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Se ne trasse fuori e giacque carponi, tentando di rimettere ordine nei pensieri. Contattò la mente di un pipistrello appollaiato a testa in giù in un angolo lontano, ma il mago lo afferrò per una spalla prima che potesse cambiar forma.

— Non c’è fuga di qui — disse. La sua voce era diversa, lenta e dolce, quasi che nel parlare tendesse l’orecchio a una marea inudibile di altre voci lontane. — Portatore di Stelle, tu non farai uso del tuo potere. Tu non farai altro che aspettare.

— Aspettare — mormorò lui. — E che cosa? La morte? — Tacque, mentre il significato di quella parola si faceva solido nella sua mente. — Non c’è una musica d’arpa, stavolta, a darmi una ragione di vivere. — Rialzò la testa, stringendo le palpebre nell’oscurità. — O forse stai aspettando il Supremo? Se credi che il Supremo abbia qualche interesse per me, puoi aspettare fino a vedermi diventare pietra come i figli dei Signori della Terra.

— Ne dubito.

— Tu. Tu esisti a malapena. Chi sei tu per dubitare di qualcosa? Perfino gli spettri di An hanno più forza di volontà di te. Non saprei neanche dire se tu sia vivo o morto, sebbene dentro di te vivano ancora in qualche modo i ricordi e i propositi dei maghi. — Abbassò la voce in un sussurro: — Io potrei combattere per te. Farei anche questo, pur di riavere la libertà.

La mano gli lasciò la spalla. Sondò quella strana mente riempita di mare, per cercare l’identità che nascondeva, ma essa lo eluse. Gli parve di nuotare in una marea che lo sollevava e lo rigettava indietro, e infine ansimò come soffocato. Udì la voce del mago farsi più lontana nel buio davanti a lui:

— Per te non c’è modo di tornare alla libertà.

Più tardi dormì un poco, cercando di ritrovare le forze. Sognò l’acqua. Una sete ardente lo svegliò, si spostò sulla riva e provò di nuovo a bere quel liquido acre. Ancora una volta fu costretto a sputarlo prima d’inghiottire, e tossì a lungo, in ginocchio. Tornato a distendersi cadde in un sonno febbrile, e sognò di bere. Sognò di precipitare nell’acqua fredda e tenebrosa, e di nuotare verso le sue immobili profondità. Sognò di respirare quell’acqua e si svegliò di colpo, ansante e spaventato, scoprendo di trovarsi immerso nel lago. Due mani lo trassero all’asciutto e lo lasciarono a vomitare acqua amara sul bordo di roccia.

Quel bagno gli aveva almeno schiarito un po’ la testa. Disteso bocconi scrutò la tenebra, e si chiese se non sarebbe riuscito a farsi attirare dentro di essa, così come sognando l’acqua vi era precipitato. Volutamente lasciò che l’oscurità entrasse nel più profondo della sua psiche, ma d’un tratto i ricordi di quella notte durata un anno lo sopraffecero, e il panico scaturì da lui sotto forma di un flusso di luce. Vide per un attimo il volto di Ghisteslwchlohm, poi una mano del mago schiaffeggiò la lingua di luce da lui creata e la mandò in pezzi come il vetro.

Morgon sussurrò: — Per ogni torre senza porta c’è un enigma, e la sua risposta apre una porta. Me lo insegnasti tu.

— Qui c’è una porta, e c’è un enigma.

— La morte. Ma non è questo ciò che pensi. Altrimenti poco fa mi avresti lasciato affogare. Se al Supremo non interessa la mia vita né la mia morte, tu cosa intendi fare?

— Aspettare.

— Aspettare! — Un tremito lo scosse, mentre freneticamente i suoi pensieri si agitavano in cerca di una qualche soluzione. — I cambiaforma hanno aspettato per migliaia di anni. Tu hai visto il loro nome, un istante prima che t’immobilizzassero. Cos’hai visto? Cosa può essere tanto forte da surclassare un Maestro della Terra? Qualcuno che prende i poteri e le leggi della propria esistenza da ogni cosa vivente, dalla terra, dal fuoco, dall’acqua, dal vento… il Supremo fu scacciato dal Monte Erlenstar dai cambiaforma. E poi venisti tu, e trovasti vuoto il trono su cui la leggenda voleva il Supremo. Così assumesti la sua identità, e giocasti i tuoi giochi di potere, intanto che aspettavi qualcuno di cui solo quei bambini di pietra conoscevano il nome: il Portatore di Stelle. Hai sorvegliato i luoghi dove c’erano la conoscenza e il potere, riunendo i maghi a Lungold, insegnando a Caithnard. E un giorno a Caithnard è venuto il figlio del Principe di Hed, con gli stivali ancora sporchi di fango e una domanda sulla fronte. Ma questo non era sufficiente. Tu stai ancora aspettando. I cambiaforma stanno ancora aspettando. Il ritorno del Supremo. Tu vuoi usarmi come esca, ma se lui avesse qualche interesse per me avrebbe potuto trovarmi già da tempo.

