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— Dorme.

— Ha gli occhi aperti.

— Dobbiamo prendere la spada? — chiese una terza voce.

— Sì… potrebbe servire.

Le donne titaniche svanirono. Gli uomini vestiti di pelli di daino e di rozzi panni di lana mi tenevano fermo, e uno con il volto sfregiato mi puntava contro la gola il suo stiletto. L’uomo alla mia destra aveva preso Terminus est con la mano libera; era il volontario dalla barba nera che aveva aiutato a sfondare la porta murata.

— Sta arrivando qualcuno.

Lo sfregiato si allontanò. Sentii la porta sbattere, poi l’esclamazione di Jonas quando venne trascinato dentro.

— Questo è il tuo padrone, giusto? Bene, non ti muovere, amico, e non urlare, o vi ammazzeremo entrambi.

IX

IL SIGNORE DELLE FRONDE

Ci obbligarono a metterci con le spalle al muro e ci legarono le mani. Poi ci drappeggiarono i mantelli sulle spalle per nascondere i lacci, come se stessimo camminando con le mani dietro la schiena, e ci portarono nel cortile, dove un immenso baluciterio si dondolava sulle zampe e teneva sulla schiena un semplice howdah di ferro e corno. L’uomo che mi teneva per il braccio sinistro colpì la bestia nell’incavo del ginocchio con un pungolo per farla piegare, e noi venimmo costretti a salire.

Quando io e Jonas eravamo arrivati a Saltus, eravamo passati attraverso colline di detriti e scorie provenienti dalle miniere, colline composte soprattutto di mattoni e di pietra frantumata. Quando mi ero allontanato dal villaggio attratto dalla falsa lettera di Thecla, ero passato al galoppo in mezzo ad altre colline, nonostante il mio tragitto si fosse snodato soprattutto in mezzo alla foresta.

Quella volta passammo fra i mucchi di scorie dove non esistevano sentieri. Là, oltre a numerosi rifiuti, i minatori avevano abbandonato tutto quello che proveniva dal passato sepolto e che avrebbe potuto contaminare il villaggio e il loro mestiere. Ogni genere di immondizia era accatastata in mucchi alti anche dieci volte o più il baluciterio… statue oscene, deformi e corrose, e ossa umane con ancora attaccati frammenti di pelle rinsecchita e ciuffi di capelli. Erano diecimila, fra uomini e donne; aspirando a una resurrezione privata avevano reso i loro corpi imperituri e giacevano come ubriachi dopo una baldoria, con i sarcofaghi cristallini rossi, le membra abbandonate in un disordine grottesco, gli abiti imputriditi e lo sguardo fisso al cielo.

All’inizio io e Jonas avevamo rivolto delle domande ai nostri carcerieri, ma eravamo stati ridotti al silenzio con le percosse. Da quando il baluciterio ci aveva condotto in mezzo a quella desolazione, si erano tranquillizzati e così domandai loro dove fossimo diretti. Lo sfregiato rispose: — Nella foresta, casa degli uomini liberi e di belle donne.

Pensai ad Agia e chiesi se fossero al suo servizio. Lo sfregiato rise e scrollò la testa. — Il mio padrone è Vodalus dei Boschi.

— Vodalus!

— Ah — esclamò l’uomo. — Allora lo conosci. — Diede una gomitata all’uomo dalla barba nera che viaggiava con noi. — Vodalus ti tratterà sicuramente bene, dal momento che ti sei offerto tanto volentieri di straziare uno dei suoi servitori.

— Lo conosco davvero — dissi. Stavo per raccontare allo sfregiato il mio incontro con Vodalus e di come gli avessi salvato la vita l’anno prima di diventare capitano degli apprendisti, ma dubitai che Vodalus potesse ricordarsi di quell’episodio, perciò dissi solo che se avessi saputo chi serviva Barnoch non avrei mai accettato di torturarlo. Mentii, naturalmente; perché lo sapevo e avevo giustificato il pagamento con il pensiero che avrei potuto risparmiare a Barnoch qualche sofferenza. Fu una menzogna inutile; tutti e tre si misero a ridacchiare, compreso il guidatore che stava a cavalcioni del collo del baluciterio.

