— Non ci avrebbero obbediti, e comunque il mondo starà meglio senza di loro, come disse la moglie al macellaio quando gli tagliò i testicoli. Adesso faremmo meglio ad andarcene. Sta arrivando qualcuno.
Guardai nella direzione indicatami e vidi due figure a piedi. Jonas aveva preso il destriero per le briglie mentre l’animale stava bevendo, ed era pronto a risalire in sella. — Aspetta — dissi. — Anzi, allontanati di una catena o due e poi aspettami là. — Stavo pensando al moncherino sanguinante dell’uomo-scimmia e mi pareva di vedere le fioche lampade votive della cattedrale, color cremisi e magenta, appese tra le piante. Infilai la mano nello stivale, fino al punto in cui l’avevo spinto per tenerlo al sicuro, ed estrassi l’Artiglio.
Era la prima volta che lo vedevo alla luce del giorno. Rifletteva il sole e lampeggiava come un Nuovo Sole, non solo azzurro, ma di tutti i colori, dal violetto al ciano. Lo posai sulla fronte dell’ulano e per un momento mi sforzai, con la volontà, di restituirgli la vita.
— Vieni via — urlò Jonas. — Cosa stai facendo?
Non sapevo cosa rispondergli.
— Non è ancora morto — gridò lui, ancora. — Allontanati prima che riprenda la lancia! — e incitò il suo destriero.
Debolmente, una voce che mi sembrò di riconoscere gridò: — Padrone! — Voltai la testa per guardare la strada coperta d’erba.
— È Hethor — dissi. Ma Jonas era sparito. Mi volsi nuovamente verso l’ulano. Aveva aperto entrambi gli occhi e il suo petto si muoveva nella respirazione. Quando gli levai l’Artiglio dalla fronte per riporlo nello stivale, si mise a sedere. Gridai a Hethor e al suo compagno di abbandonare la strada, ma non mi capirono.
— Chi sei?
— Un amico — risposi.
Nonostante fosse molto debole, l’ulano cercò di alzarsi. Gli allungai una mano per aiutarlo. Dapprima guardò ogni cosa attentamente… me, i due uomini che stavano accorrendo, il fiume, le piante. I destrieri sembrarono spaventarlo, persino il suo che lo stava aspettando tranquillamente. — Che posto è questo?
— Solo un tratto della vecchia strada, vicino al Gyoll.
L’ulano scrollò la testa e la strinse fra le mani.
Hethor si avvicinò ansimando, come un cane maleducato che è corso al richiamo e che si attende un elogio. Il suo compagno, che era rimasto indietro di un centinaio di passi, portava vestiti sgargianti e aveva l’aspetto untuoso del piccolo mercante.
— P-p-padrone — disse Hethor, — non p-p-puoi immaginare le f-fatichc e le difficoltà che abbiamo dovuto superare per raggiungerti attraverso le montagne, i m-mari e le p-pianure scricchiolanti di questo bel mondo. Che cosa sono io, il tuo s-schiavo. se non una c-conchiglia abbandonata, z-zimbello di mille maree, gettata a riva in questo posto s-solitario perché non riesco a trovare riposo s-senza di te? C-come puoi, o maestro dal rosso artiglio, c-conoscere le immense f-fatiche che ci sei costato?
— Dal momento che ti ho lasciato a Saltus appiedato e che ho avuto dei buoni destrieri in questi giorni, immagino che le fatiche debbano essere state immense.
— Infatti — disse Hethor. Lanciò una significativa occhiata al suo compagno, come se il mio commento avesse confermato qualcosa di cui avevano precedentemente discusso, quindi si lasciò cadere a terra per riposare.
L’ulano disse lentamente: — Io sono Cornet Mineas. E voi chi siete?
Hethor agitò la testa, come per fare un inchino. — Il p-padrone è il nobile Severian, servitore dell’Autarca, la cui orina è vino per i suoi sudditi, e membro della Corporazione dei Cercatori della Verità e della Penitenza. H-hethor è il suo umile servitore. Anche Beuzec è un suo umile servitore. Immagino che anche l’uomo che si è allontanato lo sia.
Gli feci cenno di tacere. — Tutti noi siamo solo poveri viaggiatori, Cornet. Ti abbiamo visto a terra stordito e abbiamo cercato di aiutarti. Poco fa credevamo che tu fossi morto; deve esserci mancato poco.
