Nel silenzio che era sceso sulla radura uno degli sconosciuti commentò: — Sembra che il mondo non sia più un posto sicuro per gli arpisti! — Chinò la testa verso Morgon. — Portatore di Stelle… — Il volto pallido e inespressivo era percorso da vibrazioni che parevano distorcerlo. Da tutti loro emanava l’odore del salmastro. — Figlia di Ylon… — Un nuovo lievissimo inchino, poi i suoi occhi liquidi si spostarono su Ghisteslwchlohm. — Supremo…!
Nell’osservarli Morgon valutò l’una dopo l’altra quali erano le sue possibilità di contrastarli, ma non seppe trovarne una. I nuovi venuti non portavano armi, i loro cavalli erano immobili come pietre; ma intuì che un nonnulla sarebbe bastato per farli scattare ferocemente all’attacco. I loro movimenti sembravano sospesi, come la pausa di apparente calma fra due onde, e non avrebbe saputo dire se per incertezza o per semplice curiosità. Sentì le dita di Ghisteslwchlohm che continuavano ad attanagliargli la spalla, e stranamente il fatto che il mago lo volesse vivo gli parve rassicurante.
Il mago parlò, e il cambiaforma rispose alla sua domanda soltanto con un’osservazione fra ironica e minacciosa: — Sono migliaia d’anni che attendiamo d’incontrare il Supremo.
Il mago sibilò fra i denti: — Dunque è così. Siete voi la progenie dei mari che bagnano Ymris e An…
— No. Noi non apparteniamo al mare. Diciamo che diamo forma a noi stessi grazie al suo arpeggio. Sembra che voi non teniate molto al vostro arpista.
— L’arpista è affar mio.
— Vi ha servito bene. Lo abbiamo osservato per secoli mentre distribuiva i vostri comandi, avallava la vostra mascheratura, e attendeva… come attendevamo noi, già da prima che metteste piede nella terra del Supremo, Ghisteslwchlohm. Dov’è il Supremo? — Il suo cavallo avanzò senza alcun rumore, come un’ombra, fermandosi a tre passi da Morgon. Il giovane frenò l’impulso d’indietreggiare. Il tono del Fondatore, stanco e spazientito, lo stupì:
— Non ho voglia di far gare di enigmi. E neanche di combattere. Voi costruite le vostre sembianze coi corpi dei morti e con le alghe marine; voi respirate, suonate l’arpa, potete morire… questo è tutto ciò che so e che m’interessa di sapere di voi. Girate i cavalli e andatevene, o vi troverete a cavalcare dei mucchi di cenere.
Il cambiaforma fece indietreggiare d’un passo il suo animale, ma senza muovere neppure un muscolo. Nei suoi occhi splendenti come l’acqua vi fu una luce divertita. — Maestro Ohm — disse, — conoscete l’enigma di quell’uomo che a mezzanotte aprì la porta di casa, e che fuori non vide il nero del cielo bensì un nero di diverso genere: l’occhio nero di una creatura che si estendeva sopra di lui con le sue dimensioni enormi? Osservateci meglio. E adesso andatevene senza dir altro, lasciando a noi il Portatore di Stelle e la nostra consanguinea.
— Osservatemi voi! — esclamò il Fondatore. Morgon sentì che la mano lo lasciava, ma l’energia che sprigionò dal mago lo fece vacillare di lato: una forza invisibile si abbatté contro i cambiaforma, spezzando di netto una quercia e scuotendo la vegetazione da cui si levarono nugoli di uccelletti terrorizzati. Attorno a loro balenò un fuoco fatto di energia mentale, che devastava e distruggeva, e pur avvertendone l’urto Morgon si rese conto che il Fondatore proteggeva lui e se stesso schermando le loro menti. Quando fra gli alberi abbattuti ritornò la calma, nel nugolo di foglie e nel polverone che lentamente si dissolveva i cambiaforma riapparvero, intatti. Il loro numero s’era raddoppiato, evidentemente perché metà di essi erano venuti in sembianze di cavallo. Subito dopo però, con tutta calma, essi tornarono alla forma precedente, mentre Ghisteslwchlohm perplesso e scornato li fissava prendendo atto dell’estensione dei loro poteri. Morgon si scostò dall’individuo. I cambiaforma risalirono in sella, e qualche istante più tardi benché non si fossero scambiati alcun segnale, li attaccarono violentemente e d’improvviso.
