Si appollaiarono sotto la grande chioma di un vecchio faggio, i cui rami nodosi cigolavano senza requie nel vento, e cercarono nicchie in cui ripararsi dalla pioggia. Due dei volatili si strinsero l’uno accanto all’altro presso il tronco, mentre il terzo, un vecchio e massiccio corvo che aveva volato in silenzio fin dalla partenza da Isig, scese al suolo fra i sassi. Si addormentarono così, protetti dalle fronde e cullati dall’ondeggiare dei rami.
A mezzanotte il vento cadde. La pioggia si diradò in un’acquerugiola che pian piano cessò. Le nuvole si spalancarono, e dai varchi occhieggiarono sciami di stelle. L’improvviso silenzio degli elementi penetrò nei sogni da corvo di Morgon. I suoi occhi si aprirono.
Raederle dormiva immobile al suo fianco, un piccolo ammasso di soffici piume nere. A terra l’altro corvo era anch’egli un grumo d’ombra. La sua forma umana gli premeva nel subconscio, desiderosa di respirare gli odori della notte e di osservare il chiar di luna come lo osservano gli uomini. Dopo un poco allargò le ali, planò sul terreno scabro e cambiò forma.
Passeggiò quietamente, assaporando la notte di Osterland. I sensi gli si aprirono ai suoi rumori, ai profumi, alle piccole forme viventi. Poggiò le mani sulla corteccia umida e rugosa del faggio, e lo sentì dormire. I versi di alcuni predatori notturni gli giunsero attraverso il fitto sottobosco. Aspirò l’odore dei pini, dei pezzi di corteccia e delle foglie che imputridivano nell’humus, ed i suoi pensieri divennero parte di quella terra selvaggia sotto l’argenteo lucore della luna. Infine lasciò che la sua mente si espandesse lontano nella notte silenziosa.
Plasmò i pensieri intorno alle radici degli alberi, nelle pietre sepolte, nel cervello degli animali che sfiorava in quella vasta ricerca. In ogni cosa percepì l’antico fuoco dormiente della legge della terra di Har, la vaga e inquieta fiamma che c’era dietro gli occhi di lui. Toccò ciò che restava dei morti nei loro sepolcri, le ossa ed i ricordi di uomini e di animali. A differenza degli spettri di An questi erano quieti, e riposavano nel cuore di quella natura selvatica. Pian piano, incapace di frenare il suo bisogno, cominciò a intrecciare i suoi legami personali nelle sotterranee leggi di Osterland.
Dopo un poco s’accorse di capire l’essenza della legge della terra. Gli incantesimi del sole e della neve avevano toccato ogni vita. Il vento gelido aveva creato la velocità del vesta, l’inclemenza delle stagioni plasmava il cervello del lupo, la notte invernale trasudava dagli occhi del gufo. Più cosa capiva più profondamente vi si spingeva: guardando la luna con gli occhi di una civetta, intrufolandosi fra i cespugli con un gatto selvatico, infilando i pensieri perfino nella fragile tela di un ragno, e spiraleggiando nelle sinuosità dell’edera ritorta intorno a un tronco d’albero. Era così assorto che penetrò nella mente di un vesta senza accorgersene. Da lì a poco ne contattò un altro. E poi, d’improvviso, non poté più spostarsi senza trovare decine di vesta, quasi che essi si fossero materializzati dalla luce zodiacale intorno a lui. Stavano correndo disordinatamente, simili a un vento bianco che soffiasse in tutte le direzioni. Incuriosito sondò i loro impulsi. Capì che un pericolo li stava spingendo attraverso la notte, e si chiese chi osasse minacciare i vesta nella terra di Har. Esplorò più a fondo. Poi si strappò via da loro, e il profondo respiro d’aria gelida che trasse gli schiarì la testa.
Era quasi l’alba. Ciò che aveva scambiato per il chiar di luna erano i primi argentei lucori del mattino. I vesta si stavano avvicinando, ed erano stati messi in movimento da Har: le loro menti si dirigevano d’istinto verso ciò che aveva svegliato il Lupo-Re dal sonno e disturbato gli ancestrali processi della sua psiche. Immobile Morgon considerò varie soluzioni: assumere la forma-corvo e fuggire fra gli alberi; prendendo la forma-vesta; cercare di raggiungere la mente di Har nella speranza che non fosse tanto irritato da rifiutarsi di ascoltare. Prima di poter agire si accorse che accanto a lui c’era Yrth.
— Stai fermo — disse il mago. E Morgon, irritato dalla sua stessa acquiescenza, accettò lo spiacevole avvertimento.
