Quel travestimento mentale gli permise di attraversare lo spiazzo deserto fino alla Scuola senza venir individuato. Il fuoco che s’era nutrito dell’antico potere stagnante fra le pietre ardeva ancora; fredde fiamme verdastre balenavano fra le mura corrose, divorando l’energia rimasta dentro di esse. La mente di Morgon, sintonizzata sulle ottuse sensazioni di una creatura che strisciava avanti, non captava segnali di pericolo benché intorno a lui ruggisse ancora la distruzione. Un muro crollò mentre lo oltrepassava; le macerie si sgretolarono proprio alle sue spalle, ma tutto ciò che sentì fu una lontana vibrazione che a stento dai piedi gli si trasmise al cervello. Poi un misterioso e gentile tocco mentale lo indusse ad emergere dall’informità di quei pensieri da verme, ed a seguirlo incuriosito. Spezzando la catena psichica che s’era imposto tornò conscio di sé, e si ritrovò al centro della devastazione e delle fiamme, con un sussulto. Lo strano tocco mentale si fece imperativo, ed egli s’accorse che il locale in cui era penetrato stava crollando su se stesso. Non gli restava il tempo di fuggire: di nuovo smaterializzò la sua identità nelle pietre, le stesse che gli rovinarono attorno, divenne parte di quel caos di calcinacci, si spezzò al suolo con loro e si risollevò come polvere aleggiando sull’ammasso di macerie quando esso tornò immobile. Dopo qualche istante rimise insieme i suoi pensieri e riprese la sua forma umana. Soltanto allora vide Nun, un’ombra vaga oltre il polverone, che lo scrutava dopo avergli dato quell’avvertimento. La maga non disse nulla e svanì dopo un momento, lasciando dietro di sé uno sbuffo del fumo della pipa a roteare nell’aria.
La battaglia che infuriava nel cuore della Scuola sembrava scuotere il terreno. Cautamente si fece strada in quella direzione. Dal lampeggiare di luci che scorgeva oltre le belle finestre dell’edificio principale comprese che il suo punto focale era là dove aveva preso inizio: il vasto salone circolare che ancora riecheggiava del nome del Fondatore. Dalla facilità con cui le ondate di poteri venivano deviate fuori dal locale gli parve di arguire che lo scontro era a senso unico. Il Fondatore stava giocando al gatto col topo con i maghi, e usava le loro vite come un richiamo per attirarlo lì. Un istante più tardi Morgon ne ebbe la prova. Sentì la mente del Fondatore scivolare fra le fiamme come uno scandaglio di luce nera che lo cercava. I suoi pensieri ne vennero sfiorati brevemente: la consapevolezza di un potere enorme e pericoloso proprio dinnanzi a lui. Ma quel potere non tentò di attanagliare la psiche di Morgon; se ne ritrasse, e subito dopo lui udì un grido che gli raggelò il sangue.
Aloil uscì da una delle finestre roteando nell’aria, in una forma che non era più esattamente la sua. Il mago stava lottando disperatamente contro l’energia che l’aveva sollevato dal suolo, ed i suoi pensieri erano un groviglio frenetico, ma liberarsi gli era impossibile. La sua forma fisica stava cambiando inarrestabilmente. Dalle spalle gli emersero rami che si allungarono divenendo tronchi fronzuti; il viso sconvolto perse ogni espressione mutandosi in dura corteccia, e il suo corpo si allungò come un tronco cilindrico e nodoso. Quando sfiorò il terreno dai piedi gli scaturirono radici che penetrarono a fondo nell’erba, e ogni sua identità umana svanì in un fruscio di fronde. Sul vasto spiazzo dove nulla era cresciuto per sette secoli c’era adesso una grande quercia, vivente ma immobile. E poi da una finestra scaturì un fulmine diretto verso l’albero, così potente che avrebbe potuto schiantarlo facendolo volare via dalle radici.
Ma Morgon aprì la mente per riassorbirlo prima che l’albero ne fosse ucciso. Lo scagliò di nuovo all’interno, verso Ghisteslwchlohm, e sentì una delle pareti esplodere in pezzi. Poi, proiettandosi spietatamente nelle difese psichiche del Fondatore, unì i pensieri a quelli di lui, così com’erano stati uniti nelle oscure profondità del Monte Erlenstar.
