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— Ma…

Il dottor Hsai alzò una mano esile, dalle dita lunghe: — Lasciatemi continuare, per favore. I disturbi del signor Christopher sono eminentemente nella sfera emotiva. E nell’infermeria, sotto la vigilanza costante dei medici, i disturbi di questo genere non si manifestano.

Larry si accigliò. — Ma potete scandagliargli la mente… analizzare quello che dice, quello che persa… Ci sono i sogni, i test…

— Purtroppo — disse il dottor Hsai, — io sono solo uno psicotecnico, non uno psichiatra. L’unico psichiatra rimasto sveglio è morto anni fa nell’epidemia; gli altri due sono qui, addormentati.

— Ma non siete in grado di dirmi…

— Quello che sono in grado di dirvi è che il comportamento anormale del signor Christopher non deriva da disturbi fisici. In infermeria è stato prima ostile e sospettoso, perché era furente per essere stato, come diceva lui, arrestato e messo in galera. Ma nel giro di una settimana si è adattato alla situazione, e da allora è calmo e docile.

— E nell’ultimo mese non abbiamo avuto incidenti — borbottò Larry.

Il dottor Hsai si strinse nelle spalle. — O è perfettamente sano, sia di mente sia di corpo, oppure…

— Oppure?

— Oppure è tanto abile da nascondermi i suoi veri sentimenti, e aspetta di essere dimesso per sfogare l’ostilità che cova dentro.

— Può comportarsi in modo normale pur essendo…

— Nevrotico? Psicopatico? Pazzo? — Il dottor Hsai sorrise tristemente. — Altroché. I paranoici, in particolare, sanno comportarsi in modo perfettamente normale… finché non sono sottoposti a uno stress che fa esplodere la psicosi.

Larry rabbrividì, e non solo di freddo. — Che cosa possiamo fare?

— Non serve a niente trattenerlo in infermeria. E ha tutti i diritti di essere dimesso e riprendere il suo lavoro.

— E se poi si mette a dare i numeri e… provoca altri incidenti?

Sottovoce, il dottor Hsai disse: — Se volete il mio parere, il signor Christopher non è malato. È solo arrabbiato e deluso. Ha risentito della perdita della sua ragazza e di quella nomina a presidente che si aspettava.

— In altri termini, ce l’ha a morte con me.

— Esattamente.

— E farà tutto il possibile per riavere Valery e farsi eleggere presidente.

— Sì.

Larry respirò a fondo, fissando lo sguardo negli occhi scuri e calmi dello psicotecnico. — Lo credete capace di atti violenti? Di un assassinio, per esempio?

Hsai scosse la testa. — Tutti, in determinate circostanze, possiamo diventare assassini. Anche voi e io.

Bell’aiuto, pensò Larry.

— Lo dobbiamo dimettere — ripeté il dottor Hsai. — Potete farlo sorvegliare, se volete. Ma tenerlo in infermeria non servirebbe assolutamente a niente.

— D’accordo — convenne a malincuore Larry, — Dimettetelo.

Hsai annuì e si avviò verso il portello più vicino per tornare fuori, al calore della vita. A un certo punto si voltò a guardare Larry e parve sorpreso che non gli andasse dietro. Ma Larry rimase dov’era, vicino a una delle grandi urne crioniche.

Dan vuole Valery, e vuole essere presidente… Lo sapevi già da te. Non è una novità.

, gli rispose la sua mente. Ma se è pazzo, se ha commesso atti violenti, compreso un tentativo d’assassinio, la colpa è mia. In parte, almeno, se non interamente. Soprattutto se è pazzo, perché allora non è responsabile delle sue azioni. Mentre io lo sono. Io lo sono!

Va bene, la colpa è in parte tua. E allora, in che modo puoi rimediare?

Avrebbe voluto rispondersi non lo so. Ma sapeva quello che avrebbe potuto fare. Puoi dargli quello che vuole. Lasciare che si prenda la presidenza. Lasciare che si prenda Valery.

