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Si tirò a sedere, sforzandosi di ricordare dove si trovava. Lei disse: — Caithnard. — Si teneva allacciate le ginocchia con le braccia, e su una guancia aveva ancora stampata la trama del sacco che aveva usato come cuscino. Negli occhi le brillava una strana espressione che dapprima lo stupì, finché non comprese che si trattava di paura. Accigliato la interrogò con un borbottio senza parole. Sottovoce lei chiese:

— Adesso cosa facciamo?

Lui si sporse ad accarezzarle una mano, poi si sfregò gli occhi. — Bri Corbett ha detto che ci troverà dei cavalli. Dovrai toglierti tutte quelle spille e forcine dai capelli.

— Cosa? Morgon, stai ancora sognando?

— No. — Accennò ai piedi di lei. — E guarda le tue scarpe.

Le guardò. — Cosa c’è che non va nelle mie scarpe?

— Sono belle. Anche tu lo sei. Pensi di riuscire a cambiare forma?

— E in cosa dovrei cambiarmi? — si stupì lei. — In una vecchia megera cenciosa?

— No. Ma hai sangue di cambiaforma in te. Dovresti esser capace di…

L’espressione spaventata e disgustata di lei lo azzitti. Concisa, Raederle rispose: — No!

Lui respirò a fondo, e quando la mente gli si fu schiarita del tutto imprecò in silenzio contro se stesso. Al pensiero della lunghissima strada che si stendeva attraverso il reame dritta verso il sole calante provò un attimo di panico. Non disse niente e cercò di radunare le idee, ma l’umida afa che stagnava nella stiva gli faceva sentire il cervello come una spugna. — Se viaggiamo a cavallo, significherà essere esposti su una strada aperta per troppo tempo. Pensavo di usare i cavalli soltanto finché non ti avrò insegnato a cambiare forma.

— Tu cambia forma. Io cavalcherò.

— Raederle, ma guardati! — protestò. — Su quella strada ci saranno mercanti di ogni angolo del reame. Nessuno ha visto me da un anno in qua, ma tu sarai subito riconosciuta, e non ci metteranno molto a capire chi è l’uomo che viaggia con te.

— Quand’è così — Scalciò via le scarpe, si tolse le spille dai capelli e li scosse dietro la schiena, — trovami un altro paio di scarpe.

La guardò in silenzio. Con l’elegantissimo abito di stoffa ricamata aperto intorno a sé, e la nuvola dei capelli ramati che le incorniciava il volto, anche stanca e pallida com’era la sua bellezza la faceva sembrare il personaggio di un’antica ballata. Sospirò e si tirò in piedi.

— Va bene. Aspettami qui.

La voce di lei lo raggiunse mentre saliva la scaletta: — Solo per questa volta.

Raggiunse Bri Corbett, che per tutto il giorno aveva atteso pazientemente il loro risveglio. I cavalli che Corbett s’era procurato erano già sul molo, con appese alle selle borse da viaggio e rifornimenti. Si trattava di animali tranquilli e pesanti, da fattoria, robusti e instancabili anche sui lunghi percorsi. Corbett, che si stava preoccupando delle implicazioni e delle difficoltà di un viaggio simile, rivolse a Morgon alcune domande inquietanti a cui lui rispose esibendo un tono ragionevole. Il comandante concluse offrendosi di accompagnarli.

Stancamente Morgon osservò: — Impossibile, a meno che non siate capace di cambiare forma.

Corbett rinunciò a insistere. Scese a terra e fece ritorno un’ora dopo, con un fagotto di abiti che gettò giù nel boccaporto fra le braccia di Morgon. Raederle li esaminò senza espressione, poi cominciò a cambiarsi. Scelse una gonna scura, una camicetta di lino, e una tunichetta piuttosto informe che copriva il tutto arrivandole alle ginocchia. Gli stivali erano in morbido cuoio, comodi ma privi di fronzoli. Si arrotolò i capelli riunendoli in un concio, e li coprì con un cappello di paglia a tesa larga. Con una smorfietta rassegnata si presentò a Morgon per l’ispezione di rito.

Lui disse: — Allacciati il cappello sotto il mento.

La ragazza gli diede un pugno sulla spalla. — E tu smettila di ridere di me!