— Che posto è questo? — domandò nuovamente l’ulano.
Hethor rispose premurosamente: — La strada a nord di Quiesco, p-padrone. Eravamo su una b-barca e abbiamo navigato le ampie acque del Gyoll nella notte buia. Siamo sbarcati a Quiesco. Io e Beuzec ci s-siamo guadagnati il passaggio lavorando sul p-ponte alle vele. Abbiamo risalito il fiume lentamente, mentre i f-fortunati passavano sfrecciando sopra le nostre teste, diretti alla Casa Assoluta, ma la n-nave ha continuato ad avanzare anche q-quando dormivamo, e così siamo r-riusciti a raggiungerti.
— La Casa Assoluta? — borbottò l’ulano.
— Non deve essere lontana da qui, credo — dissi io.
— Allora devo stare particolarmente all’erta.
— Sono certo che presto ti raggiungerà uno dei tuoi camerati. — Presi il mio destriero e salii in groppa.
— P-padrone, non ci l-lascerai di nuovo? Beuzec ti ha visto sul palco solo due volte.
Stavo per rispondergli quando colsi un lampo bianco fra le piante, dal lato opposto della strada. Qualcosa di enorme si stava muovendo. Subito la mia mente venne colpita dal pensiero che chiunque avesse inviato le notule potesse avere a disposizione altre armi, perciò affondai i talloni nei fianchi del destriero nero.
L’animale sfrecciò via. Per mezza lega o più corremmo lungo la stretta fascia di terreno che divideva la strada dal fiume. Quando finalmente avvistai Jonas mi lanciai al galoppo per avvertirlo e per riferirgli quanto avevo visto.
Mentre parlavo, lui pareva immerso nei suoi pensieri. Quando ebbi finito, disse: — Non ho mai visto niente di simile all’essere che mi hai appena descritto, tuttavia ci devono essere molte cose importate delle quali io non sono a conoscenza.
— Ma di certo un essere come quello non può vagare in libertà come una mucca smarrita!
Invece di rispondermi, Jonas mi mostrò il terreno pochi passi più avanti.
Vidi un sentiero di ghiaia, poco più largo di un cubito, che si snodava in mezzo alle piante. Sui suoi lati crescevano più fiori selvatici di quanti ne avessi mai visti crescere altrove e i ciottoli erano tanto uniformi e lucenti che certamente dovevano provenire da una spiaggia segreta e distante.
Mi avvicinai un po’ per osservare meglio, poi chiesi a Jonas che cosa potesse significare un simile sentiero.
— Una cosa sola, ne sono sicuro… ci troviamo già sui terreni della Casa Assoluta.
Improvvisamente ricordai quel posto. — Sì — dissi. — Una volta io e Josepha, insieme ad alcuni altri, venimmo qui a pescare. Passammo accanto alla quercia storta…
Jonas mi fissò come se fossi impazzito, e per un momento pensai di esserlo davvero. Ero andato più volte a caccia, prima, ma quello su cui ero seduto non era un destriero da caccia, bensì da combattimento. Le mie mani si levarono come ragni per strapparmi gli occhi… e l’avrebbero fatto se l’uomo lacero al mio fianco non le avesse abbassate violentemente con la sua mano, che era d’acciaio. — Tu non sei la Castellana Thecla — mi disse. — Sei Severian, un artigiano dei torturatori che ha avuto la sfortuna di amarla. Guardati! — Alzò la mano d’acciaio per permettermi di vedere il volto di uno sconosciuto, magro, brutto e sconvolto, riflesso nella superficie lucida.
Mi sovvenni della nostra torre, delle pareti curve di liscio metallo scuro. — Io sono Severian — dissi.
— Infatti. La Castellana Thecla è morta.
— Jonas…
— Sì?
— L’ulano è vivo… l’hai visto. L’Artiglio gli ha restituito la vita. Gliel’ho appoggiato sulla fronte e forse l’ha visto con i suoi occhi morti. Si è sollevato a sedere. Ha ripreso a respirare e si è messo a parlare, Jonas.
— Non era morto.
— L’hai visto anche tu — ripetei.
— Sono molto più vecchio di te. Più vecchio di quanto immagini. E se c’è una cosa che ho imparato nel corso di tutti i miei viaggi è che i morti non risorgono e che gli anni non tornano indietro. Quello che è stato è passato e non torna più.