Sai che non puoi fare questo. Che diventeresti pazzo tu. Che perderesti la voglia di vivere.

Puoi dormire. Farti rinchiudere in una di queste urne e dormire per tanti anni. Finché non saranno tutt’e due morti. E poi cominciare una nuova vita.

Certo. O magari non svegliarti più.

Scegli.

Si accorse improvvisamente di essere davanti all’urna del dottor Loring. I grafici indicavano che il vecchio era ancora vivo, ad aspettare nel suo limbo di gelo che fosse pronta l’équipe di chirurghi che avrebbe tentato di salvarlo.

Rinunciare alla presidenza? Rinunciare a Valery?

No.

Questo vuol dire che esaspererai Dan, lo spingerai al punto di fare cose anche peggiori.

Sudava. Nonostante il freddo, era grondante. — Non posso! — bisbigliò con furore. — Non voglio, non gli permetterò di portarmi via tutto!

C’era sempre stato chiasso nel self-service. Abbastanza spazioso da contenere trecento persone sedute, il ristorante faceva anche da ritrovo e sala per concerti. Era bene illuminato, vivacemente decorato, e straripava di gente praticamente giorno e notte. Un’intera parete era occupata da un videoschermo sul quale passavano continuamente immagini della Terra, dello spazio stellato all’esterno e dell’astronave stessa.

Quando Dan entrò, restando un momento fermo sulla porta, il lungo video presentava una spiaggia della Terra, in riva a un oceano: onde enormi andavano a cozzare contro aspre scogliere, rompendosi in spettacolari getti di spuma. Il cielo era azzurro, il sole una palla dorata che avvicinandosi all’orizzonte si faceva sempre più rossa. La sottile striscia di spiaggia tra le rocce era punteggiata di persone. Sullo sfondo in cima alle scogliere più alte, c’erano delle case.

Dan, fermo sulla porta, assimilava tutta la scena sullo schermo, il chiasso e le luci del ristorante. Dopo un mese di confino all’infermeria, era come riscoprire la vita.

Un gruppo di persone entrò, urtandolo. Molti gli sorrisero, qualcuno gli rivolse una frase di saluto.

— Finalmente ti si rivede, Dan.

— Tutto bene?

— Sempre in gamba, eh?

Dan sorrise, annuì, ricambiò strette di mano.

Poi la vide, seduta in fondo alla sala, sola, con un’espressione tesa. Aveva davanti un piatto, ma non mangiava. Aspettava, fissando il vuoto.

Rapidamente Dan andò al pannello di distribuzione; ordinò, premendo pulsanti, i cibi che voleva, e andò a ritirarli all’apposita fessura: per tutto il tempo, tenne un occhio sulla testa bionda di Valery. Poi, col suo vassoio fumante, la raggiunse al tavolo.

— Aspetti da tanto?

Valery alzò gli occhi, trasalendo. — Oh… no, sono qui da pochi minuti.

Dan le si sedette di fronte. — Grazie per avere accettato di vedermi.

Val pareva stanca, e anche un po’ spaventata. — Strano posto, per un appuntamento… voglio dire, c’è un baccano d’inferno.

Una mezza dozzina di adolescenti comparve sul palcoscenico dall’altra parte della sala, carichi di strumenti musicali elettronici.

Dan sorrise allegramente. — C’è vita, c’è animazione. A me piace. Le orecchie sono messe a dura prova, ma ci si distrae.

— Ti trovo bene… molto bene — disse Valery.

— Hai paura di me — disse Dan, rendendosene improvvisamente conto. — Perché? Pensi anche tu che sono matto?

— Chi…

Dan le prese una mano. — Val, Val. So bene quello che pensa Larry. So che è stato lui a farmi tenere rinchiuso in infermeria per un mese.

Sottraendo lentamente la mano alla stretta, Val disse: — Dan, non voglio che tu e Larry siate nemici. Riconciliatevi…

— Vorrei che fosse possibile. Te lo giuro, sarebbe un grande sollievo. Gli lascerei perfino tenere la presidenza se solo fossi sicuro…