— Lui verrà.

— Ne dubito. Ti ha permesso d’imbrogliare il reame per secoli. Non gli importa nulla di ciò che fanno gli uomini e i maghi nel reame. Ha lasciato che tu mi togliessi il governo della terra, cosa per cui avrei potuto ucciderti. Di me non gli interessa niente. — Tacque, lasciando vagare gli occhi nella tenebra. Ascoltò il silenzio che sembrava essere congelato in ogni molecola di roccia. — Chi poteva avere tanto potere da distruggere la città dei Maestri della Terra? Da costringere il Supremo a nascondersi? Chi può aver avuto il potere di un Maestro della Terra? — Tacque ancora. Poi una risposta, come una fiammella guizzante nella cenere, cominciò a balenare nel profondo della sua mente.

Si alzò a sedere. L’aria sembrava essersi improvvisamente assottigliata; trovò difficoltà a respirare. — I cambiaforma… — La sua gola assetata tornò a chiudersi. Si coprì gli occhi con le mani, aggiungendo oscurità all’oscurità. C’erano delle voci che fluttuavano fuori dai suoi ricordi, fuori dalla roccia che lo circondava: — La guerra non è finita, soltanto interrotta per radunare le forze… Quelli che vengono dal mare. Edolen. Sec. Essi ci hanno distrutto affinché non potessimo più vivere sulla terra; non abbiamo potuto dominarlo… — Le voci dei Maestri della Terra morti, i bambini. Le mani gli ricaddero sul pavimento di pietra, ma la tenebra più nera continuava a premergli sugli occhi. Rivide il bambino del sogno distogliere lo sguardo dalla foglia che aveva toccato, volgersi a fissare la pianura, tremando, aspettando. — Loro potevano toccare una foglia, un seme, una montagna, e conoscerne l’essenza, e diventare quegli oggetti. Questo è ciò che Raederle vide, questo è il potere che amò in loro. E tuttavia si uccisero l’un l’altro, e seppellirono i loro bambini a morire sotto una montagna. Conoscevano i linguaggi profondi della terra, e tutte le sue leggi, tutte le forme e le essenze. Cosa accadde loro? Si scontrarono con una forma che non aveva leggi ma soltanto potere? — La sua voce era divenuta un sussurro sognante. — Cos’era questa forma?

Di colpo tacque. Tremava, e tuttavia stava sudando. L’odore dell’acqua lo tormentava spietatamente. Si avvicinò ancora al lago, attanagliato dalla sete. Le sue mani s’arrestarono prima di sfiorare la superficie. Il viso di Raederle, bello come un sogno, lo fissava riflesso nello specchio d’acqua sotto le sue dita. I lunghi capelli le aleggiavano intorno all’ovale dei lineamenti come fili di sole. Dimenticò la sua sete. Restò immobile a lungo, in ginocchio, osservando quel riflesso e senza capire se era qualcosa di reale o un’immagine scaturita dalla sua nostalgia. Ma non gliene importava. Poi una mano entrò nel suo campo visivo e agitò l’acqua, annientando quel volto in un gorgo di piccole onde.

Un impulso di furia omicida fece balzare in piedi Morgon. Ciò che voleva era strangolare Ghisteslwchlohm con le sue mani, ma non riuscì neppure a vedere dove fosse il mago. E un potere lo percosse con la forza di una serie di pugni sul volto e sul petto. Non s’accorse neanche del dolore; nella sua mente passò un groviglio di forme, ed egli le scartò l’una dopo l’altra, alla ricerca di una che fosse abbastanza potente da contenere la sua rabbia. Sentì che le membra gli si smaterializzavano; i suoi pensieri furono permeati da un suono profondo, rauco, selvaggio, la voce delle più remote profondità dell’entroterra. Ma essa non era più una voce vuota. Qualcosa vibrò dentro di lui, i suoi pensieri divennero un groviglio privo di linguaggio, e nella sua mente restò soltanto un rumore echeggiante simile a quello di una corda d’arpa stonata. Sentì la furia che era in lui espandersi, gonfiarsi sino a occupare tutte le cavità e le fessure dell’immensa caverna di roccia. Scaraventò il mago attraverso l’intero spazio sotterraneo, come una foglia in balia del vento, e lo mandò a spiaccicarsi nella parete di pietra.