— Sto ancora piangendo?
— Sì. — Anch’ella aveva gli occhi umidi. — Sembri uno degli spettri di Hel. Per favore, lascia che il mercante ti aiuti.
— No. — Il veicolo si fermò d’improvviso, e il sobbalzo gli strappò un grugnito. Si tirò in piedi, vacillando, e la aiutò ad alzarsi. Le falde del telone si aprirono, e fra esse comparve il volto stupefatto del mercante seduto a cassetta.
— Per gli occhi del Lupo-Re! Si può sapere cosa state facendo lì? — Aprì del tutto il telone per illuminare l’interno. — Guardate il danno che avete fatto su quella stoffa ricamata. Avete un’idea di quanto costa questa roba? E quel velluto bianco…
Morgon vide che Raederle stava per rispondere. La prese per mano e proiettò la sua mente fuori da lì, come un’ancora scagliata nell’acqua che affondasse nell’ombra in cerca di un luogo dove riposare. Individuò un tratto di strada soleggiato e tranquillo, più avanti, in cui l’unico viandante visibile era un musicista a cavallo che canterellava fra sé trottando verso Lungold. Morgon catturò la mente di Raederle nella sua, interrompendola a mezzo di quel che stava dicendo, e si trasportò con lei non distante dal musicista.
Per un paio di minuti restarono immobili sulla strada, alle spalle del cavaliere che si allontanava. Il passaggio dalla penombra alla luce viva abbagliò Morgon. Raederle stava ancora lottando contro la sua stretta mentale con sorprendente ostilità. Comprese che la ragazza era irritata, stordita dall’accaduto e molto vicina a una sorta di panico. Uno sguardo in lei gli consentì di capire che aveva vaste risorse di potere, e che avrebbe saputo perfino infrangere la sua stretta mentale, ma in quel momento era troppo spaventata per controllare i propri pensieri. Di nuovo mandò la sua identità, smaterializzata e priva di forma, a sorvolare la strada; sfiorò la psiche di alcuni cavalli, di un falco, di uno stormo di corvi che si nutrivano presso un bivacco abbandonato. Fu la mente di un giovane contadino, che aveva lasciato la casa paterna e in groppa a un vecchio cavallo da tiro andava a cercar fortuna a Lungold, ad ancorare la mente di Morgon. Si proiettò con Raederle in quella direzione. Fermo nel polverone sollevato dagli zoccoli del cavallo da tiro Morgon ne udì l’ansimare rauco ed esausto. Qualcosa gli impattò dolorosamente nell’interno del cranio, e d’impulso reagì per combatterlo, ma subito si rese conto che era un grido mentale di Raederle. Placò la propria mente e quella di lei, quindi proseguì nella sua esplorazione della strada.
Un fabbro ambulante, che girava da un villaggio all’altro per ferrare cavalli e riparare utensili da cucina, era seduto sul suo carro e sonnecchiava, con la pancia piena di birra. Smaterializzandosi Morgon restò agganciato a lui, sognando i suoi sogni, e lo seguì per parte della calda mattina. Raederle si lasciava trasportare passivamente, ostile e lontana. Avrebbe disperatamente voluto comunicare con lei, ma non osò interrompere la concentrazione. Aprì ancora la mente in un’esplorazione, finché non sentì dei mercanti che ridevano. Si lasciò guidare dal suono delle loro risa e poco dopo giunse presso di loro, fra gli alberi. Ad un tratto il suo senso di vicinanza con la mente di Raederle svanì. La cercò a tentoni nello spazio circostante ma non riuscì a captare che i vaghi pensieri di qualche animale selvatico: rintracciarla con l’esplorazione mentale gli rimase impossibile. Allarmato e stupefatto sentì che la sua concentrazione andava in pezzi; si rimaterializzò sul terreno e scoprì che la ragazza era lì, in piedi dinnanzi a lui.
Lo fissava ansimando, muta, tesa come se fosse sul punto di urlare o di colpirlo, o di scoppiare in lacrime. Rigido in volto, stentando a farsi uscire il fiato di bocca, lui disse: — Ancora una volta. Ti prego. Lungo il fiume.
Dopo qualche istante lei annuì. Le sfiorò una mano, poi tornò a immergersi nella sua mente. Più a ovest captò pensieri nei quali c’era il freddo, malgrado la calura: pesci, uccelli acquatici e animali che nuotavano nel fiume. Davanti a lui apparve il corso d’acqua; si rimaterializzarono sulla riva erbosa, in un tratto pianeggiante fitto d’erbe palustri.
