— Sicuro di che?
Dan scosse la testa. — Non può funzionare. È te che voglio, Val. Se avessi te, forse lascerei anche perdere il resto.
— Il resto?
— Sì… ho avuto tanto, tanto tempo per pensare, all’infermeria. Mi dicono che non ci sono stati incidenti, in quest’ultimo mese.
Valery esitò, poi disse: — Infatti.
— Vedi? È stato furbissimo… astuto come una volpe.
— Cosa intendi dire?
— Non capisci? Vuol far credere che il responsabile sono io. È già riuscito a convincere un mucchio di gente che sono pazzo, che ho provocato io gli incidenti, che sono stato io a buttare tuo padre nel tunnel.
Val lo guardò fisso. — Sei stato tu?
Dan la guardò negli occhi, e ci vide tutta l’ansia e la paura che la tormentavano.
— L’hai fatta a Larry, questa domanda?
— Cosa vuoi dire?
— Lo sai, Valery.
— Ma perché? — disse Valery, in un bisbiglio appena udibile. — Che motivo potrebbe avere Larry?
— Hai mai pensato — chiese lentamente Dan — che se c’è davvero un pazzo a bordo di questa astronave, dev’essere Larry?
— No! È impossibile!
— Impossibile?
— Dan… tu ti sbagli. Gli incidenti potrebbero essere stati davvero solo incidenti.
— E allora perché Larry tenta di convincere tutti quanti che io sono matto?
— Ha paura…
— Ha paura di me?
Valery sbottò, senza controllarsi: — Larry ha paura che tu sia malato. Perché se sei malato, puoi fare del male ad altre persone, danneggiare l’astronave, magari farci morire tutti.
— È quello che sta facendo lui.
— No…
Dan sentiva la collera montare dentro di sé, sentiva la faccia infiammarsi. — Ha paura di me perché sa che io so di non aver provocato nessuno di quegli incidenti. Sa che non avrò pace finché non potrò smascherare davanti a tutti il vero responsabile… l’uomo che ha ucciso mio padre e che ha quasi ucciso il tuo. Ecco di che cosa ha paura!
— Dan, ascoltami. — La voce di Valery era supplichevole. — Dammi retta. Se continuate così, uno di voi due finirà ucciso. Se non tutt’e due. Smettila, per favore. Lascia perdere.
Dan scosse la testa. — È impossibile, Valery. Non ce la faccio.
— Neanche per me? Per la mia tranquillità, perché non mi tormenti più? Io soffro a vedere come vi scannate a vicenda.
— Non c’è niente da fare…
— Senti — disse Valery, con voce che tremava, le lacrime agli occhi. — Se dicessi a Larry che ho cambiato idea… che voglio sposare te… Ti daresti pace?
Dan si sentì come se fosse stato trasportato di colpo nel mozzo dell’astronave a gravità zero. Ebbe la sensazione di cadere, di cadere senza fine, ruotando su se stesso, con la testa che gli girava… Strinse forte gli occhi. Basta! Basta, basta, basta…
Guardò Valery così bella, così sola, spaventata e implorante, e disse: — Val… io non voglio che tu serva a comprarmi. Non voglio averti così. Finiremmo con l’odiarci. Io… no, io e Larry dobbiamo vedercela tra noi.
— Vi distruggerete l’un l’altro — disse Valery, con un filo di voce, esausta.
— Può darsi.
— Distruggerete l’astronave.
— Proprio quello che voglio evitare.
— E distruggerete anche me, alla fine.
Bruscamente Valery si alzò dal tavolo e corse fuori dal ristorante, lasciando Dan solo.
IX
Per più di un mese, le quattro sonde automatiche avevano viaggiato silenziosamente attraverso lo spazio, puntando verso il pianeta maggiore del sistema di Alpha Centauri, L’unico legame tra le sonde e l’astronave era un continuo segnale radio, della minore intensità possibile, per non sprecare l’energia delle batterie.
