— Sei, cinque…
— Accensione motori.
— …quattro, tre, due…
— Portello aperto.
Larry vide il portello metallico davanti alle sonde scivolare via, scoprendo le stelle.
— …uno, zero.
— Fuori!
I quattro cilindri guizzarono via e in un batter d’occhio sparirono nel buio dello spazio.
— Schermo radar in funzione — disse una voce animata. — Accensioni come prestabilito. Tutti e quattro in rotta!
Larry non si rese conto di aver trattenuto il fiato se non quando lo lasciò andare in un lungo sospiro di sollievo. Gli operatori lanciarono un grido di trionfo, poi si voltarono l’uno verso l’altro dispensandosi sorrisi, strette di mano, pacche sulle spalle. Le ragazze furono baciate.
Al centro della festosa baraonda, Larry sorrideva soddisfatto. Fra un mese avremo dati esaurienti sul pianeta, e allora decideremo se entrare in orbita o tentare di andare avanti.
Gli stavano tutti attorno dandogli manate sulle spalle, ridendo con lui.
Larry alzò le braccia. — Ehi, non le ho mica lanciate io le sonde. Sono stato solo a guardarvi. Le congratulazioni vanno a voi.
Gli operatori continuarono a far calca attorno a lui, e alla fine Larry disse: — Okay, il lancio è stato perfetto. Che ne direste ora di tornare ai vostri posti? Non vorremo dare all’elaboratore l’impressione di poter guidare l’astronave da solo, eh?
Brontolando allegramente gli operatori tornarono ai loro posti, e i pochi estranei che erano stati ammessi al ponte per assistere al lancio se ne andarono, uscendo dai due portelli alle estremità della fila curva di pannelli di controllo.
Quando fu certo che tutto procedeva regolarmente, anche Larry tornò al suo sedile contro la parete in fondo al ponte, e vi si rilassò.
Ma non per molto.
Il dottor Loring sbucò sul ponte e per un momento si fermò, grasso, ansante e ammiccante a guardare la fila di pannelli. Larry si accigliò.
Lo sa che i non addetti ai lavori non possono entrare qui senza permesso!
Loring si voltò verso di lui. — Ah, sei lì — disse e si avviò pesantemente per raggiungerlo. — Congratulazioni. Ho visto il lancio sullo schermo d’intercomunicazione. Una meraviglia.
Larry si alzò lentamente dalla sedia. — Grazie. Ma… lo sapete che solo gli addetti ai lavori hanno accesso al ponte.
Loring agitò una mano carnosa. — Lo so, lo so. Mille scuse. Ma… non sono venuto qui soltanto per congratularmi. — Gettò un’occhiata agli operatori che, intenti al loro lavoro, gli voltavano le spalle. — Ehm… potremmo andare un momento nel tuo ufficio? Si tratta di una faccenda alquanto delicata.
C’erano momenti in cui Larry trovava il dottor Loring divertente, e momenti, come questo, in cui lo trovava esasperante. Abbi pazienza, si disse. T’ha fatto praticamente da padre, e si crede in diritto di intromettersi.
Annuì, aprì una porta nella parete, e precedette il dottor Loring in un corridoietto che collegava il ponte di comando col centro di calcolo. Su un lato di questo passaggio interno c’era il suo ufficio. Entrarono e Larry passò una mano sull’interruttore della luce. Il sensore a infrarossi percepì il calore del suo corpo e accese i pannelli luminosi sul soffitto.
Larry indicò la poltrona di rete di plastica e si sedette dietro la scrivania. Con precauzione, molto lentamente, Loring calò la sua mole nella poltrona, e la plastica gemette.
— Allora, cosa c’è? — chiese Larry.
— Si tratta di Dan Christopher — disse il dottor Loring, con fare preoccupato.
Larry aspettò che il vecchio aggiungesse qualcosa, e quando vide che si limitava a starsene lì seduto con aria infelice, lo sollecitò: — Be’? Cosa avete da dirmi di Dan?
— Di Dan… e Valery.
