— Io non sono mai al sicuro.
— Morgon — sospirò lei, incredula. — Quando comincerai a imparare a suonare quell’arpa? Sopra c’è il tuo nome, forse anche il tuo destino; è la più bella arpa del reame, e tu non me l’hai neppure fatta vedere.
La fissò. — Imparerò a suonarla di nuovo quando tu imparerai a cambiare forma. — Si distese all’indietro. Non vide ciò che lei aveva fatto al fuoco, ma esso si spense di colpo, quasi che la notte gli fosse piombata sopra come un macigno.
Dormì scomodamente, sempre a metà conscio che lei gli si agitava accanto. Dopo un poco si destò, tentando di scuoterla e svegliarla, di spiegare, di discutere con lei, ma la vista del suo volto pallido e remoto nel chiarore lunare lo fermò. Si girò supino, poggiandosi un avambraccio sugli occhi, e ricadde ancora nel sonno. Più tardi riaprì gli occhi di colpo, senza nessuna ragione ma sentendosi come se qualcosa si fosse insinuato nei suoi sogni per avvertirlo che un motivo c’era. Vide che la luna s’era abbassata molto, a occidente. Un attimo dopo un oggetto scuro sorse accanto a lui, occludendogli la visione del firmamento.
Gridò di sorpresa. Una mano ruvida gli tappò la bocca. La morse, d’istinto, e udì un grugnito di dolore. Con uno scatto si girò e balzò in piedi, ma nello stesso momento un violentissimo pugno alla mascella lo scaraventò contro il tronco dell’albero più vicino. Stordito sentì Raederle gridare di spavento e di dolore, e protese la mente verso le braci del fuoco strappandone una lingua di fiamma che s’innalzò vivida.
La luce improvvisa balenò su una dozzina di individui vestiti come mercanti. Uno di loro aveva afferrato Raederle per i polsi, e la ragazza si divincolava con gli occhi sbarrati per lo spavento. Dietro di loro i cavalli erano ombre che si agitavano e scalpitavano nervosamente. Morgon si precipitò verso gli assalitori. Un gomito che gli si affondò fra le costole lo fece sbandare di lato, e mentre cadeva in ginocchio usò il poco fiato che gli restava per pronunciare la cinquantanovesima imprecazione di Madir. L’uomo che gli s’era gettato addosso e lo strattonava mandò un gemito rauco, fissò terrorizzato le proprie mani e barcollò via fra gli alberi. L’aggressore che stava cercando di sollevare Raederle fra le braccia la lasciò andare, ed emise un grido: la ragazza era riuscita a sfiorargli il volto con una mano, e la sua barba aveva preso fuoco. Morgon ebbe una rapida visione dei suoi occhi inorriditi, mentre fuggiva a tuffarsi nel torrente. I cavalli erano in preda al panico. Prima che scappassero penetrò nelle loro menti grezze, insinuando fra quei pensieri legami di calma lunare, e in pochi attimi essi s’immobilizzarono come inconsci degli uomini che li stavano percuotendo per metterli in fuga. Li sentì bestemmiare delusi. Uno di loro balzò sulla groppa di un cavallo e gli affondò furiosamente i talloni nei fianchi, ma l’animale non si mosse di un palmo. Gli altri si allargarono minacciosamente, quindi presero a convergere su di lui. Morgon produsse un silenzioso Urlo mentale, e l’individuo che era salito in arcioni precipitò al suolo. Indietreggiò, preparando i pensieri a concentrarsi in un altro Urlo. Ma proprio allora l’uomo che era andato a spegnersi la barba nel torrente comparve alle sue spalle, e con uno spintone lo scaraventò sull’erba. Si rialzò a mezzo, preparandosi ad affrontarlo, e ciò che vide lo fece rabbrividire.
La faccia era la stessa di prima, e tuttavia non era più la stessa. Conosceva quegli occhi, li aveva conosciuti in qualche altro luogo, in qualche altro combattimento, e in essi c’era qualcosa che faceva parte dei suoi ricordi. Il volto era duro, bagnato, e segnato dalle bruciature, ma nonostante ciò quegli occhi erano ancora freddi, gelidi, calcolatori. Uno stivale che gli impattò su una spalla gli fece di nuovo perdere l’equilibrio. Mentre stava cadendo avvertì un rimbombo assordante nella nuca, o nell’interno della sua mente, non seppe capirlo. E in quello stesso istante un Grande Urlo esplose come un tuono sopra di loro. Immerse la faccia fra le erbacce e si aggrappò freneticamente al terreno che sussultava sotto di lui, protendendo una disperata stretta mentale verso i cavalli più per reggersi a quell’unico punto fermo che per tenerli immobili, in un mondo che vibrava in modo terrificante.
