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— Apprezzi molto le belle donne — commentò Vodalus. Io abbassai gli occhi.

— Non ho avuto molte occasioni di frequentare una compagnia tanto raffinata, sieur. Ti prego di perdonarmi.

— Condivido il tuo apprezzamento, perciò non c’è niente da perdonare. Ma mi auguro che tu non stessi studiando quella gola snella per ucciderla.

— Mai, sieur.

— Mi fa piacere sentirtelo dire. — Vodalus prese un vassoio colmo di tordi, ne scelse uno e lo posò sul mio piatto. Era un evidente favoritismo. — Tuttavia devo ammettere di essere un po’ stupito. Credevo che un uomo della tua professione ritenesse noi poveri esseri umani più o meno come il macellaio considera il bestiame.

— Questo non saprei dirlo, sieur. Non sono stato allevato per diventare macellaio.

Vodalus rise. — Toccato! Quasi mi rammarico che tu abbia acconsentito a servirmi. Se avessi scelto di restare semplicemente mio prigioniero, avremmo avuto molte piacevoli conversazioni mentre ti avrei usato, come era mia intenzione fare, per barattare la vita della sfortunato Barnoch. Così invece, domani mattina te ne andrai. Tuttavia penso di avere per te un incarico che ben si addice alle tue inclinazioni.

— Se si tratta di un incarico impartito da te, sieur, non può che essere tale.

— Sei sprecato sul patibolo. — Vodalus sorrise. — Presto ti troveremo un lavoro migliore. Ma se vorrai servirmi bene, dovrai capire un po’ la posizione dei pezzi sulla scacchiera e lo scopo della partita che stiamo giocando. Chiamiamo le due parti bianco e nero e, in onore dei tuoi abiti, così che tu sappia bene da che parte si trova il tuo interesse, noi saremo il nero. Sicuramente ti è stato insegnato che noi neri siamo dei banditi e dei traditori, ma hai un’idea di quello che stiamo cercando di fare?

— Dare scaccomatto all’Autarca, sieur?

— Sì, così può andare, ma quella è solo una mossa, e non lo scopo finale. Tu vieni dalla Cittadella. Come puoi notare, so qualcosa dei tuoi viaggi e della tua storia. La Cittadella è la grande fortezza dei tempi andati, perciò devi possedere un forte senso del passato, hai mai pensato che una chiliade fa l’umanità era molto più felice e più ricca di adesso?

— Tutti sanno — risposi — che rispetto al glorioso passato siamo miseramente decaduti.

— E quello che era allora può tornare a esistere. Gli uomini di Urth che viaggiano fra le stelle e balzano da una galassia all’altra, padroni delle figlie del sole.

La castellana Thea, che doveva aver ascoltato Vodalus pur non dandolo a vedere, mi fissò e disse, con voce dolce e carezzevole: — Sai come venne ribattezzato il nostro mondo, torturatore? Gli uomini dell’aurora arrivarono sul rosso Verthandi, che allora si chiamava Guerra. E pensando che avesse un suono sgradevole e scoraggiasse gli altri che avrebbero dovuto seguirli, gli cambiarono nome e lo ribattezzarono Presente. Nella loro lingua era un gioco di parole, perché significava tanto Ora quanto Dono. O almeno, una volta uno dei nostri istitutori lo spiegò a me e a mia sorella, nonostante non riesca a capire come un linguaggio possa creare tanta confusione.

Vodalus l’ascoltava con impazienza, come se fosse troppo cortese per interromperla.

— Allora altri, che avrebbero voluto trascinare un popolo nel mondo abitabile più interno per motivi loro, presero parte al gioco e chiamarono quel mondo Skud, il Mondo del Futuro. Così il nostro divenne Urth, il Mondo del Passato.

— Sono convinto che ti stai sbagliando in questo — disse Vodalus. — So da fonti attendibili che il nostro mondo si è sempre chiamato in tal modo fino dai tempi più antichi. Tuttavia, il tuo errore è talmente incantevole che preferirei che avessi ragione tu.

