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— Che pensi di fare?

— Quale può essere il suo scopo? Che sia un Maestro della Terra occupato a muovere le sue pedine in cerca del potere? Mi vuole vivo oppure morto? E vuole salvare o distruggere il Supremo?

— Io non lo so. Sei tu l’esperto di enigmi. Ti ha gettato una sfida. Rispondigli.

Nella mente di lui tornò il ricordo dell’arpista che sulla Strada dei Mercanti lo aveva attirato, senza una parola, col suo solo arpeggiare brancolante, nelle grinfie di Ghisteslwchlohm. Mormorò: — Mi conosce fin troppo bene. Credo che qualunque cosa voglia la otterrà. — Uno scossone lo gettò di lato, e nelle narici gli penetrò un odore di neve e di pelliccia. Per qualche attimo restò come stordito. E quando si volse vide che Raederle aveva improvvisamente cambiato forma: davanti a lui c’era un vesta femmina dalle grandi corna dorate, che lo fissava con occhi di porpora. Si alzò e le accarezzò il collo, il suo respiro caldo e umido gli alitò sul volto. Accigliato Morgon sfidò il quadrupede con lo sguardo. — E va bene! — esclamò, con un filo d’ironia. — Giocherò questa gara di enigmi con Deth. Da che parte si va per Isig?

Lei lo condusse a sud attraverso le terre desolate fino all’alba, e il giorno dopo fino al tramonto, quindi oltrepassò le colline e scese verso oriente, e all’alba del secondo giorno dopo la partenza Morgon vide l’immensa parete del Monte Isig coperta di abeti al di là dell’Ose. Giunsero alla dimora del Re al crepuscolo di un grigio e freddo giorno autunnale. Le cime dei monti erano già incappucciate di neve e i grandi abeti che circondavano Harte frusciavano al vento. Prima di entrare a Kyrth i due viaggiatori lasciarono la forma-vesta, e salirono a piedi sulla strada che s’inerpicava fino alla fortezza. La porta era chiusa e sorvegliata, ma i minatori, armati con larghe spade temprate nelle fonderie di Danan, li riconobbero e li lasciarono passare. Danan, Vert e mezza dozzina di bambini si alzarono dal tavolo della cena per accoglierli allorché li videro entrare. Danan, vestito in uno spesso abito di pelliccia, li strinse entrambi in un abbraccio da orso e mandò i bambini e i servi a preparare i loro alloggi. Ma quando s’accorse che erano sfiniti rivolse loro una sola domanda.

— Ero nel settentrione — disse Morgon. — Suonavo l’arpa. Raederle mi ha trovato. — Non si rese neppure conto di quanto suonasse strana la sua risposta. Aggiunse: — Prima ancora ero un albero, sulla riva dell’Ose. — E vide un sorriso nascere negli occhi del Re.

— Ricordi cosa ti dissi? — mormorò Danan. — Ti dissi che nessuno ti avrebbe trovato, in quella forma. — Li accompagnò alle scale della torre occidentale. — Avrei mille domande, ma sono un vecchio albero paziente e le farò aspettare fino a domattina. Yrth è alloggiato in questa stessa torre; accanto a lui sarete più al sicuro.

Nel salire le scale Morgon capì quale particolare l’aveva reso perplesso fin’allora. — Danan, non avevo mai visto sentinelle alla tua porta. I cambiaforma sono venuti qui a cercarmi?

Il Re strinse i pugni. — Sono venuti — disse cupamente. — E ho perduto un quarto dei miei minatori. Sarebbe andata anche peggio se Yrth non si fosse battuto al nostro fianco. — Morgon s’era fermato. Il Re gli mise una mano su una spalla e lo condusse avanti. — Abbiamo sofferto anche troppo a causa loro. Se soltanto sapessimo chi sono, cosa vogliono… — Intuendo qualcosa in Morgon lo fissò accigliato. — Tu lo sai!

Morgon non rispose e Danan non volle insistere, ma le rughe che gli segnavano il volto s’erano approfondite.

