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— Ma Danan, tu non sei un combattente.

— Non lo sei neppure tu — precisò il Re.

— Come pensi di poter affrontare i Signori della Terra con le picche?

— Qui lo abbiamo fatto. Lo faremo anche a Ymris. Mi sembra che a te resti soltanto una cosa da fare: trovare il Supremo prima che ci riescano loro.

— Ci sto provando. Ho toccato tutte le leggi della terra a Isig, e all’apparenza a lui non è importato nulla. È come se io stessi facendo né più né meno ciò che lui vuole. — Quelle parole continuarono a echeggiargli nella mente. Ma Yrth interruppe le sue riflessioni allungando una mano brancolante in cerca di vino. Morgon gli porse il boccale prima che lo rovesciasse. — Non stai utilizzando i nostri occhi.

— No. Talvolta vedo più chiaramente nel buio. La mia mente si protende per afferrare il mondo che mi sta attorno, ma regolarmi con ciò che ho a portata di mano è meno facile… — Restituì a Morgon l’arpa stellata. — Anche dopo tutti questi anni riesco a ricordare a quale ruscello, a quale fuoco crepitante, a quale uccello canoro rubai le note per accordarla…

— Mi piacerebbe sentirtela suonare — disse Morgon. Il mago scosse la testa, imperturbabile.

— No, non ti piacerebbe. Da quei giorni le mie dita hanno smarrito l’arte, come Danan potrebbe confermarti. — Si volse al Re. — Se vuoi partire per Ymris, dovrai farlo subito. Ti troverai in guerra alla soglia dell’inverno, perciò devi sfruttare ogni giorno che resta prima del gelo. Ai guerrieri di Ymris non piace battersi in mezzo alla neve, ma i Signori della Terra non la noteranno neppure. Fra loro e il tempo, avrai due avversari spietati.

— Bene — disse Danan dopo un po’. — Li combatterò nell’inverno di Ymris, o dovrò affrontarli in casa mia. Domani comincerò a radunare gli uomini e le navi. Lascerò qui Ash. A lui non piacerà, ma è il mio Erede, e sarebbe insensato rischiare la vita tutti e due a Ymris.

— Insisterà per andare al tuo posto — disse Yrth.

— Lo so. — La voce di lui suonò pacata, ma Morgon ne avvertì la forza, la potenza del grande macigno di pietra che almeno una volta nella sua esistenza vuole rotolare tuonando. — Resterà qui. Io sono vecchio, e se dovessi morire… i grandi alberi millenari sono i soli che scuotono i loro nemici, quando infine si abbattono al suolo.

Le mani di Morgon erano strette ai braccioli della sedia. — Danan, non andare — lo supplicò. — Non c’è bisogno che tu vada a rischiare la vita. Tu sei radicato nella mente di tutti noi, fin dal primo anno del reame. Se morirai, ti porterai dietro una parte delle nostre speranze.

— Devo farlo. Devo combattere per tutte quelle cose che mi sono preziose. Isig. Ogni vita umana legata a questa montagna. Tu.

— Va bene — sussurrò lui. — Va bene. Io troverò il Supremo, anche se dovessi scrollare i suoi poteri fino a costringerlo a uscire dal suo nascondiglio per fermarmi.

Quella notte, dopo aver lasciato la sala del Re, parlò a lungo con Raederle, disteso al suo fianco sulla morbida pelliccia dinnanzi al caminetto. In silenzio lei lo ascoltò parlare di ciò che intendeva fare, dei progetti bellici di Danan, delle notizie riguardanti suo padre che Nun aveva portato a Isig. Poi passò le dita fra la calda peluria, mormorando: — La sua decisione deve aver causato tante grida di protesta che Anuin avrà tremato fino alle fondamenta.

— Non l’avrebbe presa, se non fosse stato certo che la guerra era inevitabile.

— No. Già da molto tempo aveva visto avvicinarsi la guerra, coi suoi occhi di vecchio corvo… — Sospirò, tormentando la pelliccia. — Suppongo che Rood gli starà da una parte e Duac dall’altra, discutendo per tutta la strada fino a Ymris. — Tacque, con gli occhi fissi nel fuoco, e lui le vide un’improvvisa nostalgia nello sguardo. Le sfiorò una guancia.

— Raederle, vuoi tornare a casa per un poco, e rivedere i tuoi? In volo potresti arrivare là in pochi giorni. Potremmo rivederci da qualche parte… magari a Herun. Che ne dici?

— No.

