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— Ma perché? Era solo il posto dove riposavano in pace.

— Non so. A meno che… lui non abbia trovato un altro posto per loro, temendo che non avrebbero avuto pace neppure qui. Non lo so. Forse riuscirò a trovarlo, se identificherò la forma in cui s’è nascosto, e allora glielo domanderò.

— Se riuscirai a tanto, e basterebbe questo, ripagherai ogni governatore della terra per qualsiasi potere tu voglia prendere dal reame. Se non altro moriremo sapendone il perché. — Si tirò in piedi e gli batté una mano su una spalla. — Capisco quello che stai facendo. Per combattere i Signori della Terra hai bisogno del potere di un Signore della Terra. Se vuoi prenderti una montagna sulle spalle, ti darò l’Isig. Il Supremo non ci dà che il silenzio, tu ci dai una speranza impossibile.

Il Re lo lasciò solo. Morgon gettò al suolo la torcia e attese di vederla spegnersi. Poi restò immobile, senza ribellarsi alla propria cecità ma anzi aspirando la tenebra della montagna dentro di sé, finché essa gli trasudò dalla mente nel midollo delle ossa. I suoi pensieri brancolarono nella roccia che lo circondava, scivolarono nei cunicoli, nelle fessure da cui giungeva l’aria, lungo le nere acque sotterranee. Scavò nell’eterna notte della montagna e la plasmò nel suo subconscio. Spinse la mente nel solido granito, la espanse nei filoni, nelle silenziose e profonde cavità dei laghi, finché sentì la terra che in superfice copriva la roccia e da sotto raggiunse le radici degli alberi. La sua coscienza tornò nelle viscere dell’Isig e fluttuò senza requie avanti e indietro. Sfiorò i pensieri di pesci ciechi e di strani insetti che vivono in un loro mondo immutabile. Divenne il topazio incastonato nel basalto che la cauta picozza di un minatore stava liberando, penzolò a testa in giù nel cervello di un pipistrello. La sua forma umana si smaterializzò nell’eterno silenzio delle molecole, si alleggerì nell’aria, tornò ad appesantirsi nei filoni auriferi e nelle gemme. Non avrebbe più saputo dire dov’era il suo cuore. Quando lo cercò in una massa di basalto sentì la presenza di un altro nome, di un altro cuore.

Non volle disturbare quel nome, legato a ogni frammento della montagna. Pian piano, senza contare le ore che trascorrevano, toccò ogni livello dell’Isig vagando attraverso le miniere, il granito e le caverne, che come i pensieri più intimi di Danan celavano una loro bellezza segreta. Quando le ore divennero giorni non se ne accorse. La sua mente risalì dalle profondità dell’Isig verso la cima, e infine sbucò nella luce dei picchi ammantellati dalla prima neve dell’inverno.

Si sentiva poderoso ed enorme come la montagna. La sua coscienza ne aveva le dimensioni e il peso. Dentro di lui, in un minuscolo luogo buio e lontano, il suo corpo giaceva come un pezzo di roccia sul pavimento di un cunicolo. Gli parve di rivederlo dall’alto, e di non saper più come costringere in essi l’immensità dei propri pensieri. Alla fine, stanco, lasciò che qualcosa di simile agli occhi si chiudesse in lui, e scivolò in un sonno di nuovo umano.

A destarlo furono due mani che lo afferrarono nelle tenebre, girandolo a pancia sopra. Prima ancora di riaprire gli occhi disse: — Tutto bene. Ho appreso la legge della terra di Isig. Se schioccassi le dita potrei averne il governo della terra. È questo che stavi per domandarmi?

— Morgon!

Sbatté le palpebre. In un primo momento gli parve che l’alba si fosse infiltrata fin sotto la montagna, poiché le pareti ed il volto rugoso e cieco di Yrth erano pervasi da una pallida luminescenza. Poi sussurrò: — Vedo nel buio!

— Hai inghiottito una montagna. Ce la fai ad alzarti? — Le larghe mani lo tirarono in piedi senza attendere la risposta. — Dovresti provare ad avere un po’ di fiducia in me. Hai già tentato tutto il resto. Fai qualche passo.

Lui aprì la bocca per parlare, ma la mente del mago riempì la sua con l’immagine di una delle stanze della torre, illuminata dal focolare. Fece il passo che gli era stato ordinato, oltrepassò la soglia e vide Raederle. La giovane donna sedeva, suonando un flauto datole da qualche artigiano, e nel vederlo entrare lo abbassò sorridendo. Ma appariva stanca e pallida. Lui si chinò a baciarla.