Assorbì il potere che ruggiva per scacciarlo, lasciandolo bruciare innocuo in un angolo della mente. Pian piano la sua stretta si rinsaldò, finché i processi psichici del Fondatore tornarono ad essergli familiari, intimi, quasi che li avesse distesi dinnanzi agli occhi. Ignorò le esperienze, gli istinti, la lunga e misteriosa storia della vita del Fondatore, e si concentrò soltanto sulla sorgente dei suoi poteri, per estrarglieli sino a prosciugarla. Subito dopo s’accorse che Ghisteslwchlohm aveva capito ciò che lui stava cercando di fare, avvertendo i rabbiosi e frenetici flussi d’energia che lo colpivano e quasi lo scossero via; li contrastò e li respinse, finché dimenticò ogni altra cosa salvo quella mente ritorta attorno alla sua in uno scontro disperato. E infine quella lotta fatta d’energia e di potere cessò. Spinse più a fondo le sue dita immateriali, cercando altra energia da bloccare e di cui impadronirsi, e senza che se lo aspettasse d’un tratto fu il Fondatore a cedergli qualcosa: con sua sorpresa si trovò ad assorbire di nuovo la consapevolezza del governo della terra di Hed.
La sua stretta mentale vacillò, incrinandosi per la furia e il disgusto davanti a quell’ironico regalo. Un lampo di rabbia allo stato puro lo scaraventò al suolo. Stordito cercò a tentoni di opporre una difesa, ma la sua mente non riuscì che ad emettere strali di fuoco a caso. Il potere lo colpì ancora, mandandolo a rotolare sui sassi arroventati. Qualcuno lo tirò in piedi: erano i maghi, e stringendoglisi attorno essi distolsero l’attenzione di Ghisteslwchlohm innalzando uno sbarramento di forza che scosse l’interno dell’edificio. Talies, spolverandosi la tunica infangata, disse con voce secca: — Uccidilo!
— No.
— Tu… testardo contadino di Hed! Se sopravviverò a questa battaglia giuro che andrò a studiare alla Scuola degli Enigmi. — Si volse di scatto. — In città si sta combattendo. Sento le grida dei morenti.
— C’è un esercito di cambiaforma. Hanno attaccato la porta principale mentre sorvegliavamo le altre. Ho visto… mi è parso di vedere Yrth. È capace di parlare ai corvi?
Il mago annuì. — Bene. Probabilmente sta combattendo coi mercanti. — Aiutò Morgon a riassumere l’equilibrio. Ma la terra tremava sotto di loro, e una scossa più forte li fece cadere di nuovo l’uno sull’altro. Si rialzò sulle ginocchia. Morgon si tirò stancamente in piedi ed esaminò le mura intorno al salone. — Ormai dev’essere esausto.
— Tu credi?
— Bisogna che io entri là.
— E come?
— Entrerò a piedi, camminando. Ma devo distrarre la sua attenzione… — Rifletté qualche istante, sfregandosi una contusione su un polso. Scandagliò l’edificio con la mente e ripercorse le rovine dell’antica biblioteca, dove giacevano i resti di centinaia di libri di magia. Quelle pagine semidistrutte erano ancora gravide di potere: i lucchetti chiusi da incantesimi, le parole arcane non pronunciate da secoli, l’energia dei maghi che avevano messo per iscritto le loro esperienze con le forze arcane. Risvegliò quei poteri dormienti, ne attrasse fluidi e rivoli dentro di sé. Per un istante fu quasi sopraffatto dal caos di quei frammenti. Parlando ad alta voce recitò strane teorie di nomi, di parole magiche, incantesimi scarabocchiati da studenti su fogli sparsi, talora grotteschi, un miscuglio di conoscenze e di energie che nel riemergere balenavano di bizzarre forme nella luce rossa dell’incendio. Ombre, pietre che si muovevano e parlavano, uccelli ciechi le cui ali brillavano di colori incantati, creature goffe che sembravano costruire se stesse emergendo dai mucchi di macerie, tutto ciò egli riunì e mise in marcia contro Ghisteslwchlohm. Rievocò gli spettri degli animali uccisi durante la distruzione: pipistrelli, corvi, donnole, furetti, volpi, lupi dal pelame bianco e topi. Le loro forme scivolarono nella notte intorno a lui chiedendo di nuovo la loro vita, finché non li mandò verso la sorgente del potere. Aveva poi cominciato a lavorare sulle radici degli alberi morti rimaste nella terra, quando l’avanguardia del suo esercito saggiò le difese del Fondatore. L’assalto di quei frammenti di potere, rozzi, quasi innocui, e tuttavia troppo numerosi per poter essere ignorati, distolse l’attenzione del Fondatore. Per un momento ci fu un altro intervallo, durante il quale lo spettro di un lupo uggiolò le note di una canzone morta. Morgon corse senza far rumore verso il salone. C’era quasi arrivato allorché il suo fantomatico esercito scaturì fuori dal locale passandogli sopra e attorno, e come una marea di ombre si disperse nella notte verso la città.