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— No! — Inorridito Morgon balzò in piedi, ripetendo il grido che udiva echeggiare nella mente del governatore della terra di Hed: — No!

Percepì un dedalo di voci. La sua visione si spense nel buio di qualcosa che lo stava travolgendo, che squassava la legge della terra radicata in lui. Gli sembrò di roteare, mentre sentiva la terrificante ondata passare oltre risucchiando dietro di sé sacchi di grano, pecore e maiali, barili di birra, i tetti e le pareti di case e di granai, recinti, oggetti di ogni genere, e bambini che gridavano nell’oscurità. Qualcuno gli si aggrappò addosso urlando più volte il suo nome. La paura, la disperazione, la rabbia e il dolore che avvertiva in Eliard dilagarono in lui. Una mente cercò di sondare la sua, ma lui era legato con tutti e cinque i sensi a Hed, distante da lì oltre mille miglia. Poi uno schiaffo gli fece girare la testa da un lato, strappandolo a quella visione.

Riaprì gli occhi e si trovò a fissare quelli ciechi di Yrth. L’impulso di furia rovente contro l’incomprensibile personalità del mago esplose in lui così repentino che non poté controllarlo. Sollevò un pugno e lo colpì. Yrth era un individuo grosso e pesante, e il colpo con cui lo raggiunse alla mascella gli si ripercosse nel braccio fino alla spalla. Le nocche gli si spellarono come contro la corteccia di un albero. Con espressione vagamente sorpresa il mago volò all’indietro, e svanì prima d’aver toccato terra. Ricomparve un paio di secondi più tardi, sedette accanto al parafuoco e si toccò un labbro sanguinante con aria stupefatta.

Raederle e le due guardie nel breve corridoio avevano la stessa espressione sulla faccia. Sembravano congelati da un incantesimo. Morgon trasse un lungo respiro, e mentre l’ira defluiva da lui esclamò — Hed è stata attaccata. Devo andare subito là!

— No!

— Sì.

— Morgon — ansimò Yrth. — Ti farai uccidere.

— Tristan! — Strinse i pugni, deglutendo un doloroso groppo di saliva. — Non so se è viva o morta! — Chiuse gli occhi e proiettò la mente attraverso l’oscurità della notte piovosa, oltre la foresta, più lontano che poté. Spinse ancora avanti le sue capacità percettive. Ma un’immagine che gli s’era formata nella mente lo arrestò, lo trasse indietro, e riaprì gli occhi fra le pareti della torre.

— È una trappola — disse Yrth. Nella sua voce c’era una nota di paziente sofferenza. Morgon non si prese la briga di rispondere. Scacciò dalla mente l’immagine del falco, ma subito, ancor prima che cominciasse a cambiar forma, l’immagine esplose di luce accecando gli occhi che guardavano dentro di lui.

— Morgon, andrò io. Loro ti stanno aspettando, ma credo che non conoscano me. Posso viaggiare in fretta; sarò di ritorno molto presto… Tacque di colpo, quando Morgon gli riempì la mente con un’illusione di fuoco e di ombra e scomparve dietro di essa. Era quasi uscito dalla camera allorché gli occhi del mago tornarono ad aprirsi nei suoi pensieri, distruggendone la concentrazione.

Di nuovo in lui arse la rabbia. Riprese a camminare e nel corridoio si nascose oltre un’illusione di solida pietra. — Morgon! — si sentì chiamare dal mago, e girò su se stesso. Proiettò nella mente di Yrth un urlo che avrebbe potuto distogliere la volontà di qualunque mago, ma quella nota telepatica echeggiò inoffensiva in un vuoto psichico che la assorbì.

Restò immobile allora, mantenendo l’illusione che lo celava con uno sforzo che gli fece imperlare la fronte di sudore. Il vuoto era una specie di avvertimento. Lasciò però che i suoi pensieri vi s’insinuassero, cercando di raggiungere i punti nevralgici della mente del mago. Tutto ciò che ottenne fu di brancolare nel vuoto, con l’impressione di un grande potere che indietreggiava tenendosi oltre i limiti della sua ricerca. Lo seguì finché gli parve di non distinguere più la strada per tornare fuori da quel nulla…

Fu il vuoto a ritrarsi lentamente da lui, e si ritrovò seduto accanto al fuoco. Raederle gli stava al fianco, e gli teneva stretta una mano fra le sue. Davanti a loro stava Yrth, grigio in faccia per la stanchezza e con gli occhi arrossati. I suoi stivali erano, come la tunica, coperti da una spessa crosta di fango e di sporcizia. Il taglio sul labbro appariva già rimarginato.