— Non sto ridendo — disse, serio. — Aspetta di essere a cavallo e vedrai dove ti vola quel cappello da popolana alla spiaggia.

— Neanche tu passerai inosservato. Sarai anche vestito come un contadinotto al mercato, ma cammini con l’alterigia di un sovrano e gli sguardi che lanci attorno potrebbero fondere la pietra.

— Stai a guardare — le disse. Immobile, lasciò che in lui fluisse una calma assoluta; i suoi pensieri divennero ricordi e sensazioni: legno, roccia, il vago mormorio dell’acqua, gli indistinti rumori del porto. La sua identità esalò fuori da lui come sudore dai pori. Il volto fu percorso da tremiti che lo resero inespressivo; per un attimo gli occhi furono due pezzi di vetro opaco, vacui come il cielo estivo.

— Se tu non sei conscia della tua identità, poca gente si accorgerà di te. Questo è uno dei cento modi con cui mi sono tenuto in vita, attraversando il reame.

Lei lo fissava stupefatta. — Quasi non riesco a riconoscerti. È un’illusione?

— Solo in piccola parte. È sopravvivenza.

La ragazza tacque, e lui poté leggerle sul volto il conflitto che le agitava i pensieri. Gli volse le spalle senza dir altro e si avviò su per la scaletta, precedendolo sul ponte.

Il sole era una brace ardente che tramontava nell’entroterra del reame quando salutarono Corbett e montarono a cavallo. Gli alberi delle navi e le pile di merci proiettavano lunghe ombre sui moli che attraversarono. Nella velata atmosfera del crepuscolo la città parve a Morgon improvvisamente estranea, quasi che sul punto d’intraprendere il viaggio su una strada sconosciuta nulla gli sembrasse più familiare, neppure se stesso. Condusse Raederle per l’intreccio delle stradicciole, oltrepassò botteghe e taverne che un tempo aveva frequentato, verso la periferia, e svoltò in una via lastricata diretta fuori città. Ai confini dell’abitato la pavimentazione terminava, la strada si faceva molto più larga e dritta, segnata dal secolare passaggio dei carri, e spariva diretta a occidente tagliando per centinaia di miglia una terra di nessuno, finché ai limiti più lontani del reame girava a nord verso Lungold.

All’inizio del tratto sterrato fermarono i cavalli per qualche momento. Le ombre delle querce che crescevano sui due lati della carreggiata erano già svanite nel grigiore del crepuscolo, e la strada appariva irreale come un percorso senza fine e senza meta. Le grandi querce allungavano i rami sopra di loro, come se ogni albero cercasse di toccare quello sul lato opposto. Erano rugose, stanche, con foglie e tronchi ricoperti dalla polvere sollevata dai carri. Era una serata tranquilla; il traffico di veicoli in partenza dalla città s’era fermato del tutto. In distanza la boscaglia sfumava in un grigio sempre più scuro. Da qualche parte un gufo si destò e fece udire il suo rauco verso.

Spronarono i cavalli al trotto. Il cielo divenne nero e pian piano la luna si levò, spandendo un lucore latteo sulle chiome degli alberi. Tennero un’andatura svelta finché la luna fu alta nel firmamento, e le loro pallide ombre smisero di precederli per cominciare a seguirli. Poi Morgon scorse sulla destra un vasto spazio buio e vuoto; tirò le redini, e Raederle si fermò al suo fianco.

Non lontano da lì si udiva il mormorio dell’acqua. Morgon si passò una mano sul volto e lo sentì coperto da una maschera di polvere. Stancamente disse: — Ricordo d’essere già passato in questa zona. Scendendo a sud della Piana del Vento incrociai un torrente. Dovrebbe correre parallelo alla strada. — Fece girare il cavallo verso la radura. — Possiamo accamparci qui.

Non distante dalla strada trovarono il corso d’acqua, una striscia argentata che serpeggiava fra i cespugli. Raederle si lasciò cadere a sedere contro un tronco d’albero, mentre Morgon dissellava i cavalli e li faceva bere. Scaricò le borse e le coperte in un breve tratto libero dalla vegetazione, quindi si accovacciò accanto a Raederle e incrociò le mani dietro la nuca.