Thea sorrise e Vodalus si voltò nuovamente verso di me. — Nonostante non riesca a spiegare il motivo per cui Urth si chiama così, il racconto della mia cara castellana coglie il punto vitale della questione. A quei tempi l’umanità viaggiava con le sue navi da un mondo all’altro e li dominava tutti e vi edificava le città dell’Uomo. Quelli furono i grandi tempi della nostra razza, quando i padri dei padri dei nostri padri lottavano per controllare l’universo.

S’interruppe e dal momento che sembrava aspettarsi qualche commento da parte mia, dissi: — Sieur, da allora la nostra sapienza è fortemente diminuita.

— Ah, adesso hai fatto centro. Eppure, nonostante la tua perspicacia, hai sbagliato. No, non è la nostra sapienza a essere diminuita, ma la nostra potenza. Gli studi sono andati avanti senza soste, ma nonostante gli uomini abbiano imparato tutto quanto è necessario al dominio, l’energia del mondo si è esaurita. Ora sopravviviamo, precariamente, sulle rovine di quelli che ci hanno preceduto. Mentre alcuni sfrecciano nell’aria coprendo anche diecimila leghe al giorno, noialtri strisciamo sulla superficie di Urth incapaci di andare da un orizzonte all’altro prima che quello occidentale abbia iniziato a velare il sole. Poco fa tu hai suggerito di dare scaccomatto a quel pazzo miagolante che è l’Autarca. Prova a immaginare due autarchi… due grandi potenze in lotta per il potere. Il bianco cerca di lasciare le cose come stanno, il nero vuole riportare l’Uomo sulla strada della supremazia. Ho definito «nera» questa fazione solo per caso, ma conviene ricordare che è di notte che si vedono meglio le stelle, mentre di giorno nella luce rossa del sole esse risultano quasi del tutto invisibili. Ora, fra queste due parti, quale ti senti disposto a servire?

Il vento stormiva fra le piante e mi parve che tutti i commensali si fossero ammutoliti per ascoltare Vodalus e aspettare la mia risposta. — La nera, sicuramente — dissi.

— Bene! Ma dal momento che sei una persona assennata devi capire che la strada davanti a noi non è facile. Quelli che avversano i cambiamenti non devono far altro che starsene seduti a covare i loro scrupoli in eterno. Noi dobbiamo fare tutto. Noi dobbiamo osare tutto!

Intorno a noi la gente aveva ricominciato a mangiare e a parlare. Abbassai la voce, così che solo Vodalus potesse sentirmi. — Sieur, c’è qualcosa che non ti ho detto. Non oso nascondertelo ancora per timore che tu mi reputi un uomo senza fede.

Vodalus era più esperto di me in fatto di intrighi e volse la testa dall’altra parte prima di rispondere, facendo finta di mangiare. — Di cosa si tratta? Parla.

— Sieur — dissi, — sono in possesso di una reliquia, l’oggetto noto come l’Artiglio del Conciliatore.

Mentre parlavo stava addentando la coscia di un volatile arrostito. Lo vidi bloccarsi; volse lo sguardo verso di me senza muovere la testa.

— Lo vuoi vedere, sieur? È molto bello, e lo tengo nascosto nello stivale.

— No — bisbigliò Vodalus. — Sì, forse, ma non qui… No, è meglio di no.

— A chi lo dovrei dare, allora?

Vodalus deglutì. — Degli amici di Nessus mi avevano informato della sua scomparsa. Così lo hai tu. Devi tenerlo fino a quando non riuscirai a sbarazzartene. Non cercare di venderlo… lo riconoscerebbero immediatamente. Nascondilo da qualche parte o gettalo in un pozzo, se è necessario.

— Ma è certamente molto prezioso, sieur.

— È inestimabile, come dire che non ha valore. Noi due siamo uomini assennati. — Nonostante quelle parole, la sua voce aveva una sfumatura di timore. — Ma la massa crede che sia sacro e che sia in grado di operare miracoli di ogni genere. Se ne venissi in possesso io, si direbbe che sono un profanatore e un nemico del Teolegumeno. I nostri maestri mi accuserebbero di tradimento. Devi dirmi…

In quel momento, un uomo che non avevo notato prima sopraggiunse correndo con urgenza. Vodalus si alzò e si appartò con lui di qualche passo: aveva l’aspetto di un maestro di scuola, pensai, che parlasse con un piccolo allievo, dato che la testa del messaggero gli arrivava a malapena alla spalla.