Ero circondato da facce. Due donne portarono via Jonas e mi promisero che si sarebbero prese cura di lui. Gli altri iniziarono a tempestarmi di domande: qual era il mio nome? Che vestiti erano quelli che avevo indosso? Da dove venivo? Conoscevo l’uno o l’altro? Ero mai stato in questa o quella città? Ero un membro della Casa Assoluta? Ero di Nessus? Provenivo dalla riva orientale del Gyoll o da quella occidentale? Da quale quartiere? L’Autarca era ancora vivo? E Padre Inire? Chi era l’arconte della città? Come stava andando la guerra? Avevo notizie di un certo comandante? E di un certo soldato? E di un certo chiliarca? Ero in grado di cantare, recitare, suonare uno strumento?
Come immaginerete facilmente, non seppi rispondere che a poche domande. Quando la prima ondata si fu esaurita, un vecchio con la barba grigia e una donna che appariva quasi altrettanto vecchia zittirono gli altri e li allontanarono. Il loro metodo, che avrebbe fallito in qualsiasi altra situazione, consisteva nel battere sulle spalle della gente, mostrare loro la parte più lontana della stanza e dire con voce chiara: — C’è tutto il tempo. — A poco a poco tutti tacquero e si portarono a quello che sembrava il limite massimo per poter sentire, e lo stanzone divenne silenzioso come quando si era aperta la porta.
— Io sono Lomer — disse il vecchio. Si schiarì rumorosamente la gola. — Questa è Nicarete.
Gli dissi il mio nome e quello di Jonas.
La vecchia doveva aver colto nella mia voce la preoccupazione.
— Sarà al sicuro, non ti preoccupare. Le ragazze lo cureranno al meglio, nella speranza che presto possa parlare con loro. — Rise, e il modo in cui gettò all’indietro la testa mi fece capire che un tempo doveva essere stata bella.
Iniziai a fare domande a mia volta, ma il vecchio mi fermò. — Vieni nel nostro angolo — disse. — Ci potremo sistemare comodamente e io potrò offrirti una tazza d’acqua.
Non appena pronunciò quella parola mi resi conto di avere una sete tremenda. Ci portò dietro il paravento di stracci più vicino alla porta e mi versò l’acqua da una brocca di terracotta dentro una delicata tazza di porcellana. Vidi alcuni cuscini e un piccolo tavolino, non più alto di una spanna.
— Domanda contro domanda — disse. — È la vecchia regola. Noi ti abbiamo detto i nostro nomi e tu ci hai detto i vostri, perciò ricominciamo. Perché vi hanno catturati?
Risposi che non lo sapevo, potevo solo supporre che fosse perché eravamo entrati nel giardino.
Lomer annuì. Aveva il colorito pallido tipico di coloro che non vedono mai il sole; con la barba lunga e i denti irregolari in qualsiasi altro luogo sarebbe apparso ripugnante, ma lì era nel suo ambiente quasi quanto le piastrelle corrose del pavimento. — Io sono qui per colpa della cattiveria della Castellana Leocadia. Ero il siniscalco della sua rivale, la Castellana Nympha, e quando lei mi condusse con sé qui alla Casa Assoluta per farmi analizzare i conti della tenuta mentre presenziava ai riti del filomate Phocas, la Castellana Leocadia mi prese in trappola con l’aiuto di Sancha che…
La vecchia Nicarete lo interruppe. — Guarda! — esclamò. — Lui la conosce!
La conoscevo. Era apparsa nella mia mente una sala rosa e avorio, con due pareti di vetro trasparente squisitamente incorniciato. I fuochi ardevano nei camini di pietra, affievoliti dai raggi del sole che passavano attraverso i vetri. La stanza era colma di un calore secco e dell’odore del legno di sandalo. Una vecchia avviluppata in numerosi scialli era seduta sopra uno scranno che pareva un trono; una caraffa di cristallo intagliato e diverse boccette scure erano al suo fianco su un tavolo intarsiato. — Una donna anziana con il naso grifagno — dissi. — La signora di Fors.
— La conosci davvero. — Lomer annuì adagio, come se stesse rispondendo alla domanda che lui stesso aveva posto. — Sei il primo, in tanti anni.
— Diciamo che la ricordo.