Li lasciò in una camera della torre i cui mobili, oltre al pavimento e alle pareti, erano tappezzati interamente in pelliccia. L’aria era fredda, ma Raederle accese il fuoco e quasi subito giunsero i servi con cibi caldi, vino, bracieri per il letto e ricchi indumenti invernali. Bere entrò con un paiolo colmo d’acqua fumante; mentre lo stava appendendo a un gancio nel camino si volse a sorridere a Morgon, e i suoi occhi erano pieni di domande, ma fece lo sforzo di tenersele dentro. Morgon si lavò dalla polvere che il vento impetuoso del nord gli aveva fatto penetrare nella pelle, indossò una pesante tunica ricamata e un paio di pantofole. Ripulito, con lo stomaco pieno, sedette nel velluto di una poltrona davanti al focolare e ripensò con stupore al suo comportamento degli ultimi mesi.

— Io ti ho lasciata — disse a Raederle. — Posso capire il perché di tutto il resto, ma non di questo. Mi sono allontanato dal mondo, e anche da te…

— Eri stanco — mormorò lei, insonnolita. — L’hai detto tu stesso. Forse avevi soltanto bisogno di riflettere. — S’era distesa su una spessa pelliccia accanto a lui, e scaldata dal vino e dal fuoco si stava addormentando pigramente. — O forse desideravi un posto dove cominciare a suonare l’arpa…

La sua voce si spense in uno sbadiglio, e un attimo dopo il sonno le chiuse gli occhi. Lui le stese sopra un paio di coperte, poi restò seduto a guardare le luci e le ombre danzare sul suo volto stanco. Le raffiche di vento si rompevano contro le mura della torre frusciando come le onde del mare. Dentro di esse vibrava l’eco di una nota che tormentava i suoi ricordi. Con un gesto automatico fece materializzare l’arpa, ma poi rifletté che non avrebbe potuto suonare quella nota nella dimora del Re senza disturbarne la fragile pace.

Suonò leggermente le altre corde, frammenti di ballate che sentiva vagare nei brontolii confusi del vento. Poco più tardi le sue dita si arrestarono su una nota. Restò seduto e la fece vibrare a lungo, senza suono, mentre nelle fiamme del caminetto una faccia appariva e svaniva ripetutamente. Infine depose l’arpa e tese gli orecchi. La grande dimora era silenziosa in quell’ala, e le sole voci che captò attraverso i muri erano lontane. In punta di piedi girò intorno a Raederle, rese inconscie della sua presenza le guardie armate di servizio sulle scale e uscì. Al piano di sopra l’appartamento era chiuso da una tenda di pelliccia bianca oltre la quale si scorgevano i vaghi bagliori di un caminetto acceso. La scostò cautamente e avanzò nella penombra del breve corridoio, fermandosi sulla soglia della camera.

Il mago stava sonnecchiando su una poltrona dinnanzi al fuoco, con la bianca testa china sul petto e le mani rugose aperte sulle ginocchia. Morgon lo trovò più alto di quel che ricordava, con spalle ampie che sotto la lunga tunica scura apparivano ossute e curve. Dopo qualche istante lo vide svegliarsi ed aprire occhi pieni di luce fissi nel niente. Si chinò con un sospiro, a tentoni trovò un pezzo di legno e con cura lo sistemò sulle braci, dopo aver saggiato con le dita sensibili la posizione del fuoco. Il ciocco cominciò a bruciare e illuminò il suo volto, duro come la corteccia di un albero pietrificata dall’età. D’un tratto dovette accorgersi che non era solo, perché s’irrigidì. Morgon avvertì il quasi impercettibile tocco della sua mente. Sbattendo le palpebre il mago rialzò la testa.

— Morgon? — La sua voce era sonora e profonda. Stranamente ricolma di cose nascoste, come quella di un pozzo. — Entra. O sei già entrato?

Dopo un momento Morgon si mosse. — Non volevo disturbarti.

Yrth scosse il capo. — Ho sentito la tua arpa, poco fa. Ma non mi aspettavo di parlarti fino a domattina. Danan mi ha detto che Raederle ti ha trovato nelle terre del nord. Ti inseguivano? È per questo che ti eri nascosto là?

— No. Andai in quella zona, semplicemente, e poi vi restai perché non vedevo alcun motivo di tornare indietro. Ma Raederle mi ha trovato e quel motivo me l’ha dato…

Il mago guardava nella direzione da cui proveniva la sua voce. — Tu sei un uomo sorprendente — disse. — Vuoi sederti un poco?

— Come sai che non sono seduto? — chiese Morgon, incuriosito.

— Riesco a vedere la sedia che hai davanti. Non senti il legame mentale? La sto guardando attraverso i tuoi occhi.

— L’ho sentito a malapena…