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Si concentrò su quel silenzio finché esso formò un intreccio di corridoi nella sua mente. Poi, d’impulso, lasciò la torre, scese nel salone affollato e lo attraversò. Soltanto Raederle e Bere s’accorsero di lui e lo seguirono con gli occhi mentre passava fra i tavoli. Uscito da lì scese per un percorso che era rimasto nei suoi sogni, nei pozzi superiori della miniera. All’imbocco di un tunnel immerso nel buio staccò una torcia dal muro, e proseguì fra pareti da cui nidi di cristalli riflettevano sprazzi di luce multicolore. Senza esitare lasciò che i ricordi lo guidassero giù per un dedalo di passaggi, lungo ruscelli sotterranei e profondi crepacci, a fianco di filoni d’oro non ancora sfruttati, addentrandosi nella tenebra e nella roccia finché gli parve di sentirne l’immobilità millenaria fin nelle ossa. Più avanti avvertì la presenza di qualcosa che era perfino più antico della grande montagna. Il sentiero che seguiva si restrinse fra macigni spezzati. La luce della torcia aleggiò sulla verde lastra marmorea di una porta che già una volta s’era aperta dinnanzi a lui. E lì si fermò, incredulo.

Il terreno era cosparso di roccia sfusa. La porta oltre la quale stavano i figli morti dei Signori della Terra era spalancata, e uno dei due pesanti battenti s’era rovesciato all’interno. L’intera caverna era colma di detriti e di cristalli: la volta e le pareti erano crollate su se stesse, seppellendo del tutto ciò che restava di quelle strane pallide creature di pietra.

Si mosse verso la porta, ma non fu capace di entrare. Poggiò un avambraccio al battente e vi nascose contro il volto. Poi lasciò che i suoi pensieri fluttuassero fra le pietre, li spinse nel mucchio di frammenti di marmo, di ametista, d’oro e di granito, finché non sentì di sfiorare quello che restava di un sogno semidimenticato. Sondò più a fondo e non trovò nomi, soltanto la vaga sensazione di qualcosa che un tempo era stato vivo.

Rimase lì a lungo, immobile, appoggiato alla porta scardinata. Dopo un poco comprese il motivo per cui era sceso nelle viscere della montagna, e sentì il sangue pulsargli freddo e veloce nelle vene, come la prima volta che il destino lo aveva portato su quella soglia. Fu consapevole come mai prima d’allora della presenza della montagna sopra di sé, e del suo Re, la cui antica mente ne conteneva i più remoti recessi, la silenziosa pace ed i poteri arcani. Spinse ancora i pensieri oltre la porta e nel cuore di quell’ammasso di pietrisco sentì il marchio della mente di Danan, stampato in ogni molecola di roccia e legato alla montagna. Lasciò che il suo cervello diventasse pietra, ricca d’oro e di gemme, scavata da cunicoli, immensa. Assorbì dentro di sé ogni conoscenza della montagna, della sua grande forza, dei suoi colori intimi, e del suo punto più fragile, dove la leva d’un pensiero sarebbe bastata a distruggerla. La conoscenza divenne un legame, una parte di lui, radicata nella sua mente. Poi, cercando nella pietra, trovò ancora quella consapevolezza senza parole, la legge che legava il Re alla roccia e ne faceva il governatore della terra di ogni zolla del suo regno. Attirò dentro di sé quella consapevolezza, la spezzò, e nella pietra non rimase amalgamato nessun nome salvo il suo.

Lasciò poi che la coscienza di quel legame defluisse in un angolo remoto della sua mente e si raddrizzò, con la fronte imperlata di sudore malgrado il freddo. La torcia s’era quasi spenta, la sfiorò con un dito per riaccenderla. Si volse e vide davanti a sé Danan, massiccio e immobile come l’Isig, il volto del tutto inespressivo.

Per la sorpresa Morgon s’irrigidì. E fu costretto a chiedersi, per un istante, se potevano esistere le parole atte a spiegare ciò che aveva fatto alla roccia, prima che il peso dell’ira di Danan strappasse dal loro sonno i macigni per seppellire lì anche lui, davanti alla tomba dei bambini. Poi vide i pugni stretti del Re riaprirsi lentamente.