— Devi averne fin sopra i capelli di aspettare che io mi svegli.

— Ho tanta voglia di parlare con te — rispose, speranzosa. — Ma tu non fai che dormire, oppure svanisci. Yrth è stato quasi sempre qui in questi giorni. Ho letto per lui dei vecchi libri di magia.

— È stato gentile, da parte tua.

— Morgon, mi ha chiesto lui di farlo. Io desideravo disperatamente parlargli, ma non potevo. All’improvviso sembrava che non ci fosse più nulla di cui parlare… finché lui usciva. Penso che dovrò studiare la magia. Loro sapevano molti strani incantesimi, ancor più delle streghe. E tu sai quello che stai facendo? Oltre che ammazzare quasi te stesso.

— Sto facendo ciò che mi dicesti di fare. Gioco una gara di enigmi. — Si scostò, improvvisamente affamato come un lupo, ma trovò soltanto del vino. Ne bevve un boccale, intanto che lei andava alla porta a parlare coi minatori messi in guardia. Se ne versò ancora, e quando lei tornò in camera mormorò: — Ti dissi che avrei fatto qualunque cosa lui volesse. E l’ho fatto, sempre. — Lei lo fissò in silenzio. Con un sospiro aggiunse: — Non lo so. Forse ho già perso. Ma andrò a Osterland e chiederò la stessa cosa ad Har. La conoscenza della sua legge della terra. E poi a Herun, se sarò ancora vivo. E quindi a Ymris…

— A Ymris ci sono i Signori della Terra, dappertutto.

— Per allora, avrò cominciato a pensare come un Signore della Terra. Forse in quel momento il Supremo deciderà di uscire dal suo silenzio, e in tal caso o mi punirà per aver toccato ciò che appartiene a lui, o mi spiegherà cosa, in nome di Hel, sto facendo. — Bevve il secondo boccale di vino e la fissò con repentina intensità. — Non c’è niente in cui io possa credere, se non i princìpi della Scuola degli Enigmi. L’uomo saggio conosce il suo nome. E il mio nome è gravido di potere. Dunque lo conoscerò per intero. Questo ti sembra sbagliato? Mi spaventa, certo, e tuttavia io saprò…

Raederle appariva incerta, proprio come si sentiva lui, comunque esibì un tono calmo: — Se mai farai qualcosa di sbagliato, io sarò lì per dirtelo.

Più tardi, quella notte, Morgon parlò con Danan e con Yrth nel salone del Re. Tutti gli altri erano andati a letto. I tre sedettero davanti al caminetto; Morgon, scrutando i volti anziani e rugosi del sovrano e del mago rivolti alla luce del fuoco, captò in entrambi l’amore per la grande montagna. Su richiesta di Yrth aveva fatto materializzare l’arpa. Le dita del mago scivolavano da corda a corda, ascoltandone le vibrazioni. Ma non la suonò.

— Devo partire al più presto per Osterland — disse Morgon a Danan. — Chiederò ad Har ciò che ho chiesto a te.

Danan si volse a Yrth. — Tu andrai con lui?

Il mago annuì. I suoi occhi ciechi e luminosi si fissarono su Morgon come per caso. — Come hai progettato di viaggiare fin là? — chiese.

— In volo, direi. Tu conosci la forma-corvo.

— Tre corvi sui campi morti di Osterland… — Sfiorò dolcemente una corda. — Nun è a Yrye, col Lupo-Re. È venuta qui quando tu dormivi, a portare notizie. È stata nelle Tre Parti di An a cercarti, insieme a Talies. Mathom di An sta mettendo in arme un grande esercito di vivi e di morti per aiutare le forze di Ymris. Afferma che non starà seduto ad aspettare l’inevitabile.

Danan si stiracchiò. — Questo è da lui. — Si piegò in avanti, intrecciando le dita. — Sto pensando di armare i minatori con spade, asce, picche, ogni arma che abbiamo, e mandarli al sud. A Kraal e a Kyrth ho delle navi cariche di armi e di armature, pronte per esser spedite a Ymris. Potrei mandare anche un esercito, con loro.

— Tu… — ansimò Morgon, sorpreso. — Tu non puoi lasciare Isig.

— Non l’ho mai fatto — ammise il Re. — Ma non ti lascerò andare in battaglia da solo. E se Ymris cadrà, questa sarà poi anche la sorte di Isig. Ymris è la fortezza del reame.