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— Non lo so — disse lui, rauco. — Vi troverò la risposta.

— Lo farai. — Nella sua voce s’insinuò una nota di stupore. — Lo farai, Maestro degli Enigmi. Tu non prometti speranze.

— No. Verità. Se riuscirò a trovarla.

Ci fu silenzio. La pipa di Nun s’era spenta. Le labbra, semiaperte, le davano l’espressione di chi vede qualcosa d’incerto e confuso cominciare a prender forma davanti a sé. — Riesci quasi — sussurrò, — a farmi sperare. Ma in nome di Hel, sperare cosa? — Lasciò perdere le sue riflessioni e si accostò a Morgon, esaminò lo squarcio della tunica e la cicatrice ancora fresca sotto di esso. — Hai avuto dei guai lungo la strada. E non quando eri in forma-corvo.

— Già. — Tacque, riluttante a parlarne, ma i loro occhi lo fissavano in attesa. — Una notte, seguendo la musica dell’arpa di Deth, sono caduto in un’altra trappola. — Il silenzio s’infittì intorno a lui. — Ghisteslwchlohm mi stava cercando lungo la Strada dei Mercanti. E mi ha trovato. Raederle era indifesa nelle sue mani, e non ho potuto far uso del mio potere contro di lui. Voleva riportarmi al Monte Erlenstar. Ma proprio allora i cambiaforma ci trovarono. Io sono fuggito… — Sfiorò la cicatrice rimastagli sulla tempia. — Mi sono nascosto proiettando un’illusione, e sono fuggito. Da quando abbiamo proseguito in volo, non ho più visto nessuno di loro. Può anche darsi che si siano uccisi a vicenda, ma ne dubito. — E sentendo il loro silenzio che lo premeva incalzante come una domanda, aggiunse: — Il Supremo ha ucciso il suo arpista. — Scosse il capo ed ebbe una smorfia, incapace di raccontare di più ai loro sguardi muti. Udì Iff emettere un sospiro, e avvertì l’esperto tocco della mente di lui nella sua.

Talies domandò, secco: — E Yrth dov’era nel frattempo?

Morgon rialzò lo sguardo dalle ossa sparse al suolo. — Yrth?

— Era con voi sulla Strada dei Mercanti.

— Nessuno… — Esitò. Un refolo d’aria penetrò oltre le illusioni che sbarravano il sepolcreto, e la torcia si agitò come un animale in trappola. — Con noi non c’era nessuno — disse. Ma poi ricordò il Grande Urlo uscito dal nulla, e la misteriosa figura che l’aveva guardato nella notte. Incredulo mormorò: — Yrth?

Gli altri si scambiarono un’occhiata. Nun disse: — È partito da Lungold per trovarti, per darti il poco aiuto che poteva. Non l’hai visto?

— Forse quando… ci attaccarono. Forse Yrth era lì. Ma non si è rivelato a me. Deve aver perduto le nostre tracce quando abbiamo cominciato a volare. — Cercò di ricordare l’accaduto. — Ci fu un momento, dopo che il cavallo mi colpì, che persi il controllo dell’illusione con cui mi proteggevo. E i cambiaforma avrebbero potuto uccidermi, allora. Avrebbero potuto farlo, ero inerme. Ma nulla mi toccò e… e forse fu lui a salvarmi la vita in quell’istante. Però, se è rimasto là dopo la mia fuga…

— Se avesse avuto bisogno d’aiuto ce lo avrebbe fatto sapere — disse Nun. Si passò sulla fronte una mano indurita dal lavoro, preoccupata. — Ma mi chiedo dove sia, adesso. Probabilmente ha assunto le spoglie di un vecchio viaggiatore e ti sta cercando, su e giù per la Strada dei Mercanti, non lontano forse dal Fondatore e dai cambiaforma…

— Avrebbe dovuto parlarmi. Se avesse avuto bisogno di aiuto, avrei combattuto al suo fianco. È per questo che sono qui.