— Sì. — Il vecchio annuì. — Pare che adesso sia morta. Ma ai miei tempi era una giovane donna bella e sana. La Castellana Leocadia la obbligò a farlo, poi ci fece scoprire, con la collaborazione di Sancha. Lei aveva solo quattordici anni, e non le venne attribuita nessuna colpa. E comunque non avevamo fatto niente: lei aveva appena iniziato a svestirmi.
— Anche tu dovevi essere molto giovane — dissi.
L’uomo non rispose. Lo fece Nicarete per lui. — Aveva ventotto anni.
— E tu? — le domandai. — Per quale motivo sei qui?
— Io sono una volontaria.
La guardai, abbastanza stupito.
— Qualcuno deve pagare per la malvagità di Urth, diversamente il Nuovo Sole non arriverà mai. E qualcuno deve attrarre l’attenzione su questo posto e su altri simili. Appartengo a una famiglia di armigeri, che probabilmente si ricorda ancora di me, così le guardie devono rispettare me e tutti gli altri finché resto qui.
— Intendi dire che potresti andartene e che non lo farai?
— No — rispose la vecchia, scuotendo la testa. I suoi capelli erano bianchi, ma li teneva sciolti sulle spalle come le donne giovani. — Me ne andrò, ma alle mie condizioni: solo quando tutti coloro che si trovano qui da tanto tempo da aver dimenticato le loro colpe saranno liberati.
Io rammentai il coltello da cucina che avevo sottratto per Thecla e il filo cremisi che era fuoriuscito dalla sua porta nella nostra segreta e dissi: — È vero che qui i prigionieri dimenticano le loro colpe?
Lomer sollevò il capo. — Non è giusto! Domanda contro domanda… questa è la regola, la vecchia regola. Qui rispettiamo ancora le regole. Siamo gli ultimi della nostra generazione; ma finché resteremo qui, le regole manterranno la loro validità. Domanda contro domanda. Hai qualche amico che potrà darsi da fare per liberarti?
Dorcas se ne sarebbe sicuramente interessata, se avesse saputo dove mi trovavo. Il dottor Talos era mutevole come le figure che si formano nelle nubi, e proprio per quel motivo forse avrebbe cercato di farmi liberare pur senza avere un motivo preciso per prodigarsi. Il particolare di maggior rilievo era però il fatto che fossi un messaggero di Vodalus, e Vodalus aveva almeno un collaboratore nella Casa Assoluta… colui al quale avrei dovuto affidare il messaggio.
Mentre io e Jonas eravamo in viaggio, avevo cercato per due volte di gettare via l’acciarino, ma avevo scoperto che non potevo farlo. L’alzabo, a quanto pareva, aveva lanciato un altro sortilegio sulla mia mente. E in quel momento me ne rallegrai.
— Hai degli amici? O dei parenti? Se ne hai, forse potrai fare qualcosa per noi tutti.
— Forse ho qualche amico — risposi. — E forse cercherà di aiutarmi, se scoprirà che cosa mi è successo. È probabile che si sappia?
Parlammo a lungo; se dovessi riportare tutto, non finirei più il mio racconto. In quella stanza non c?è altro da fare che parlare e giocare a qualche gioco molto semplice, e i prigionieri continuano a fare quelle due cose fino a quando perdono ogni interesse e diventano come un pezzo di cartilagine che un affamato ha masticato per un intero giorno. Sotto molti aspetti, quei prigionieri vivono meglio dei clienti delle nostre segrete; durante il giorno non hanno paura di soffrire e nessuno di loro è solo. Ma dal momento che moltissimi si trovavano lì da lungo tempo mentre pochi dei nostri clienti venivano trattenuti a lungo, ne conseguiva che i secondi erano pieni di speranza, mentre i primi erano disperati.
Dopo dieci turni di guardia o anche più, le lampade incastrate nel soffitto iniziarono ad attenuarsi e io dissi a Lomer e a Nicarete che non riuscivo più a rimanere sveglio. Mi accompagnarono in un luogo distante dalla porta, particolarmente buio, e mi spiegarono che quello sarebbe stato il mio posto fino a quando uno degli altri prigionieri fosse morto e io avrei potuto ottenere una posizione migliore.
Mentre se ne andavano, sentii Nicarete domandare: — Verranno, questa notte? — Lomer non rispose, ma io non riuscii a capire ed ero troppo stanco per chiedere spiegazioni. I miei piedi mi dissero che a terra c’era un pagliericcio; mi sedetti e stavo per distendermi del tutto quando toccai con la mano un corpo vivo.