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Incerto domandò: — Iff?

— Sì. — La sua mano si alzò alla spalla di Morgon, sfiorando il corvo con gentilezza, ed egli ricordò all’improvviso i libri che la Morgol di Herun aveva portato a Caithnard, coi loro margini nitidamente ornati di fiori selvatici.

— Voi siete lo studioso che amava la natura incontaminata.

Il mago alzò gli occhi in quelli del corvo e il suo volto placido apparve d’un tratto sorpreso, vulnerabile. Il mago dalla faccia di falco depose nel loculo il teschio che aveva fra le mani, e attraversò il sepolcreto verso di loro.

— Non molto tempo fa abbiamo rimandato ad Anuin un corvo proprio come questo. — La sua voce misurata, tesa, era molto simile agli occhi, fieri e insieme pazienti.

— Raederle! — esclamò Nun. Nel suo tono compiaciuto vibrò l’accento caratteristico dei guardiani di porci. — In nome di Hel, cosa stai facendo qui?

Iff sbarrò gli occhi per lo stupore. Tolse la mano dalle penne del corvo e gli disse: — Vi domando scusa, signora. — Si volse a Morgon: — Vostra moglie?

— No. Non ha voluto sposarmi. E non vuole neppure tornarsene a casa. Ma sa badare a se stessa, comunque.

— Contro Ghisteslwchlohm? — Gli occhi di falco si fissarono negli occhi del corvo. Agitandosi nervosamente il nero volatile si appoggiò all’orecchio di Morgon. Per un attimo il giovane fu tentato di toglierselo dalla spalla e nasconderselo sotto la tunica, sul cuore. Le sopracciglia del mago s’erano incurvate bizzarramente. — Per secoli ho servito i Re di An e di Aum. Dopo la distruzione di Lungold divenni un falco, e non feci altro che essere catturato, invecchiare al loro servizio, fuggire e poi tornare giovane ancora. Ho portato i loro cappucci di cuoio, i loro campanelli, e ho cacciato nel vento per tornare ogni volta nelle loro mani. Nessuno di loro, neppure Mathom di An, è mai riuscito a vedere cosa c’era dietro i miei occhi. In lei c’è un potere grande e tormentoso… mi ricorda qualcuno che vidi quand’ero un falco…

Morgon accarezzò il corvo con dolcezza, reso perplesso dal silenzio di lei. — Ve lo dirà lei stessa — mormorò infine, e il volto antico e orgoglioso cambiò espressione.

— Forse ella ha paura di noi? Ma per quale ragione? In forma di falco prendevo il cibo dalla mano di suo padre.

— Voi siete Talies — disse d’un tratto Morgon, e il mago accennò di sì. — Lo storico. A Caithnard ho letto ciò che avete scritto di Hed.

— Be’… — Di nuovo i suoi occhi acuti ebbero un sorriso. — Lo scrissi molti secoli fa. Senza dubbio Hed dev’essere cambiata molto, per aver prodotto oltre ai cavalli e alla birra anche il Portatore di Stelle.

— No. Se ci tornaste, trovereste l’isola immutata. — Ma nel ricordare gli spettri di An la sua voce ebbe un fremito. Tornò a volgersi al mago che aveva l’aria di un guerriero di Ymris. — E voi siete Aloil, il poeta. Avete scritto liriche d’amore a… — Di nuovo la sua voce esitò, stavolta per l’imbarazzo. Ma Nun stava sorridendo.

— È buffo pensare che la gente si preoccupi di ricordare queste cose dopo mille anni e più. Sei stato istruito bene in quella scuola.

— Gli scritti dei maghi di Lungold, le opere che non furono distrutte qui, formano la base della Scuola degli Enigmi — aggiunse lui, captando una domanda nella mente di Aloil. — Parte delle vostre opere sono a Caithnard, e le altre nella biblioteca reale di Caerweddin. Astrin Ymris ha molte delle vostre poesie.

— Poesie! — Il mago si passò una mano fra i capelli. — Avrebbero dovuto finir distrutte qui. Meritavano poco di meglio. Tu vieni in questo luogo a riportare dei ricordi, le storie di un reame che non vivremo abbastanza per rivedere. Noi ci siamo riuniti qui per uccidere Ghisteslwchlohm o morire.

— Non io — osservò tranquillamente Morgon. — Ciò che voglio è porre al Fondatore alcune domande.

Lo sguardo pensoso del mago parve abbandonare i ricordi per rimettersi a fuoco su di lui. — Domande!