— Morgon! — La voce dell’uomo fu un sussurro sbigottito. — Sei stato tu a condurmi qui. Cosa stai facendo? — Vide che non rispondeva e gli toccò un braccio. — C’è qualcosa che ti spaventa. Cos’hai fatto per dover spaventare anche me a questo modo?

Dopo qualche istante Morgon si mosse. Aveva l’impressione d’essere rigido e duro come se le sue membra fossero di pietra. — Stavo imparando quelle che sono le tue leggi della terra. — Si appoggiò al battente marmoreo, lasciando che Danan lo scrutasse accigliato.

— Dove hai ottenuto questo potere? Da Ghisteslwchlohm?

— No! — esclamò lui con forza. — No! Preferirei morire piuttosto di farti questo. Io non entrerò mai nella tua mente…

— Ci sei già. L’Isig è il mio cervello, il mio cuore…

— Non infrangerò il tuo legame con la montagna. Lo giuro. Voglio semplicemente stringerne uno mio.

— Ma perché? Cosa te ne fai della conoscenza di questi alberi e di queste rocce?

— Potere. Danan, i cambiaforma sono i Signori della Terra. Non ho alcuna speranza di poterli combattere, a meno che…

Le dita del Re gli strinsero un polso come radici d’albero. — No! — disse, come anche Ghisteslwchlohm aveva detto, messo di fronte alla stessa consapevolezza. — Morgon, questo non è possibile.

Danan gli lasciò il braccio. Lentamente sedette su un cumulo di roccia sfusa. Abbassando gli occhi su di lui Morgon si chiese d’un tratto quanti anni avesse. Le sue mani, rese callose da secoli di lavoro nelle officine, ebbero un gesto impotente. — Che cosa vogliono?

— Il Supremo.

Danan lo fissò. — Ci distruggeranno. — Di nuovo afferrò il polso di Morgon. — E anche te. Che cosa cercano da te?

— Io sono il loro legame col Supremo. Non so come io sia legato a lui, né perché… so soltanto che a causa sua sono stato costretto a lasciare la mia terra, sono stato messo sotto pressione, minacciato dai poteri altrui, finché non ho assunto il potere che ho adesso. Ma il potere dei Signori della Terra sembra legato, impastoiato da qualcosa… forse dal Supremo, e questo potrebbe essere il motivo per cui lo cercano così disperatamente. Quando lo troveranno, qualunque sia l’energia che scateneranno contro di lui, tutti noi potremmo esserne distrutti. E lui se ne sta radicato al suo silenzio. È duro per me rischiare la vita e mettere a repentaglio la fiducia che gli altri hanno in me, per qualcuno che non parla neppure. Ma infine, se combatterò per lui, combatterò anche per tutti voi. — Fece una pausa, lasciando vagare gli occhi sui riflessi della torcia nei cristalli incuneati nella roccia. — Non posso importi di aver fiducia in me — mormorò. — Non quando neppure io ho questa fiducia. Tutto ciò che so è dove la logica e l’istinto mi spingono.

Dalla penombra provenne lo stanco sospiro del Re. — La fine di un’epoca… questo è ciò che mi dicesti l’ultima volta che venisti qui. Ymris è pressoché devastata. Sembra solo questione di tempo prima che la guerra dilaghi in An, in Herun, poi nel nord del reame. Io ho un esercito di minatori, la Morgol ha le sue guardie, il Lupo-Re… ha i suoi lupi. Ma cos’è questo, contro un esercito di Signori della Terra coi loro poteri? E come può un Principe di Hed, qualunque sia la conoscenza delle leggi della terra che avrai la forza di ottenere, opporsi a ciò?

— Troverò un modo.

— Come?

— Danan, io troverò il modo. Si tratta di riuscirci o di morire, e io sono troppo testardo per rassegnarmi a morire. — Sedette a fianco del Re, girando gli occhi sulla distruzione che li circondava. — Cos’è successo a questo posto? Volevo entrare nella mente dei bambini morti, vedere nei loro ricordi, ma di loro non è rimasto niente.

Danan scosse il capo. — L’ho sentito accadere, verso la fine dell’estate: un terremoto da qualche parte, al centro del mio mondo. Fu poco prima che i cambia… che i Signori della Terra venissero qui a cercarti. Non so come questo luogo sia stato distrutto, o da chi…

— Io lo so — mormorò lui. — Il vento profondo che scuote la roccia… è stato il Supremo a fare a pezzi questa caverna.