Выбрать главу

— No.

Con cautela il mago si spostò al fianco di Morgon, per continuare a tenerlo sott’occhio. Corrugando le sopracciglia fissò Deth, finché l’arpista non si decise a parlare ancora.

— Io le sono obbligato. Ad Anuin mi avrebbe lasciato andare via, libero, ancora prima che arrivasse Morgon. Mi ha protetto, anche se involontariamente, costringendo molti spettri a scortarmi. Io non sono più al tuo servizio, e tu mi sei obbligato per questi seicento anni che ti ho dedicato. Lasciala andare.

— Ho bisogno di lei.

— Se vuoi tenere Morgon in tuo potere puoi farti aiutare da uno dei maghi di Lungold.

— I maghi di Lungold sono imprevedibili, e troppo potenti. Inoltre sembrano scioccamente proclivi a sfidare la morte per soddisfare i loro impulsi. Suth lo ha ben dimostrato. Io ti sono debitore, se non altro perché il tuo misero arpeggiare di questa notte ha attirato il Portatore di Stelle e lo ha distratto. Ma dovrai chiedermi qualcos’altro.

— Non c’è altro che voglio. Eccetto, forse, un’arpa con le corde fatte d’aria, che possa esser suonata anche da un uomo senza mani.

Ghisteslwchlohm restò in silenzio. Morgon aveva sollevato lentamente la testa a guardare l’arpista, mentre quelle parole risvegliavano nella sua memoria i frammenti di qualche antico enigma. La voce di Deth era risuonata calma come sempre, ma negli occhi aveva una luce dura che lui non gli aveva mai visto. Ghisteslwchlohm sembrava riflettere su qualcosa di ambiguo, come se dietro la voce del vento mattutino ce ne fosse un’altra che non riusciva a cogliere.

Infine il mago disse, vagamente incuriosito: — Dunque perfino la tua pazienza ha dei limiti. Potrei guarire le tue mani.

— No.

— Deth, tu stai diventando irragionevole. Sai bene quanto me qual è la posta di questa partita. Morgon inciampa come un cieco nel suo stesso potere. Lo voglio al Monte Erlenstar, e per ottenere questo non voglio combattere con lui.

— Io non tornerò nel Monte Erlenstar — disse Morgon d’impulso. Il mago lo ignorò; i suoi occhi scrutavano con attenzione il volto di Deth.

L’arpista disse: — Io sono vecchio, malconcio e stanco. A Hel mi hai lasciato ben poco, salvo la vita. Sai cos’ho fatto dopo? Ho portato il cavallo a Caithnard, ho trovato uno dei pochi mercanti disposti a non sputarmi addosso appena mi vedono, e ho scambiato il cavallo con quell’arpa. — Indicò lo strumento che aveva deposto con bizzarra cura proprio sulle ceneri del fuoco. — L’ultima cosa che mi rimane, adesso.

— Ti ho detto che posso…

— In tutto il reame non esiste più un cortile o una stalla dove mi sarebbe permesso di suonare, anche se tu mi guarissi le mani.

— Hai accettato questo rischio, sei secoli fa — disse Ghisteslwchlohm. Abbassò la voce: — Invece di suonare l’arpa alla mia corte avresti potuto scegliere un posto meno importante, un posto innocuo e povero, la cui debolezza non gli avrebbe però consentito di sopravvivere alla battaglia finale. Tu lo sapevi. Sei troppo intelligente per metterti a recriminare adesso, e non hai nessuno da incolpare per la tua innocenza perduta; un’innocenza che peraltro non hai mai avuto. Puoi startene qui a patire la fame, oppure portare Raederle di An al Monte Erlenstar e aiutarmi a finire questa partita. Poi potrai chiedere per i tuoi servizi tutto ciò che vuoi, qualunque cosa ci sia nel reame. — Tacque, poi la sua voce si fece aspra: — O forse, in qualche angolo della tua mente che non posso raggiungere, sei legato al Portatore di Stelle?

— Io non devo niente al Portatore di Stelle.

— Non è questo che ti ho domandato.