— Questo è il suo campo — disse Nun con calma. — È un Maestro degli Enigmi.

— E gli enigmi cos’hanno a che fare con questo?

— Be’… — I denti della donna tornarono a stringersi sulla pipa, e fra essi soffiò piccoli sbuffi di fumo, senza rispondere.

In tono pratico Iff chiese: — Credi di averne la forza?

— Di ucciderlo? Sì. Ma devo… è necessario che io costringa la sua mente a rivelarmi delle informazioni. Troverò il potere di farlo. Da morto non mi servirebbe a niente. Però non posso battermi contemporaneamente anche coi cambiaforma. E non sono sicuro di quali siano i loro poteri.

— Tu ti proponi scopi complessi — borbottò Nun. — Noi siamo venuti qui con un obiettivo molto semplice…

— Ho bisogno che voi restiate in vita.

— Bene. È piacevole sentirtelo dire. Guardati intorno. — La luce della torcia sembrò espandersi seguendo il gesto della sua mano. — Qui c’erano ventinove maghi e oltre duecento fra uomini e donne di talento dediti allo studio, sette secoli or sono. Di questi, stiamo seppellendo i resti di duecento persone e ventiquattro maghi. Ventitré anzi, poiché Suth è stato sepolto altrove. E tu sai bene com’è morto. Tu hai camminato fra queste macerie. È una grande tomba gravida di magia. C’è ancora del potere in queste vecchie ossa, ed è perciò che le stiamo seppellendo: non vogliamo che fra qualche secolo tutte le fattucchiere e i negromanti del reame vengano qui a caccia di una mano o di un teschio per i loro piccoli incantesimi. I morti di Lungold hanno diritto di riposare in pace. Io so che hai infranto il potere di Ghisteslwchlohm per liberarci. Ma quando lo hai lasciato fuggire per metterti invece all’inseguimento di quell’arpista, gli hai dato il tempo che gli serviva per rafforzarsi. Sei certo, adesso, che riusciresti a impedire che qui si abbatta per la seconda volta la distruzione?

— No. Non sono certo di niente. Neppure del mio nome, perciò devo avanzare da un enigma all’altro. Ghisteslwchlohm ha costruito e poi distrutto Lungold a causa di queste tre stelle. — Si scostò i capelli dalla fronte. — Esse mi hanno guidato fuori da Hed, fin fra le sue mani… e senza di loro sarei rimasto a Hed per sempre, accontentandomi di fare la birra e di allevare cavalli da tiro, senza mai sapere se voi eravate vivi o morti, né che il Supremo di Monte Erlenstar fosse una menzogna. Ho bisogno di sapere cosa sono queste tre stelle. E perché Ghisteslwchlohm non aveva paura del Supremo. E perché mi voleva vivo, potente ma prigioniero. E quale potere lui teme che io raggiunga. Se lo uccidessi il Reame sarebbe libero dalla sua presenza, ma io resterei con delle domande a cui nessuno potrà mai rispondere… come un uomo con le tasche piene d’oro ma destinato a morir di fame in una terra dove l’oro non vale niente. Mi capite? — chiese, volgendosi ad Aloil, e nel suo volto duro e rugoso come corteccia ebbe l’impressione di rivedere il poderoso albero che il mago era stato per sette secoli, a Pian Bocca di Re.

— Ciò che io capisco — mormorò il mago, — è solo quello che lui mi ha condannato a essere per settecento anni. Fagli le tue domande. Poi, se sarà lui ad ammazzarti o se riuscirà a fuggire, io lo ucciderò, a costo della vita. Tu sai cos’è la vendetta. In quanto alle stelle che hai sulla fronte… non so come si possa riporre in loro una qualche speranza. E non comprendo nulla dei tuoi propositi. Se riusciremo ad andarcene vivi da Lungold potrò permettermi d’essere curioso sulle tue stelle, e sul potere che ti ha consentito d’immischiarti nelle leggi della terra di An. Ma ora come ora… ci hai liberati, hai riportato al presente i nostri nomi dal passato, hai seguito una strada che ti ha condotto fin quaggiù con noi e i nostri morti… tu sei un giovane e stanco Principe di Hed, con una tunica sporca di sangue e un corvo su una spalla, e dietro i tuoi occhi si cela un potere che hai strappato fuori dal cuore stesso di Ghisteslwchlohm. È per colpa tua che io ho trascorso sette secoli come una quercia, ascoltando solo il vento del mare? Quale libertà, quale destino ci hai dato modo d’incontrare qui?