Quando smisero di ridere dissi: — Questa notte sono uscito dal paese spingendomi a nord-est. È quella la nostra direzione?

— Così eri andato là. Il nostro padrone era venuto a cercarti e ha fatto ritorno a mani vuote. — Lo sfregiato sorrise e compresi che si sentiva soddisfatto per aver portato a termine una missione in cui aveva fallito lo stesso Vodalus.

Jonas mormorò: — Siamo diretti a nord, come puoi constatare dal sole.

— Esatto — disse lo sfregiato, che doveva avere un buon udito. — Verso nord, ma non per molto. — Quindi, per occupare il tempo, mi descrisse il modo in cui il suo padrone trattava i prigionieri; per la maggior parte erano metodi incredibilmente primitivi, che generavano più effetti teatrali che vera sofferenza.

Come se una mano invisibile avesse tirato una tenda su di noi, l’ombra delle piante cadde sull’howdah. Il luccichio di miliardi di schegge di vetro restò indietro con gli occhi dei morti e ci addentrammo nella verde frescura della foresta. In mezzo a quei tronchi poderosi persino il baluciterio, nonostante fosse tre volte più alto di un uomo, appariva come una bestiola minuta e noi che viaggiavamo sulla sua groppa sembravamo i pigmei di una fiaba per bambini, diretti alla minuscola rocca di un re dei folletti.

Mi venne da pensare che quelle piante erano state ben poco più basse prima che io nascessi e che erano già così quando io da bambino giocavo fra i cipressi e le tombe tranquille della nostra necropoli. E moltissimo tempo dopo la mia morte, sarebbero rimaste ancora uguali, a bere l’ultima luce del sole morente. Compresi che non aveva che pochissimo peso, sulla bilancia delle cose, il fatto che io vivessi o morissi, nonostante la mia vita per me fosse preziosa. E accompagnato da simili pensieri mi costruii uno stato d’animo che mi permise di afferrare anche la più piccola possibilità di sopravvivenza, nonostante non mi curassi molto di salvarmi. Fu grazie a tale stato d’animo che vissi, e con me è stato tanto amichevole che mi sono sforzato spesso di ritrovarlo, anche se non sempre vi sono riuscito.

— Severian, come va?

Era stato Jonas a interrogarmi. Lo guardai, credo, con un certo stupore. — Bene. Ti sembrava che stessi male?

— Per un momento sì.

— Stavo solo pensando che questo posto mi è famigliare e mi sforzavo di capirne il motivo. Mi ricorda molti giorni estivi nella Cittadella. Queste piante sono alte quasi quanto le torri che si ergono laggiù, molte delle quali sono avvolte dall’edera, così che nelle belle giornate estive la luce, in mezzo a loro, assume questa tonalità smeraldina… e anche qui c’è silenzio…

— Sì?

— Tu devi aver viaggiato a lungo sulle barche, Jonas.

— A volte.

— È una cosa che ho sempre desiderato poter fare e mi è capitato di provarlo solo quando io e Agia abbiamo preso il traghetto per i Giardini Botanici e quando abbiamo attraversato il Lago degli Uccelli. Il dondolio è molto simile a quello di questa bestia, ed è altrettanto silenzioso, tranne quando capita che un remo sollevi uno spruzzo immergendosi in acqua. Adesso ho la sensazione di navigare attraverso la Cittadella.

Nel sentire quelle parole Jonas assunse un’espressione tanto seria che io scoppiai a ridere e mi sollevai, con l’intenzione, credo, di guardare oltre la fiancata dell’howdah per dimostrare con qualche commento che mi stavo solo abbandonando alle mie fantasie.

Tuttavia, mi ero appena alzato quando lo sfregiato si levò in piedi a sua volta e tenendo la punta dello stiletto a un pollice dalla mia gola mi ordinò di sedermi. Per fargli dispetto scossi il capo.

Lo sfregiato mosse l’arma. — Siediti oppure ti sbudello!

— E perdere in tal modo la gloria di consegnarmi? Non credo che lo faresti. Aspetta che gli altri riferiscano a Vodalus che mi avevi preso e che mi hai pugnalato mentre avevo le mani legate.