Pochi istanti dopo vide i vesta in arrivo fra gli alberi. La loro velocità era incredibile, e la precisione con cui si dirigevano verso quel punto della foresta aveva qualcosa di magico. Nello spazio di alcuni battiti di cuore l’intero branco si ammassò intorno a loro, circondando l’albero. Non lo minacciarono; si limitarono a chiuderlo come una barriera di corpi nivei, dagli occhi purpurei, innalzando le loro corna dorate a perdita d’occhio in ogni direzione.
Raederle si svegliò, e sul suo tronco emise uno squittio sbigottito. La mente di lei raggiunse quella di Morgon, pronunciando il suo nome in tono interrogativo. Ma lui non osò risponderle, e dopo quel breve contatto lei mantenne il silenzio. A oriente il sole schiarì alcuni enormi cirri, poi disparve dietro di essi. La pioggia riprese a cadere, gocce pesanti e improvvise che precipitavano in verticale da un’atmosfera senza vento.
Un’ora più tardi ai limiti del branco ci fu un movimento. Bagnato da capo a piedi e sempre imprecando contro l’ordine di Yrth, Morgon accolse quella novità con sollievo. Fra gli altri vesta stava avanzando un alto palco di corna d’oro; gli animali si scostavano per lasciar passare il compagno, richiudendosi subito dietro di lui. Morgon seppe che doveva trattarsi di Har. Con una manica si tolse la pioggia dagli occhi e sternuti. All’istante il vesta che gli stava di fronte, e che fin’allora s’era limitato a fissarlo, bramì come un cervo e chinò minacciosamente il capo: un corno dorato gli si puntò al petto. Morgon s’immobilizzò come una pietra. Il vesta lo scrutò sospettoso, quindi rialzò la testa e riprese a sorvegliarlo tranquillamente.
Lui gli restituì lo sguardo, mentre il cuore ricominciava a battergli, spiacevolmente forte. Il cerchio degli animali più vicini si aprì, lasciando passare il grande vesta. Subito esso cambiò forma. Dinnanzi a Morgon comparve il Lupo-Re, e la smorfia pericolosa che aveva sul volto poteva significare la morte per chi avesse interrotto a quel modo il suo sonno.
La sua espressione divenne però perplessa quando riconobbe Morgon. Si volse e sibilò una parola; i vesta si volatilizzarono fra gli alberi come un sogno. In silenzio, teso, Morgon aspettò la sentenza. Essa tuttavia non venne. Il Lupo-Re alzò una mano e gli scostò i capelli per scoprire le tre stelle sulla sua fronte, quasi per togliersi l’ultimo dubbio. Poi si volse a Yrth.
— Tu avresti dovuto avvertirlo.
— Stavo dormendo — disse Yrth. Har emise un grugnito.
— Pensavo che tu non dormissi mai. — Alzò lo sguardo fra i rami dell’albero e la sua espressione si fece più gentile. Sollevò un braccio. Il corvo volò giù sul suo polso, e gli si appollaiò su una spalla. Morgon si massaggiò il collo indolenzito. Gli occhi di Har erano nuovamente su di lui, azzurro-ghiaccio, brillanti come il cielo ventoso delle sue terre selvagge.
— Tu hai sparso il gelo nella mia mente — disse. — Non potevi aspettare almeno fino a giorno?
— Har… — Morgon scosse il capo, non sapendo da dove cominciare. Poi fece un passo avanti e d’impulso abbracciò il sovrano, con forza. — Come puoi fidarti di me fino a questo punto? — mormorò.
— Ogni tanto — borbottò Har, — sono irrazionale. — Tenne Morgon per le spalle e lo fissò. — Dove ti ha ritrovato Raederle?
— Nelle terre del nord.
— Hai l’aria di uno che sia stato congelato fino al midollo da quei venti mortali… Andiamo a Yrye. Un vesta può viaggiare più veloce di un corvo, e in questa zona di Osterland dei vesta che galoppano insieme non attirano l’attenzione. — Poggiò una mano su una spalla a Yrth. — Tu puoi cavalcare su di me, o in groppa a Morgon.
— No — disse bruscamente Morgon, senza pensare. Har lo guardò stupito.
Prima che il Lupo-Re parlasse, Yrth disse: — Cavalcherò in forma-corvo. — La sua voce era stanca. — Ci fu un tempo in cui avrei sfidato la morte galoppando cieco, solo per amore di farlo, ma ormai… devo essere invecchiato. — Cambiò forma, e da terra balzò ad appollaiarsi sull’altra spalla di Har.