— Mi hai già fatto la stessa domanda, a Hel. Vuoi una diversa risposta? — Si accigliò, come se l’ira che gli vibrava in ogni parola fosse cosa sorprendente anche per lui. Cercò di calmarsi. — Il Portatore di Stelle è il perno intorno a cui ruota il gioco. Io non sapevo, proprio come te, che sarebbe stato un giovane Principe di Hed, né immaginavo che sarei andato pericolosamente vicino ad affezionarmi a lui. Soltanto a questa ipotesi fui cieco, e ora non ha più molta importanza. L’ho tradito due volte per te. Ma dovrai trovare qualcun altro che tradisca Raederle di An. Io sono un debitore. Comunque questa è una cosa di poco conto: lei non è una minaccia per te. E potresti usare al suo posto un altro governatore della terra, se…

— La Morgol?

Deth si fece così rigido che parve smettere di respirare, come se il suo corpo si fosse pietrificato. Morgon, che lo osservava, si accorse con stupore che qualcosa nell’atteggiamento di lui gli aveva fatto venire le lacrime agli occhi.

Sottovoce l’arpista disse: — No!

— È così, allora. — Il mago lo fissava con una smorfia dura sulla bocca. Annuì, impaziente. — Dunque c’è qualcosa di cui t’importa non poco. Stavo cominciando a dubitarne. Se non posso convincerti a tornare al mio servizio, forse potrò costringerti. La Morgol di Herun è accampata fuori Lungold con duecento delle sue guardie. Le guardie son là, presumo, per proteggere la città; ma la Morgol, per qualche suo incomprensibile impulso, sta aspettando te. Credo che ti darò una scelta: se decidi di lasciare qui Raederle, allora sarà la Morgol che porterò con me al Monte Erlenstar, dopo che con l’aiuto di Morgon avrò sottomesso fin l’ultimo dei maghi di Lungold. Scegli!

Lo fissò, in attesa. L’arpista non aveva battuto ciglio, ma ebbe un fremito quando la voce del mago lo aggredì come un colpo di frusta: — Scegli, ho detto!

Raederle si portò una mano alla bocca. — Deth, verrò con te — sussurrò. — Io seguirò Morgon ovunque, anche là, altrimenti sarei spergiura.

L’arpista non disse nulla, ma si mosse a passi lenti verso di loro con gli occhi fissi sul volto di Ghisteslwchlohm. Gli si fermò davanti, e inalò un lungo respiro come preparandosi a parlare. Poi sollevò improvvisamente un pugno e lo abbatté sulla fronte del Fondatore.

Ghisteslwchlohm indietreggiò, attanagliando con una mano il braccio sinistro di Morgon, che restò immobile per la sorpresa. L’arpista aveva però smarrito l’equilibrio, e cadendo con un ginocchio a terra gemette, come se nella sua mano qualche osso avesse ceduto del tutto. Sollevò la testa, pallido e sofferente. Per qualche istante Ghisteslwchlohm lo fissò, ansando, e Morgon ebbe l’impressione che i ricordi di secoli di collaborazione si condensassero nella sua smorfia di disprezzo. Poi alzò la mano destra. Una lingua di fiamma sferzò l’arpista in pieno volto e lo scaraventò all’indietro, facendolo rotolare fra le erbacce, dove giacque immobile e con gli occhi sbarrati verso il cielo.

Il mago tornò ad afferrare Morgon per le braccia, fissandolo quasi che volesse tenerlo fermo anche con lo sguardo, ed egli si rese conto che la vista di Deth steso al suolo gli aveva strappato un singhiozzo rauco. Stava tremando, ma dalle dita che gli attanagliavano i gomiti sprigionava una forza oscura che gli impediva di lottare. Il mago si passò una mano sulla fronte, come se la sferzata di fuoco scaturita dalla sua mente gli avesse lasciato un forte mal di capo. — In nome di Hel! — ringhiò. — Cos’è che ti fa sprecare la tua compassione per lui? Guardami! Guardami… tu ne hai pietà?

— Non lo so! — gridò Morgon. Un’altra lingua di fiamma nacque dalla mano del mago, passò sopra il corpo di Deth e investì la sua arpa, che prese subito fuoco. Nell’aria risuonarono i clangori delle corde che si spezzavano. D’improvviso la figura di Raederle scintillò di pura fiamma. Il mago proiettò su di lei la sua inflessibile forza mentale per costringerla a riprendere le sue sembianze. Mentre era ancora metà donna e metà fuoco, Morgon si sforzò di contrastare il flusso di potere che avrebbe potuto distruggerla, ma ad un tratto una sensazione lo fece trasalire. Si voltò di scatto: fra gli alberi c’erano dodici cavalieri che li stavano fissando incuriositi. I cavalli erano neri come la notte, ma i loro vestiti avevano strani e mutevoli colori del mare.