Piano piano l’eco dell’Urlo si allontanò. Risollevò la testa. Gli assalitori erano scomparsi; i cavalli avevano chinato il muso a brucare l’erba, del tutto inconsci delle grida e dei versi degli animali che si stavano alzando da varie parti presso la strada immersa nel buio. Raederle si lasciò cadere in ginocchio accanto a lui, pallida e ansimante.
— Sei ferita le chiese?
— No. — Gli carezzò una guancia, ed egli fece un sospirone. — Quell’Urlo ha funzionato. Per essere un uomo di Hed, sai gridare in modo fantastico.
La fissò a occhi sbarrati. — Ma… hai gridato tu!
— Io non ho gridato — sussurrò lei. — Sei stato tu.
— No, che non sono stato io. — Sedette sull’erba, si prese la testa fra le mani e cercò di risistemarsi il cranio sul collo. — In nome di Hel, chi ha urlato?
Lei ebbe un fremito improvviso, girando lo sguardo nella notte che li circondava. — Qualcuno che ci osservava, e che forse ci sta osservando ancora… è strano. Morgon, credi che quegli uomini volessero soltanto rubarci i cavalli?
— Non lo so. — Si massaggiò la nuca con le dita. — Non ne ho idea. Dapprima mi è parso che cercassero di portare via i cavalli, infatti, ed è questo che mi ha reso difficile combatterli. Voglio dire che erano in molti, è vero, ma anche troppo inermi perché potessi ucciderli. Inoltre io devo usare il mio potere col contagocce, per non attrarre l’attenzione di chi ne avvertirebbe la presenza.
— A quello che ti è saltato addosso per primo hai ricoperto tutto il corpo di setole di maiale!
Morgon si massaggiò le costole. — Se le meritava — borbottò. — Ma l’ultimo, quello uscito dall’acqua…
— Vuoi dire quello a cui ho bruciato la barba.
— Non lo so. — Si passò una mano sugli occhi, cercando di schiarirsi le idee. — Non so dire se l’uomo che è uscito dal torrente era lo stesso che si era tuffato nell’acqua.
— Morgon! — si stupì lei.
— Potrebbe aver usato del potere. Non sono sicuro, non lo so. Forse stavo soltanto vedendo quel che mi aspettavo di vedere.
— Se era un cambiaforma, perché non ha cercato di ucciderti?
— Forse non era sicuro della mia identità. Nessuno di loro mi ha più visto, da quando sono scomparso nel Monte Erlenstar. E ho usato ogni cautela nell’attraversare il reame. Certo non si aspettano che adesso vada in giro apertamente sulla Strada dei Mercanti in groppa a un cavallo da tiro.
— Ma se lui ha sospettato… Morgon, tu stavi usando il tuo potere sui cavalli.
— Era un semplice legame di silenzio, d’immobilità. Non può aver destato i suoi sospetti.
— Del resto, un Grande Urlo non sarebbe bastato a far fuggire un cambiaforma. Non è vero? A meno che non sia andato a cercare rinforzi. Morgon… — Innervosita lo prese per un braccio, cercando di tirarlo in piedi. — Che stiamo facendo seduti qui? Aspettiamo che ci tornino addosso, magari insieme a dei cambiaforma?
Si liberò dalla sua stretta. — Non tirarmi in questo modo. Ho la spalla mezza slogata, dannazione.
— Preferisci aspettare che vengano ad ammazzarci?
— No. — Rifletté qualche istante, esplorando con lo sguardo le fitte ombre della vegetazione oltre il torrente. Un ricordo gli fece comparire una smorfia sul viso. — La Piana del Vento. È poco a nord rispetto a questa zona. Ed è là che Hereu Ymris sta combattendo la sua guerra contro esseri umani e non umani… oltre questo torrente potrebbe esserci un intero esercito di cambiaforma.
— Andiamocene.
— Muovendoci a cavallo in piena notte riusciremo soltanto ad attirare l’attenzione. Andiamo ad accamparci più in là. Poi ho intenzione di scoprire chi è stato a urlare.