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— Allora — suggerì morbidamente Har, — forse dovresti tentare.

— Tu non rifletti — protestò Nun. — Probabilmente la piana pullula di Signori della Terra.

— Io rifletto sempre — disse Har. Morgon fu colpito da un pensiero, e al suo involontario sussulto Raederle alzò il volto, sbattendo le palpebre.

— È legata da un’illusione… nessuno può raggiungerne la cima. E nessuno l’avrebbe protetta con un incantesimo se là non ci fosse qualcosa che deve restare nascosto, segreto… Ma cosa può esser stato nascosto per tanto tempo sulla cima della Torre?

— Il Supremo — suggerì Raederle insonnolita. Gli altri la guardarono: Nun con la pipa stretta fra le dita; Har col boccale alzato a metà verso la bocca. Lei proseguì: — Be’, questa è l’unica cosa che tutti stanno cercando. E quello è l’unico posto dove nessuno è mai penetrato.

Gli occhi di Har corsero a Morgon. Lui si passò una mano fra i capelli, un po’ teso, meravigliato. — Forse. Har, tu sai che ci proverò. Ma ho sempre creduto che quell’illusione fosse un legame di tipo ormai dimenticato, lasciato lì da Signori della Terra morti nell’antichità, e non tenuto attivo da un Maestro della Terra ancora vivo. Aspetta. — Si raddrizzò sul divano. — Torre del Vento. Il suo nome… vento! — Nei suoi ricordi tornò a ruggire il vento delle profondità del Monte Erlenstar, sibilarono le raffiche delle gelide terre del nord, che vibravano di tutte le note della sua arpa. — Torre del Vento!

— Cosa stai pensando?

— Non so… a un’arpa con le corde fatte di vento. — E intanto che quelle raffiche svanivano dentro di lui si rese conto di non aver capito chi avesse fatto quella domanda. La visione scomparve, lasciandolo soltanto con delle parole e con la certezza che esse si univano come i pezzi di un incastro. — La Torre. L’arpa stellata. Il vento.

Har tolse un furetto bianco dal suo scranno e sedette lentamente. — Puoi impadronirti dei venti come fai con le leggi della terra? — domandò, incredulo.

— Non lo so.

— Capisco. Non hai ancora provato.

— Non saprei come cominciare. — Poi aggiunse: — Ho già preso la forma-vento, una volta sola, per uccidere. Questo è tutto ciò che so di poter fare.

— Quando… — Har rifletté, scosse la testa. Nel salone tutto era silenzio; dalle travi occhieggiavano alcuni volatili. Yrth depose il boccale a tentoni sull’angolo del tavolo, e Nun si allungò a guidargli la mano.

— Ah, le cose troppo vicine! — sospirò il mago.

— Credo — disse il Lupo-Re, — che se cominciassi a interrogarti sarebbe la più lunga gara di enigmi che io abbia mai fatto. Mi domando cos’altro mi chiederai.

— Forse la tua fiducia. — Morgon vuotò il suo boccale e lo depose sul tavolo. D’improvviso si sentiva esausto, al punto che avrebbe poggiato la testa fra i piatti vuoti per addormentarsi lì.

Il Lupo-Re si alzò. — Chiedimela domani.

Morgon lo sentì alzarsi e allontanarsi. Quando riaprì gli occhi e lo vide uscire dal salone non trovò niente di strano in quella risposta.

Fino all’alba dormì di un sonno senza sogni a fianco di Raederle, nella bella camera che Aia aveva preparato per loro. Intanto che il cielo si schiariva i vesta tornarono ad affollarsi nella sua mente, formandogli intorno un circolo così stretto che ogni movimento gli era impossibile, ed i loro occhi erano misteriosi rubini senza luce. Si svegliò bruscamente, con un grugnito. Raederle si strinse a lui, mormorando qualcosa d’incomprensibile. Attese che fosse di nuovo addormentata, poi si alzò senza fare rumore e si vestì. Dall’odore di resina bruciata che arrivava fin lì comprese che qualcuno, probabilmente Har, era già sceso nel salone.

Il sovrano si volse nel sentirlo entrare nel locale. Morgon scavalcò parecchi piccoli animali che dormivano davanti al caminetto e andò a sedersi accanto a lui. Har gli poggiò una mano su una spalla e gliela strinse un momento con affetto, poi disse:

— Dovremo fare le cose in segreto, o i mercanti spargeranno la voce da qui ad Anuin. Ieri sera, sul tardi, ne sono capitati qui alcuni e hanno fatto un sacco di domande, a me e a Nun…

— C’è la stalla sul retro — suggerì Morgon. — Quella dove mi hai insegnato la forma-vesta.

