— Ho domandato il permesso a Duac.
— Sono certo che Duac ha accolto con gratitudine i tuoi suggerimenti. Dunque ti proponi di imbarcarti con loro per Hed. Ho capito bene?
— Io non… io avevo pensato di viaggiare a cavallo con Raederle fino a Caithnard e raggiungere le navi là, ma credo che forse farei meglio a imbarcarmi con gli spettri. Gli equipaggi delle navi si sentirebbero più a loro agio, se io fossi con loro.
— Vuoi portare Raederle a Hed?
— Non è facile impedirle di fare ciò che vuole.
Il Re grugnì un assenso. — Strana ragazza. — Acuti e curiosi come quelli di un corvo gli occhi di lui continuavano a scrutare il giovane.
Morgon ruppe il silenzio: — Cosa avete visto di me, nei vostri sogni?
— Visioni, frammenti. Molto poco che possa aiutarti, e molto più di quel che mi sarebbe piaciuto. Tanti anni fa io sognai di te, e ti vidi uscire da una torre con una corona in mano e tre stelle sulla fronte. Ma… non sapevo il tuo nome. Ti vidi insieme a una bellissima ragazza, e seppi che doveva essere mia figlia, tuttavia ancora non conoscevo la tua identità. E vidi… — Scosse la testa, come se ritraesse lo sguardo da qualche visione spiacevole e incomprensibile.
— Che cosa?
— Non ne sono sicuro.
— Mathom! — Malgrado l’aria estiva Morgon provò un brivido di freddo. — Siate cauto. Nella vostra mente ci sono cose che potrebbero costarvi la vita.
— O il governo della terra? — Una delle sue larghe mani si chiuse su una spalla di Morgon. — Forse. Questo è il motivo per cui di rado spiego ciò che penso. Vieni in casa. Credo che il mio ritorno farà scoppiare una piccola tempesta, ma se hai pazienza di sederti e aspettare che passi poi avremo il tempo di discutere un poco. — Fece per avviarsi, ma vide che Morgon non si muoveva. — Che c’è?
Lui deglutì saliva. — Prima di seguirvi nel vostro salone c’è una cosa che devo dirvi. Sette giorni fa io sono entrato là dentro per uccidere un uomo, un arpista.
Il Re trattenne il respiro. — Deth è venuto qui!
— Non l’ho ucciso.
— Ah! Ti dirò che questo non mi sorprende. — La voce del Re suonò aspra e sibilante, come quella di uno spettro. Prese Morgon per un gomito e lo condusse verso il palazzo. — Raccontami.
Prima di rientrare nella grande dimora Morgon gli narrò ben più di quell’episodio. Si scoprì anche a parlargli un poco di quegli ultimi sette giorni, la cui tranquillità era stata per lui così preziosa che stentava a non vederla come un sogno. Mathom non interloquì, limitandosi a emettere ogni tanto borbottii e grugniti di commento. Quando furono nel vasto cortile videro che legati agli anelli a muro c’erano una quindicina di cavalli, ancora sudati e ansanti. Le loro gualdrappe da sella erano azzurre e porpora, i colori della guardia di palazzo reale. Mathom imprecò a mezza bocca.
— Rood dev’essere rientrato. A mani vuote, furioso, impolverato e stanco di correre dietro ai fantasmi. — L’uomo precedette Morgon nel salone, dove ardevano numerose torce. Seduto a un tavolo Rood sollevò la testa e nel vedere il padre per poco non rovesciò il boccale che stava bevendo. Accanto a lui c’erano Duac e Raederle, e anch’essi sbarrarono gli occhi, ma Rood fu il primo ad alzarsi e a ritrovare la voce.
— In nome di Hel! Si può sapere dove siete stato?
— Non gridare quando parli con me — replicò secco il Re. — Se non sai far altro che correre qua e là insensatamente alla ricerca di quell’arpista, in mezzo a questo caos, non meriti le mie spiegazioni. — Si volse a fissare Duac, mentre Rood sbatteva le palpebre e ripiombava a sedere in silenzio. Duac aveva avuto un freddo lampo di collera nello sguardo, ma la sua voce rimase controllatissima:
— Bene. Quale buon vento vi ha riportato a casa? Finalmente vi siete degnato di tornare, anche se noto che non sembrate particolarmente afflitto per lo scempio che avete fatto del vostro governo della terra.
