Выбрать главу

Fu destato dal salto di un pesce che accanto a lui balzò nella luce solare per ingoiare un insetto, e su di lui s’allargarono anelli di minuscole onde. Quando riprese la forma umana, emergendo di colpo dalle erbe fino alle ginocchia, l’acqua scrosciò attorno in una grandine di goccioline d’argento. A guado uscì dal lago, e fra i cespugli si fermò ad ascoltare i rumori della zona.

Il silenzio era così intenso che sembrava aleggiare fin lì da terre senza vita oltre i confini del mondo. La brezza mattutina gli parve una creatura aliena sussurrante un linguaggio del tutto sconosciuto. Ripensò alla voce antica e selvaggia della Piana del Vento, che ululava attraverso Ymris migliaia di nomi e di ricordi. Ma le voci dell’entroterra sembravano essere ancora più antiche, lingue da cui perfino le parole s’erano dilavate via col tempo, fatte ormai soltanto di vuoto. A lungo restò immobile respirando quel silenzio, finché non lo sentì entrare nella sua mente e riempirla di nulla e di desolazione.

Alle labbra gli salì il nome di Raederle. Ciecamente si volse, coi pensieri contorti in un gelido nodo di paura. Dovette chiedersi se era ancora viva, se a Lungold era rimasto qualcuno ancora in vita. Rimuginò sulla tentazione di tornare in città, e appoggiò i pugni stretti allo spasimo sulla corteccia di un albero, attanagliato dal pensiero di lei. L’albero tremò sotto quella pressione, e un corvo che era appollaiato su di esso volò via gracidando. Rialzò la testa di scatto, teso come un animale che annusasse il vento. Le placide acque del lago si stavano increspando: un grosso branco di pesci emerse alla superficie. Nel fissarli sentì il sangue martellargli nelle tempie. Proiettò i suoi pensieri in cerca delle menti selvatiche dell’entroterra, ed a qualche miglio di distanza scoprì una mandria di alci. Mutò forma e rimase coi grossi quadrupedi mentre si spostavano a settentrione verso il Thul.

Quel giorno pascolò con loro. Decise poi di guidarli al Thul e di seguirne il corso verso est, finché i cambiaforma non avessero perso le sue tracce, e quindi di tornare a Lungold. Due giorni più tardi, quando la mandria si riunì ad abbeverarsi al fiume, s’allontanò al galoppo lungo la riva. Ma sbalordito s’accorse che parecchi alci lo seguivano con decisione. Disperatamente cambiò forma e si alzò in volo, svoltando a sud nel cielo già scuro. Ma decine di altri volatili si alzarono dalla boscaglia e lo costrinsero a tornare a nord oltre il Thul, lo spinsero verso il Lago della Dama Bianca e a settentrione, ed egli cominciò a capire che lo stavano volutamente incalzando in direzione del Monte Erlenstar.

Quel sospetto lo riempì di furia e di terrore. Sulla sponda del Lago della Dama Bianca atterrò e si preparò a combattere. Li attese in forma umana, sollevando la spada stellata in modo che l’elsa emettesse tre sanguigni raggi luminosi, e li sventagliò attorno come un richiamo. Ma nessun rispose alla sua sfida. Era pomeriggio e nella calura nulla si muoveva; le acque del lago stagnavano lisce come una lastra d’argento. Sondò intorno e non riuscì a percepire neppure le loro menti. Infine quando il sole basso già stendeva veli purpurei d’ombra sul lago, cominciò a credere d’averli seminati. Smaterializzò la spada e assunse la forma-lupo. Ma mentre si stava allontanando li vide davanti a sé, immobili come l’aria, che riprendevano forma emergendo dalle ombre e dalle chiazze di luce della foresta.