— Ma avresti potuto perdere la vita. No. — Nun parve rispondere ai suoi stessi dubbi. — Lui tornerà, quando sarà il momento. Forse è rimasto là per dare sepoltura all’arpista. Un tempo Yrth gli insegnò alcune canzoni qui, in questa scuola. — La donna tacque, e Morgon lasciò vagare gli occhi sulle ossa. Presso il muro due scheletri sembravano abbracciarsi, e a quella vista chiuse gli occhi. Sentì il gracidio del corvo come da grande distanza, e la dolorosa presa degli artigli sulla spalla lo fece tornare alla realtà. Ansando si volse a fissare il corvo e si rese conto, d’improvviso, del sudore freddo che gli aveva imperlato il volto.

— Sono stanco — mormorò.

— E ne hai tutte le ragioni. — Iff lo aveva preso per un braccio. Il suo volto era una maschera di rughe sottili come capelli. — C’è uno spiedo con della selvaggina in cucina… la sola stanza rimasta con quattro mura e un tetto. Noi abbiamo dormito quaggiù, ma accanto al caminetto ci sono dei giacigli. Fuori dalla porta ci sarà una guardia, per sorvegliare i dintorni.

— Una guardia?

— Una delle guardie della Morgol. Sono state loro a provvedere alle nostre necessità, grazie alla generosità della Morgol.

— La Morgol è ancora qui?

— No. A lungo l’abbiamo esortata ad andarsene e lei non ci ha dato ascolto, finché d’improvviso, due settimane fa, senza dare spiegazioni è tornata a Herun. — Sollevò una mano e fece materializzare una torcia dall’aria e dalla tenebra. — Vieni, ti faccio strada.

Morgon lo seguì in silenzio attraverso l’illusione, lungo le stanze ingombre di macerie e poi giù per un’altra breve scala fin nelle cucine. Il profumo della carne arrosto in caldo sulle braci gli fece provare una stretta allo stomaco. Sedette a un lungo tavolo malconcio, intanto che Iff cercava un coltello e un boccale pulito.

— Abbiamo vino, pane, formaggio, frutta… le guardie ci tengono riforniti. — Tacque qualche istante, sfiorando una penna delle ali del corvo. — Morgon — mormorò poi. — Non ho idea di cosa ci porterà l’alba. Ma se tu non avessi deciso di venire qui, noi ci troveremmo davanti la morte certa. Quale che sia la cieca speranza che ci ha dato la forza di restare vivi per sette secoli, essa è radicata in te. Può darsi che tu abbia paura di sperare, ma io no. — Toccò appena la guancia ferita di Morgon. — Grazie per essere venuto. — Si raddrizzò. — Ti lascio qui. Noi lavoreremo per tutta la notte, e non credo che dormiremo molto. Se hai bisogno di noi, chiama.

Gettò la torcia nel caminetto e uscì. Morgon abbassò gli occhi sul tavolo, dove si allungava l’ombra del corvo. Infine si riscosse e pronunciò il nome di lei. Il pennuto parve sul punto di cambiar forma e aprì le ali, per balzar giù dalla sua spalla. In quel momento la porta esterna della cucina si aprì di botto ed entrò la guardia di turno: una giovane donna dai capelli neri la cui immagine Morgon trovò così familiare e tuttavia così nuova che lo stupore lo paralizzò. La ragazza era entrata a passi lunghi, ma nel vederlo si arrestò come se avesse sbattuto contro un muro. Poi deglutì un groppo di saliva.

— Morgon?

Lui si alzò. — Lyra! — Era cresciuta, vide. La corta tunichetta scura rivestiva un corpo alto e robusto. Nella penombra il volto di lei era per metà quello della ragazzina che egli ricordava e per metà quello della Morgol. Poiché sembrava incapace di muoversi, fu lui ad andarle accanto. E nell’avvicinarsi notò che la mano con cui reggeva la lancia tremava. Si fermò anch’egli.

— Sono io.

— Lo so. — Lei deglutì ancora, con gli occhi scuri colmi di sorpresa. — Come hai… come sei entrato in città? Nessuno ti ha visto.

— Hai messo una sentinella alle mura?

Lei annuì, nervosamente. — Non c’è altra difesa in città. Siamo state chiamate qui dalla Morgol.