Automaticamente, Larry tentò di nascondere la scossa che lo traversò tutto. Idiota! Di che cosa hai paura? È innamorata di te.
In tono paziente, chiese al dottor Loring: — Va bene, cosa avete da dirmi di Dan e Valery?
Scuotendo la testa, il dottor Loring rispose: — Si sono visti un paio di volte, dopo l’incendio. Hanno cenato insieme… da soli.
— Lo so.
— Io gliel’ho detto a Val, che non va affatto bene comportarsi così. Si sta cacciando in un imbroglio.
— Se è questo che siete venuto a dirmi, lo sapevo già, da lei. Non ci teniamo nascosto niente. E non c’è niente di male se passa una sera con un vecchio amico…
— Lui la rivuole.
— Lo so. — Ricordo quello che provavo io quando Val doveva sposare lui.
— Le ha chiesto di aspettare a sposarti finché non si sarà presa la decisione riguardo al pianeta di Alpha Centauri.
Larry annuì.
— Secondo me, ci darà dei fastidi.
Larry cominciava a perdere la pazienza. — Sentite, dottor Loring, io so quello che prova Dan. E so che sta tentando di tirare il Consiglio dalla sua parte e farmi destituire. Ma tenete presente che siamo stati amici tanto tempo e…
— È convinto — lo interruppe il dottor Loring, alzando la voce, — che l’incendio non sia stato una disgrazia. Dice che suo padre è stato assassinato.
— Assassinato?
— Sì.
— E da chi? Chi avrebbe fatto una cosa simile? E perché?
Il dottor Loring fu lì lì per sorridere. — Vedi che ci sono cose che non sai? Valery non t’ha detto tutto, per paura di aggravare la posizione tra te e Dan. Ma con me non ha segreti!
— Ma perché Dan crede che suo padre sia stato assassinato? Che motivo poteva esserci per assassinarlo?
Il dottor Loring si strinse nelle spalle. — Ho saputo per caso che ha chiesto a un certo Cranston di setacciare una delle vecchie memorie dell’elaboratore in cerca di non so quale messaggio che suo padre avrebbe introdotto nella macchina al principio del viaggio. O forse addirittura, quando l’astronave orbitava attorno alla Terra.
Larry si lasciò andare contro lo schienale.
— Dammi retta — insistette Loring, agitando un dito tozzo. — Ti dico che Dan è pericoloso. È uno squilibrato… un matto. Ed è deciso a ottenere quello che vuole, con Valery, l’astronave… tutto quanto. Il che significa, in un modo o nell’altro, che vuole sbarazzarsi di te.
Dan Christopher svolgeva il suo compito a bordo nel gruppo Propulsione e Potenza.
Istruito fin dall’infanzia in fisica e ingegneria elettronica, Dan vigilava sugli importantissimi reattori a fusione d’idrogeno, le centrali termonucleari che fornivano all’astronave la propulsione a razzo e l’energia elettrica. I reattori a fusione, che producevano energia con reazioni analoghe a quelle di una stella, erano tanto piccoli da stare in una coppia di bolle schermate sul livello 7, l’anello più interno dell’astronave, il più vicino al mozzo. E piccoli come erano, avevano tanta potenza da portare l’astronave attraverso lo spazio da una stella all’altra, fornendo alla gente, per decenni, tutta l’energia necessaria.
Erano come stelle in miniatura. Dentro ciascuno dei pesanti gusci di protezione di piombo e acciaio a forma d’uovo, c’era una minuscola stella fatta dall’uomo: una palla di plasma a una temperatura di centinaia di milioni di gradi, tenuta sospesa nel vuoto da campi magnetici potentissimi. Il plasma di fusione era alimentato con deuterio, un pesante isotopo dell’idrogeno a quasi un atomo alla volta. Gli atomi di deuterio si fondevano in elio, e si liberava energia: lo stesso processo con cui producono energia il sole, le stelle… e la bomba all’idrogeno.
C’era tanta energia nei reattori a fusione da trasformare l’intera astronave in una piccola stella sfolgorante… per un’esplosiva frazione di secondo.