— Infatti — disse Mathom imperturbabile, versandosi del vino. — Tu e Rood ve la siete cavata bene anche senza di me.
— Ce la siamo cavata bene? E in che cosa? — sbottò Rood fra i denti. — Riuscite a capire che siamo sull’orlo di una guerra?
— Sì. E An si è armata in un tempo apprezzabilmente breve. Perfino tu, in meno di tre mesi, ti sei trasformato da studente in guerriero.
Rood sbuffò aspramente come tutta risposta. Duac gli poggiò una mano su un polso per azzittirlo. — Guerra! — esclamò, pallido. — Con chi?
— Chi altro sai che si sia messo in armi?
— Ymris? — ansimò con voce incredula lui. — Volete dire Ymris?
Mathom bevve il vino. Il suo volto appariva ancor più stanco di quando era entrato, cupo e segnato dal viaggio. Sedette a fianco di Raederle. — Ho visto come va la guerra in Ymris — disse sottovoce. — I ribelli si sono impadroniti di metà delle terre sulla costa. È una guerra strana, sanguinaria, spietata, e sta esaurendo le forze di Hereu Ymris. Non ha alcuna speranza di contenerla entro i suoi confini, allorché la gente che sta combattendo deciderà di allargarla oltre Ymris. Questo lo prevedevo fin dall’inizio, però neppure io potevo chiedere alle Tre Parti di An di armarsi senza una ragione. E rivelare la vera ragione avrebbe senza dubbio accelerato l’attacco.
— L’avete fatto deliberatamente? — si sbalordì Duac. — Ci avete lasciati col preciso scopo di costringerci ad armarci?
— È stato un comportamento drastico — ammise Mathom. — Ma ha funzionato. — Gettò un’occhiata a Rood, che aveva fatto un gesto secco. Ma la voce del giovane suonò mite:
— Dove siete stato? Contate di rimanere a casa, adesso?
— Ho girato qua e là, per soddisfare certe mie curiosità. Sì, credo che rimarrò a palazzo. Se riuscite a piantarla di urlarmi dietro.
— Se voi non aveste la testa dura d’un maiale, io non urlerei affatto.
Mathom ebbe un smorfia seccata. — Se tu non avessi la testa dura di un guerriero non saresti tornato a casa con le pive nel sacco. Cosa volevate fare con Deth, se foste riusciti a prenderlo?
Dopo una pausa di silenzio Duac esibì un tono ragionevole: — Lo avrei mandato subito a Caithnard, con una nave da guerra, e avrei lasciato ai Maestri il compito d’interrogarlo.
— La Scuola di Caithnard non è esattamente una corte di giustizia.
Duac lo guardò con ostentata pazienza. — Allora sentiamo, voi cosa avreste fatto? Se voi foste stato qui al mio posto, e aveste visto Morgon… diciamo, costretto a farsi giustizia da solo su un uomo ormai giudicato un fuorilegge in tutto il reame, un uomo che ha tradito l’intero reame, voi come vi sareste comportato?
— Giustizia! — borbottò Mathom. Morgon lo fissò, in attesa della sua risposta, e vide nei suoi occhi stanchi una strana e remota ombra di sofferenza. — Lui è l’arpista del Supremo. Io avrei lasciato che a giudicarlo fosse il Supremo stesso.
— Mathom! — esclamò Morgon in tono deciso, chiedendosi cosa fosse ciò che era balenato agli occhi della mente del Re. Ma Mathom non rispose. Si volse a Raederle, che lo stava fissando anch’ella con aria interrogativa, e le accarezzò i capelli senza aprir bocca.
— Il Supremo! — disse Rood. Il tono brusco da guerriero con cui aveva comandato le guardie della sua scorta era scomparso; quelle parole risuonarono come un enigma, amaro e disperato, che supplicava una risposta. Si volse a Morgon con un lampo della sua vecchia ironia. — Hai sentito mio padre. Pare che io non sia più un esperto di enigmi. Vuoi rispondere tu a questo, mio buon Maestro degli Enigmi?
— Lo farò — disse stancamente lui. — Non ho più molta scelta, sembra.
— Sei già stato qui troppo a lungo — osservò Mathom.
— Lo so. Non riuscivo ad andarmene. Partirò… — Gettò uno sguardo a Duac. — Domani? Credi che saranno pronte le navi?