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Si alzò, sfregandosi il palmo scottato. Sentendo il lieve fruscio delle vesti di Deth intuì, oscuramente, che se fosse rimasto tutta la notte davanti a quel fuoco anche l’altro non si sarebbe mosso di lì, restando sveglio e silenzioso fino all’alba. Scosse il capo, stupito dagli impulsi e dalle sensazioni che lo confondevano.

— Mi hai strappato dal sonno con la tua arpa, ed ecco che sono venuto qui ad accovacciarmi come un cane davanti al tuo silenzio. Vorrei sapere cos’è che mi conviene fare con te: se dovrei fidarmi di te, o ucciderti, o fuggire appena ti vedo. Tu giochi una gara di enigmi più abile e mortale di qualunque maestro io abbia mai conosciuto. Hai bisogno di cibo? Possiamo dartene del nostro.

Trascorsero alcuni lunghissimi secondi prima che Deth gli rispondesse, in un sussurro quasi inudibile: — No.

— Va bene. — Esitò, a pugni stretti, ancora sperando a dispetto di tutto in un frammento di verità gettato lì come un’elemosina. Infine, disturbato dal fumo che le braci gli mandavano negli occhi, si girò bruscamente e se ne andò. Fece tre passi nelle tenebre, e il quarto dentro il terribile fuoco azzurro che era esploso fuori dal niente intorno a lui. Il fuoco balenò sempre più vivo, gli fluì attraverso le membra ed egli gridò, piombando a faccia avanti nella luce.

Riprese conoscenza all’alba, ancora disteso bocconi sul terreno dov’era caduto, con la bocca sporca di polvere e frammenti di foglie secche. Qualcuno gli insinuò un piede sotto una spalla e lo girò supino. A poca distanza poté vedere l’arpista, sempre seduto contro l’albero davanti alla cenere del fuoco. Poi due mani lo afferrarono per il petto, e vide in faccia l’individuo che lo stava tirando in piedi a forza.

Un ansito di furia agonizzante gli scaturì dalla gola; subito una mano di Ghisteslwchlohm gli tappò la bocca come per zittirlo. L’arpista lo guardò con occhi vacui e senza luce come le nere acque che scorrevano nelle viscere del Monte Erlenstar, occhi che lo sfidavano, che gli facevano sentire l’amaro in gola. Deth si alzò con il movimento rigido e faticoso di chi è stato seduto per molte ore. Si volse, e seguendo il suo sguardo Morgon vide Raederle, pallida e muta sotto i primi raggi del sole.

La presenza di lei gli strappò un gemito fra i denti. La giovane donna gli restituì uno sguardo con identica disperazione. Era spettinata e piuttosto stanca, ma incolume.

Ghisteslwchlohm disse, brusco: — Se tenti di toccare la mia mente io la ucciderò. Hai capito? — Scosse Morgon per il petto, costringendolo a fissarlo. — Hai capito?

— Sì — rispose lui, e subito dopo si gettò addosso all’uomo per afferrarlo alla gola. Dalle mani di lui sprizzò un’ondata di fuoco bianco che gli attraversò le ossa come una ventata di dolore, facendolo vacillare di lato. Cadde in ginocchio e le sue mani annasparono fra le pietre e i ramoscelli, mentre il sudore gli scorreva a rivoli fin sugli occhi. Raederle gli corse accanto; sentì le mani di lei che lo afferravano per le braccia cercando di aiutarlo a rialzarsi.

Stordito fece per spingerla via, lontano dal fuoco che il mago continuava a proiettare intorno a lui; ma la ragazza non si mosse e nel sostenerlo gridò: — Smettete, basta!

— Saggio consiglio — disse il Fondatore. — Fanne tesoro. — Nella luce che aumentava di minuto in minuto appariva stanco. Morgon notò rughe e ombre profonde sulla maschera di ostentata serenità che indossava da secoli. Era vestito modestamente, con un rozzo abito senza forma che gli dava un aspetto senile e ingannevolmente fragile, impolverato al punto di far pensare che fosse venuto anch’egli a piedi sulla Strada dei Mercanti.