Morgon lo fissò stupito. Danan, seduto lì vicino, si sporse a battergli una mano su una spalla. — Morgon — disse, come imbarazzato, — Yrth è appena tornato da Hed. È mezzogiorno. È stato sull’isola due notti e un giorno.

— Che cos’hai… — Si alzò in piedi di scatto. Danan lo afferrò per un braccio, finché la smorfia d’ira non gli scomparve dal viso. — Come sei riuscito a farmi questo? — ansimò.

— Morgon, ti prego di scusarmi. — La voce del mago vibrava, per la sfinitezza, di toni che non sembravano suoi. — I Signori della Terra ti stavano aspettando a Hed. Se ci fossi andato saresti morto là, e altri innocenti sarebbero stati uccisi combattendo per te. Non riuscivano a trovarti da nessuna parte, e il loro era un tentativo di farti uscire allo scoperto.

— Eliard…

— È sano e salvo. L’ho trovato fra le rovine di Akren. L’ondata ha distrutto Tol, Akren, e la maggior parte delle fattorie lungo la costa occidentale. Ho parlato con dei contadini: hanno visto dei combattimenti fra uomini pesantemente armati, che non erano isolani di Hed. Ho interrogato uno degli spettri, e mi ha detto che c’era ben poco da fare contro le forme d’acqua. Mi sono presentato a Eliard, e gli ho riferito dove ti trovi… era ancora stordito per quel cataclisma così improvviso. Ha detto che sapeva già che tu avevi previsto un attacco del genere, comunque è stato contento di vedere che avevi avuto il buonsenso di non venire di persona.

Morgon fremette. Trasse ancora un profondo respiro. — E Tristan?

— Per quanto Eliard ne sa, sta benissimo. Un mercante alquanto sconsiderato le aveva detto che eri nuovamente scomparso, cosicché aveva lasciato Hed per cercarti. Ma a Caithnard un marinaio l’ha riconosciuta, e c’era l’ordine di fermarla. In questo momento la stanno riportando a casa. — Morgon si passò una mano sugli occhi. Il mago fece per avvicinarglisi, ma lui lo respinse. — Morgon! — Yrth parve tirar fuori a stento la voce, tant’era stanco. — Non ti ho fatto un incantesimo molto complicato. Ma avevi i pensieri troppo confusi per potertene liberare.

— La mia mente era chiarissima — mormorò lui. — Non avevo il potere di liberarmi. — Tacque, conscio che Danan li fissava entrambi storditamente e tuttavia senza sospetti. L’oscuro enigma che erano i poteri di quel mago gli appariva come un’ombra gelida, che s’estendeva sull’intero reame da Isig a Hed. E al pensiero che non aveva alcuna risposta per un tale enigma emise un ansito rauco, disperato. Il mago, chino come se il peso del reame gli gravasse sulla schiena, rispose al suo sguardo soltanto col silenzio.

CAPITOLO DODICESIMO

Lasciarono il Monte Isig il giorno dopo: tre corvi che si alzavano in volo fra le spirali di fumo delle fonderie di Danan. Attraversarono l’Ose e sorvolarono i moli di Kyrth, dove le navi erano già sovraccariche e pronte al lungo viaggio fluviale che le avrebbe portate nel grigio mare nel tardo autunno. Una fitta pioggia li inzuppò sulle foreste di Osterland; le sterminate distese di betulle luccicavano appesantite dall’acqua. In distanza la vetta del Monte Fosco emerse dai banchi di nebbia. Intorno ai tre corvi soffiavano il vento dell’est e, a quota più bassa, quello del nord. Stanchi e in balia delle raffiche mutevoli furono costretti a fermarsi spesso. La notte scese che erano appena a metà strada per Yrye.