Lasciò la presa su Raederle e s’inginocchiò a bere. La voce dell’acqua corrente fluì in lui, rinfrescandogli anche i pensieri. Si volse a cercare Raederle con gli occhi, desideroso di dirle qualcosa, ma non riuscì a vedere dove fosse andata. Un’improvvisa sonnolenza lo invase; si sdraiò con la faccia sulle umide felci e cadde nel sonno.
Quando si risvegliò era notte fonda, e girandosi vide Raederle che seduta accanto a lui lo vegliava, alla luce di un focherello. Per un poco non fecero altro che fissarsi, in silenzio, come se ciascuno osservasse l’altro alla luce dei propri ricordi. Poi Raederle gli accarezzò una guancia. Era pallida e stanca, con una luce negli occhi che lui non ricordava di averle mai visto.
L’angoscia gli serrò la gola. Mormorò: — Scusami. Ero disperato.
— Va tutto bene. — Gli aggiustò il bendaggio intorno al torace, nel quale lui riconobbe strisce della sua sottoveste. — Ho trovato delle erbe che la guardiana dei porci… voglio dire Nun, mi insegnò a riconoscere. Lei le usava per curare i maiali. Spero che funzionino anche su di te.
Le prese una mano e la tenne fra le sue. — Ti prego. Dillo.
— Non so cosa dovrei dirti. Ma nessuno aveva mai controllato e dominato la mia mente prima d’ora. Ero arrabbiatissima con te. Desideravo soltanto liberarmi, sfuggirti e tornare ad Anuin. Poi… mi sono liberata. E sono rimasta con te perché tu capisci… tu capisci il potere. Lo capiva anche il cambiaforma che mi ha chiamato consanguinea, ma in te ho fiducia. — Tacque. Lui attese, scrutando l’espressione febbrile di quegli occhi in cui si rifletteva il fuoco, i capelli disordinati intorno al volto bianco come la madreperla, i lineamenti dall’espressione mutevole quanto i giochi della luce nelle acque del mare. D’improvviso lei si girò di lato. — Smettila di fissarmi in quel modo!
— Mi spiace — disse lui. — Sei bellissima. Ti rendi conto di quale potere occorre per spezzare la presa che avevo su di te?
— Sì. Il potere di un cambiaforma. È questo ciò che ho.
La osservò in silenzio. Un lieve brivido lo percorse. — Loro hanno molto potere — si alzò a sedere, ignorando la fitta di dolore lungo il torace. — Perché non ne fanno uso? Non l’hanno mai usato. Avrebbero potuto uccidermi già da tempo. A Herun, il cambiaforma Corrig avrebbe potuto ammazzarmi mentre dormivo. Invece mi ha sfidato a ucciderlo. E ad Isig… quei cambiaforma non avrebbero forse potuto uccidere un contadino di Hed che non aveva mai impugnato una spada in vita sua? In nome di Hel, chi sono? Cosa vogliono da me? E cosa cerca Ghisteslwchlohm?
— Credi che lo abbiano ucciso?
— Non lo so. Potrebbe aver avuto il buonsenso di fuggire. Non mi sarei affatto sorpreso se ce lo fossimo trovato accanto, su quel carro.
— Verranno a cercarti a Lungold.
— Lo so. — Si passò le mani sulla faccia. — Lo so. Può darsi che con l’aiuto dei maghi io riesca a scacciarli almeno fuori città. Devo essere là al più presto. Devo…
— Capisco. — Ebbe un sospiro stanco. — Morgon insegnami la forma-corvo. Infine è una forma propria dei sovrani di An. È meglio volare che camminare a piedi nudi.
Lui sollevò il capo. Si distese all’indietro e con un braccio la trasse distesa al suo fianco, cercando un modo per riassumerle in breve l’insieme di nozioni che gli si affollavano nella mente. Infine mormorò: — Imparerò a suonare l’arpa — e la sentì sorridere contro il suo collo. Poi ogni sua sensazione si raggelò intorno al ricordo di un’arpa che non avrebbe suonato mai più. Non si accorse che stava piangendo finché non fu costretto a togliersi quel velo dagli occhi con un dito. Raederle taceva, stringendosi dolcemente a lui. Dopo qualche minuto, quando il fuoco s’era ormai spento, le disse: — Ero andato a sedermi davanti a Deth non perché sperassi di capirlo, ma perché lui mi aveva attirato là, mi voleva là. E a tenermi là non sono state le sue parole, né la sua arpa, ma qualcosa che malgrado tutto aveva ancora la forza di legarmi a lui. Mi voleva accanto a sé. Sapevo che mi voleva, ed è per questo che ci sono andato. Riesci a capire questo?