— Mi sembra adatta… sveglierò Hugin; si occuperà delle nostre necessità. — Ebbe un sorriso. — Per un po’ di tempo ho creduto che Hugin sarebbe tornato ai vesta; fra gli uomini era diventato timidissimo. Ma da quando Nun gli ha raccontato tutto ciò che sapeva di Suth, penso che voglia diventare un mago… — Tacque, e Morgon intuì che stava mandando un pensiero da qualche parte nella casa silenziosa.

Hugin arrivò qualche minuto dopo, sbattendo le palpebre insonnolito e pettinandosi i capelli con le dita. Quando vide Morgon si fermò di botto. Era ossuto ed elegante come un vesta, con grandi occhi timidi. Esitò e sfregò un piede a terra, arrossendo, e sulla sua bocca aleggiò l’ombra di un sorriso incerto.

— Abbiamo bisogno del tuo aiuto — disse Har. Hugin annuì docilmente. Poi, sempre fissando Morgon, ritrovò la lingua.

— Nun ha detto che ti sei battuto contro il mago che ha ucciso Suth. E che hai salvato la vita ai maghi di Lungold. Hai ucciso il Fondatore?

— No. Non è morto.

— Perché non l’hai…

— Hugin — mormorò Har. Poi però ci ripensò e osservò Morgon con curiosità. — Perché non l’hai ucciso? Hai consumato tutta la tua ira nel vendicarti di quell’arpista?

— Har… — I muscoli della spalla gli fremettero sotto la mano del Re. Har si accigliò.

— Che ti succede? Sei perseguitato dai fantasmi? Ieri notte Yrth mi ha detto com’è morto l’arpista.

Morgon scosse il capo, riluttante. — Tu sei un Maestro degli Enigmi — disse bruscamente. — Dimmi tu perché non l’ho fatto. Aiutami a capire.

Har si morse le labbra; poi si alzò e si volse a Hugin. — Porta del cibo, vino, e del fuoco nella stalla. E dei giacigli. Quando Raederle di An si sveglia, falle sapere dove siamo. Portala da noi. — E nel vedere che il ragazzo arrossiva aggiunse, impaziente: — Hai già parlato con lei, tempo fa.

— Lo so. — D’improvviso Hugin sorrise. Poi, vedendo che Har inarcava ironicamente un sopracciglio, trasalì e si affrettò a uscire. — Penserò io a lei. E a tutto il resto.

Trascorsero quel giorno e le nove notti successive insieme nella piccola stalla di forma circolare dietro la dimora del Re. Morgon dormì nelle ore diurne. E Har, che sembrava instancabile, approfittò di quei periodi per tenere corte nel salone. Ogni volta che usciva dalla mente di Har, all’alba, Morgon trovava Raederle accanto a sé, oppure Hugin, e non di rado anche Nun intenta a pulire la sua pipa dalla cenere. Di rado parlò con loro: sveglio o addormentato, la sua mente sembrava legata a quella di Har, plasmandosi negli alberi, nei volatili, nei picchi coperti di neve, e in tutte le forme e le creature sepolte nella coscienza del Lupo-Re. In quei giorni Har gli diede tutto e non gli chiese niente. Morgon esplorò Osterland tramite lui, e costruì i suoi legami personali con ogni radice, pietra, cucciolo di lupo, falco bianco e vesta che vi fosse in quella terra. Scoprì che il sovrano era al corrente di moltissime bizzarre magie: poteva parlare ai gufi e ai lupi, riusciva a incantare le lame di ferro e le punte di freccia per mandarle a colpire dove voleva. Conosceva gli animali e gli esseri umani di Osterland come i membri della sua famiglia. La sua legge della terra si estendeva perfino nelle gelide desolazioni del nord, dove allevava vesta nelle tundre nevose. E quella terra lo permeava; il suo potere temprò il cuore di Morgon col ghiaccio o col fuoco, finché molto della stessa personalità di Har penetrò in lui insieme alle sue energie.

Infine spezzò il suo legame mentale con Har, si gettò bocconi su un giaciglio e precipitò nel sonno. Come un Erede della terra sognò i ricordi del Lupo-Re: intensamente, inarrestabilmente, nel suo sonno percorse secoli di storia, rivisse le battaglie di Har e le sue leggendarie gare di enigmi, alcune delle quali interminabili e sconvolgenti. Ricordò la costruzione di Yrye, risentì Suth dargli cinque strani enigmi, visse fra i lupi e fra i vesta, mise al mondo eredi, distribuì la giustizia, e divenne così vecchio da essere praticamente senza età. Con suo sollievo quel febbrile e movimentato sogno giunse al termine, e la notte proseguì riposante e senza altre immagini oniriche. Dormì come un macigno finché un nome scivolò dentro di lui. Lo tenne fermo e riportò se stesso al mondo. Quando si sfregò gli occhi Raederle era in ginocchio al suo fianco.