelava una tradizione e un atteggiamento che Calhoun approvava. Persone come quelle avrebbero saputo qualcosa della scienza della probabilità nella condotta umana. Solo che l’avrebbero chiamata etica. Ma gli estranei, gli invasori, erano di un altro tipo. Probabilmente venivano da un altro mondo.
— Non mi piace questa faccenda, — disse Calhoun. — Aspetta un momento.