Riassunse le sue spoglie e si gettò avanti brandendo la spada, contro quelle che nel crepuscolo gli parvero forme d’uomo complete a metà, e le attaccò per uccidere, anche se nella sua furia disperata era conscio che con una parte della sua mente li stava incitando ad ammazzarlo. Colpì a morte due cambiaforma prima di rendersi conto che, come in un orrido scherzo, erano stati loro a lasciarsi trafiggere. Non volevano battersi: tutto ciò che volevano era impedirgli di tornare a sud. Riassunse la forma-lupo e galoppò fra gli alberi in riva al lago, verso settentrione. Un nutrito branco di lupi si ammassò alle sue spalle. Si volse ancora e li aggredì. Gli animali si batterono con lui ringhiando, finché ad un tratto capì, mentre rotolava al suolo con un grosso lupo che gli affondava i denti in una zampa, che l’animale non era un cambiaforma. Lo scosse via da sé con un flusso d’energia che gli creò attorno un alone di fiamma. I lupi si allargarono in circolo fissandolo con occhi di brace, senza capire che creatura fosse, eccitati dall’odore del suo sangue. Nel guardarli l’errore che aveva commesso lo fece ridere acremente. Ma l’amaro che aveva in bocca gli bloccò la gola. Per un poco non riuscì a pensare a niente. Tremando in quella notte senza stelle si riempì le narici con l’odore muschioso emanato dai cento e più lupi che gli giravano intorno minacciosi. Poi, mosso dall’idea che avrebbe potuto usarli per attaccare i cambiaforma, proiettò i suoi pensieri nelle menti del branco e le prese tutte sotto controllo. Ma qualcosa spezzò il legame con cui li teneva; i lupi scomparvero veloci nelle tenebre e lo lasciarono solo. E si accorse che non sarebbe riuscito a volare: il braccio ferito dal morso gli bruciava e s’era intorpidito. L’odore di solitudine che emanava dalle fredde acque scure lo sopraffece. Lasciò spegnere il cerchio di fiamma che aveva creato intorno a sé. Intrappolato fra i cambiaforma e il nero orrore del Monte Erlenstar, non seppe in che direzione muoversi. Scosso da un tremito restò fra i cespugli agitati dal vento, lasciando che la notte addensasse veli di tenebra e ricordi dolorosi su di lui.

Il lieve palpito d’ali di un’altra mente sfiorò la sua, aleggiandogli fino al cuore. Deglutì saliva e s’accorse che aveva di nuovo la forza per muoversi, come se un incantesimo si fosse spezzato. La voce del vento cambiò: riempiva la notte portandogli da ogni direzione il nome di Raederle in cento sussurri.

Mentre accendeva il fuoco con un impulso d’energia ebbe quasi la certezza che la giovane donna avrebbe potuto davvero essere dovunque intorno a lui, nel grande albero a cui s’era accostato, o nel fuoco che si levava dal mucchio di foglie morte per scaldargli il volto. Strappò via le maniche della tunica e le usò per bendarsi il braccio. Poi sedette davanti al fuoco, e con gli occhi fissi nelle braci cercò di capire i cambiaforma e le loro misteriose intenzioni. D’improvviso sentì in bocca il sapore caldo delle lacrime, e fu ancor più sicuro che Raederle era viva, e che era con lui. Si alzò, seppellì il fuoco sotto qualche manciata di terriccio. Nascose il suo corpo entro un’illusione di tenebra e riprese a camminare, sempre a nord, lungo l’immensa sponda del Lago della Dama Bianca.

Non vide più traccia dei cambiaforma finché non fu all’altezza delle rapide schiumose del fiume Cwill, che usciva dal lago nell’angolo più settentrionale. Da lì riuscì a spingere lo sguardo fino a contrafforti del Passo Isig, che in distanza si levavano bianchi di picchi e creste nevose, mentre più sulla sinistra svettava la lontana cima del Monte Erlenstar. Decise di fare un altro disperato tentativo di toglierseli dalle costole. Si gettò nell’impetuosa corrente del Cwill e si lasciò trasportare, ora sotto forma di pesce, ora con l’aspetto di un tronco d’albero, attraverso i gorghi e le rapide interminabili, e giù per molte tonanti cascate, finché non smarrì del tutto il senso dell’orientamento e quello del tempo. Il fiume lo trascinò a oriente interminabilmente e infine si trovò a galleggiare in una vasta polla verdolina. Rimase inerte, un pezzo di legno inzuppato d’acqua, consapevole soltanto della fibrosa corteccia entro cui stagnava nell’insensibilità. La corrente lo portò verso la riva e lo fece arenare fra rami secchi ed erbe sporche di fango. Si arrampicò sulla sponda in forma di topo muschiato, scosse l’acqua dalla pelliccia e zampettò via fra i cespugli spinosi.