Sforzandosi di vincere il furore e la sofferenza Morgon disse: — Non sentivi la musica del tuo arpista? Si direbbe che tu mi abbia cercato invano dietro ogni cespuglio lungo la strada.

— Attraverso il reame hai lasciato una traccia che anche un cieco avrebbe potuto seguire. Sospettavo che saresti andato a Hed, e ti ho perfino individuato laggiù, ma… — Sollevò di scatto una mano, avvertendolo di non fare troppi movimenti improvvisi. — Ma tu te n’eri già andato. E io non sono certo in guerra coi contadini e le vacche; non ho disturbato nessuno sull’isola. — Lo fissò ad occhi socchiusi. — Hai portato a Hed gli spettri di An. Come ci sei riuscito?

— Tu cosa pensi? Mi hai insegnato parecchio sulle leggi della terra.

— Non fino a questo punto.

D’un tratto Morgon avvertì la mente dell’uomo che lo sondava in cerca d’informazioni. Quel tocco lo accecò un istante, riportandogli il ricordo di altri momenti di cecità e di terrore. E con Raederle inerme accanto a sé anch’egli era indifeso, costretto a stringere i denti e inghiottire un boccone molto amaro. Il mago prese visione dei legami mentali da lui stretti ad Anuin con gli spettri, grugnì un commento e interruppe il sondaggio. Il mattino gettava ombre lunghe e nitide nella radura. Morgon abbassò lo sguardo su quella di Deth che si stendeva ai suoi piedi, immobile, chiedendosi come avesse potuto cadere così scioccamente in quella trappola. La voce sgradevole di Ghisteslwchlohm gli fece rialzare gli occhi.

— Come sei riuscito a farlo?

— Che vuoi dire? Tutto ciò che so l’ho imparato da te.

Il mago lo scrutò pensosamente, come avrebbe fatto per un enigma scritto su una vecchia e polverosa pergamena. Non fece commenti; poi si volse a Raederle. — Voi potete cambiare forma?

Lei si strinse al fianco di Morgon; scosse il capo. — No.

— Nella dinastia di An metà dei Re potevano assumere le sembianze di un corvo, e Deth ha detto che voi avete ereditato dei poteri dalla razza dei cambiaforma. Imparerete in fretta.

Il volto di lei, pallido, arrossì di colpo, ma non guardò l’arpista. — Io non intendo cambiar forma — mormorò, e nello stesso tono pacato, sorprendendo sia Morgon che il mago, aggiunse: — Io vi maledico nel nome di Madir: possano i vostri occhi diventare quelli di un porco, capaci di guardare solo fango, e non alzarsi mai più su del ginocchio di un uomo… — Fu costretta a interrompersi da una mano del mago che le tappò la bocca. L’uomo sbatté le palpebre, come se qualcosa nei suoi occhi avesse per un attimo ceduto all’incantesimo confondendogli la vista. Abbassò la mano sulla gola di lei, e Morgon si tese come una corda d’arpa, pronto a scattare.

Ma il mago si limitò a dire, seccamente: — Risparmiami le altre novantotto imprecazioni. — Tolse la mano, e lei si schiarì la gola. Morgon la sentì tremare.

Raederle ebbe una smorfia. — Io non cambierò forma. Morirò, piuttosto. E questo lo giuro su…

Tacque, quando il mago rialzò di nuovo la mano a sfiorarle le labbra. La mente dell’uomo entrò per qualche istante nella sua; incuriosito disse poi a Deth: — Portala con te nell’entroterra, fino al Monte Erlenstar. Non ho tempo per farlo io stesso. Legherò la sua mente, così non tenterà di fuggire. Il Portatore di Stelle verrà con me a Lungold, e poi al Monte Erlenstar. — Si volse ai cespugli, come se stesse annusando qualcosa oltre la vegetazione ancor piena di ombre. — Troverò degli uomini che vadano a caccia per te e che la sorveglino.