— Ti ho trascinata lungo la Strada dei Mercanti, nella polvere e nell’afa; ti ho tormentata finché hai cambiato forma; ti ho messa nelle mani di Ghisteslwchlohm; e ti ho lasciata sola a vedertela coi Signori della Terra mentre io fuggivo…

— Morgon!

— E poi, quando ti sei liberata con le tue forze e mi hai seguito per tutto l’entroterra fino al Monte Erlenstar, ti ho lasciato senza una parola e me ne sono andato nel nord, costringendoti a cercarmi per metà delle terre desolate. Infine mi hai riportato indietro, e ti è andata bene se ho trovato il tempo di scambiare due parole con te. In nome di Hel, come riesci a stare con me a questo prezzo?

Lei sorrise. — Non lo so. Anch’io me lo domando, a volte. Poi tu mi accarezzi con le cicatrici delle tue mani e leggi la mia mente. I tuoi occhi mi conoscono. Questo è il motivo per cui ti seguo in tutto il reame, a piedi scalzi o mezzo congelata, maledicendo ora il sole e ora il vento, o me stessa perché sono così stupida da amare un uomo che non ha neppure un letto da offrirmi per la notte. E talvolta impreco contro di te, perché la prima volta che t’incontrai pronunciasti il mio nome come nessun altro uomo l’aveva mai fatto. È da quel tempo che aspetto di sentirtelo dire nello stesso modo. Perciò — aggiunse, mentre lui la fissava muto, — come potrei lasciarti?

Lui abbassò il volto contro il suo, sopracciglio contro sopracciglio, zigomo contro zigomo, e da vicino guardò nell’ambra del suo occhio sinistro. Lo vide sorridere. Lei gli baciò il collo e il mento, poi alzò una mano fra le loro bocche. Quella di lui le mormorò una protesta nel palmo. — Ti voglio parlare — disse Raederle.

Lui si alzò a sedere con un sospiro e mise un altro ceppo sul fuoco. — Va bene.

— Morgon, cosa faresti se quel mago con le sue mani d’arpista ti tradirà ancora? E se trovassi il Supremo per lui e scoprissi, troppo tardi, che ha una mente ancor più contorta di Ghisteslwchlohm?

— So già che ce l’ha. — Tacque e si circondò le ginocchia con le braccia, pensosamente. — Ci ho riflettuto spesso. Lo hai visto usare qualche potere a Lungold?

— Sì. Mentre proteggeva i mercanti che stavano combattendo.

— Dunque non è un Signore della Terra; il loro potere è bloccato.

— È un mago.

— O qualcos’altro per cui non abbiamo un nome… ed è questo che mi spaventa. — Si accigliò. — Non ha neppure cercato di dissuadere Danan dall’idea di portare i minatori a Ymris. Costoro non sono guerrieri; si faranno soltanto uccidere. E Danan non ama certo il campo di battaglia. Una volta mi disse che quando giungerà la sua ora si trasformerà in un albero e così resterà, sotto il sole e le stelle, per sempre. Tuttavia lui e Yrth si conoscono da secoli. Forse Yrth sapeva già che non si può discutere con un albero.

— Sempre che lui sia Yrth. Sei sicuro almeno di questo?

— Sì. Ha fatto in modo che ne fossi certo. Ha suonato le corde della mia arpa.

Lei gli accarezzò la schiena in silenzio. — Bene — mormorò poi. — Allora forse puoi fidarti di lui.

— Ci ho provato — disse Morgon. Si distese al suo fianco, ascoltando il crepitio del legno che ardeva, e si passò una mano sugli occhi. — Ma non potrò farlo. Non ho mai vinto una discussione con lui, non sono neppure riuscito a ucciderlo. Tutto ciò che mi resta è di attendere finché non mi dirà lui stesso chi è. E allora potrebbe già essere troppo tardi…

Lei disse qualcosa. Ma Morgon non udì neppure la sua voce, perché in quel momento nelle profondità della sua mente era nato un rumore simile a un fruscio. Dapprima gli parve il tocco di un’altra mente, un contatto telepatico. Lo sondò e il fruscio si mutò in un ansito. Sbarrò gli occhi, esterrefatto: l’ansito si trasformò in un boato, il liquido ruggito di un’onda di marea che sommergeva i moli, le barche, le spiagge, investiva le case dei pescatori, e poi si alzava risalendo i lievi pendii dei colli, li superava e dilagava sui campi, rombava sconvolgendo la terra nell’oscurità della notte, spezzava gli alberi, e sommergeva le urla di terrore degli uomini e degli animali.