La loro carica fu un’ondata nera, silenziosissima, che li investì con tale rapidità che Morgon ebbe appena il tempo di reagire. D’impulso creò intornò a sé un’illusione di vuoto in cui il suo corpo scomparve, e della quale forse soltanto Raederle si rese conto; la giovane donna ansimò sentendosi afferrare per un polso da lui. Qualcosa lo colpì, lo zoccolo di un cavallo, o forse l’elsa di una spada, e per lo stordimento uscì di nuovo dallo stato d’invisibilità. Irrigidì ogni muscolo in attesa del colpo mortale che poteva abbattersi su di lui; ma in quei brevi istanti tutto ciò che lo toccò fu il vento. Allora proiettò la sua mente via di lì, rapidissima, per miglia e miglia lungo la Strada dei Mercanti, e individuò un carro coperto da un tendone alla guida del quale un uomo stava fischiettando tranquillo. Proiettò la sua mente in quella di Raederle, riempiendola con la consapevolezza di quel che stava per fare, unendosi a lei fisicamente e psichicamente, poi la abbracciò con forza e la trascinò con sé smaterializzandosi nell’aria.
Un istante più tardi si ritrovò disteso accanto alla ragazza sul pianale del carro coperto, fra pezze arrotolate di stoffa ricamata sulle quali sgocciolava il suo sangue.
CAPITOLO SESTO
Raederle stava piangendo. La strinse a sé per consolarla, e tese gli orecchi ai rumori esterni, ma la ragazza era incapace di placarsi. Al di là dei suoi singhiozzi udì il cigolio delle ruote sulla strada polverosa, e il fischiettare del mercante che gli giungeva attraverso i rotoli di stoffa ammucchiati fin quasi al telone. La strada era tranquilla; dietro il carro non sentì nulla che indicasse la presenza di altri veicoli. Gli doleva la testa, e appoggiò la nuca contro una balla di lino. Chiuse gli occhi. Dentro di lui tambureggiava una tenebra senza suono. Poco dopo le ruote presero una buca, lo scossone lo gettò di lato, e Raederle si sciolse dal suo braccio e si tirò a sedere. Si tolse i capelli dalla faccia.
— Morgon… lui è venuto in piena notte, e io ero scalza. Non ho potuto tentare di sfuggirgli. Dapprima ho creduto che fossi tu. Ma in nome di Hel, cosa voleva fare quell’arpista? Io non lo capisco. Io non… — La voce le si bloccò in gola quando poté vederlo meglio, quasi avesse scoperto d’avere un cambiaforma accanto a sé. Si portò una mano alla bocca, poi allungò l’altra a sfiorargli il volto. — Morgon…
Lui si toccò la fronte con una mano, esaminò il sangue rimastogli sulle dita ed emise un borbottio di sorpresa. Un bruciore gli correva su tutto un lato della faccia, dalla tempia alla mandibola. Gli doleva una spalla, e nel toccarsela notò di avere la tunica stracciata. Un taglio irregolare ed escoriato, che avrebbe potuto esser stato prodotto da uno zoccolo affilato, gli segnava la faccia e proseguiva poi sulla spalla scendendo fino a metà del torace.
Si raddrizzò con un mugolio, girandosi a guardare le macchie di sangue che aveva lasciato sul fondo del carro e sulla stoffa pregiata del mercante. Un tremito improvviso e violento lo scosse, costringendolo a respirare a fondo per calmarsi.
— Sono andato a cacciarmi in trappola come un idiota! — ansimò, e imprecò sottovoce contro se stesso finché non s’accorse che lei si stava alzando. La afferrò per un polso, tirandola di nuovo a sedere. — No!
— Vuoi lasciarmi? Sto soltanto andando a dire al conducente di fermarsi. Se non mi lasci mi metto a gridare.
— No, Raederle, senti… vuoi ascoltarmi? Siamo ad appena poche miglia a ovest del posto dove ci hanno sorpresi. I cambiaforma ci cercheranno. E lo stesso farà Ghisteslwchlohm, se non è morto. Dobbiamo allontanarci il più possibile da loro.
— Io non ho neppure le scarpe! E se insisterai ancora perché cambi forma, ti darò un pugno nei denti. — Ma deglutì, impietosita, sfiorandogli ancora la guancia. — Morgon, vuoi smetterla di piangere?