Ma quando le sonde si avvicinarono alle due stelle principali di Alpha Centauri, le pile solari sui loro gusci cominciarono a convertire la luce in elettricità, e i segnali radio acquistarono forza. A uno a uno, gli strumenti di bordo si risvegliarono al nuovo apporto di energia e iniziarono a rimandare dati all’astronave. Ma questi dati, esaurienti e complessi, erano portati ora da raggi laser.
Alcuni degli strumenti calcolarono con esattezza la posizione delle sonde nello spazio, e le rotte che seguivano avvicinandosi al pianeta maggiore. Questi dati furono esaminati dagli uomini e dall’elaboratore a bordo dell’astronave, e alle sonde furono trasmesse lievi correzioni di rotta. Le sonde eseguirono, e gli uomini e le donne dell’astronave si congratularono con se stessi. L’elaboratore, impassibile, immagazzinò tutti i dati.
Le sonde rasentarono, oltrepassandolo felicemente, il campo gravitazionale di Alpha Centauri B, la stella minore del sistema, e si lasciarono attrarre da Alpha Centauri A, la stella gialla simile al sole, avvicinandosi al pianeta maggiore. Ci furono altre lievi correzioni di rotta, altre microscopiche emissioni di gas dai piccoli getti d’assetto, e poi le sonde entrarono in orbita attorno al pianeta.
Sull’astronave, la gente fece festa.
Da quel momento, fiumane di dati attraversarono lo spazio, riversandosi dalle sonde all’astronave in arrivo. Erano dati in codice, naturalmente, espressi in un linguaggio comprensibile solo agli ingegneri e all’elaboratore. E insieme ai dati, lungo i raggi laser che collegavano le sonde con l’astronave, arrivarono anche immagini.
Due delle sonde sganciarono capsule d’atterraggio. Una di queste non toccò mai la superficie del pianeta, o almeno non trasmise mai dati dopo che fu entrata nell’atmosfera. L’altra atterrò, e dalla superficie del nuovo mondo cominciò a inviare fotografie e informazioni.
Larry percorreva a passo spedito un corridoio del livello 2, dove si trovava la maggior parte dei laboratori e delle officine. Polanyi gli aveva telefonato tutto eccitato: le prime fotografie del pianeta erano pronte da esaminare.
Vide qualcuno venire dalla parte opposta e, prima della faccia, riconobbe la tuta arancione di Dan. La porta del laboratorio di Polanyi era a metà strada fra loro.
Si erano evitati, dopo che Dan era stato dimesso dall’infermeria. S’incontravano ora, alla porta di Polanyi, per la prima volta.
— Ciao, Dan — disse Larry meccanicamente.
Dan fece un cenno con la testa, serio serio. — Ciao.
Larry allungò una mano per aprire la porta ma Dan lo prevenne.
— Polanyi ha invitato anche te? — chiese Larry.
— Ha invitato tutti i membri nel Consiglio — rispose Dan — Hai qualcosa in contrario?
Larry lo guardò con astio, e se ne accorse. — Assolutamente niente… se tu credi di poter portar via del tempo al tuo lavoro.
Dan gli fece segno di precederlo, poi entrò dietro di lui dicendo: — Abbiamo finito, ormai. Il generatore è stato rimontato ed è senza difetti. Oggi riprenderà a funzionare.
— Bene. Sono contento. — Ma Larry non sorrideva.
— Eccovi qua. Siete i primi — li salutò Polanyi.
Era seduto al suo banco da lavoro in fondo al vasto laboratorio, che era un’accozzaglia di strumenti, videoschermi, pannelli di controllo, banchi di lavoro, terminali dell’elaboratore, e altri attrezzi che a Larry erano completamente sconosciuti. Mezza dozzina di tecnici in tuta bianca armeggiavano attorno a uno dei pannelli dell’elaboratore, vicino a un videoschermo grande come una parete montato su gambe che sembravano troppo fragili per il peso che sostenevano.
Polanyi si mise a gironzolare nervosamente attorno allo schermo, incitando i tecnici. Larry vide alcune sedie disposte in fila e andò a sedersi. Dan si avvicinò ai tecnici e stette lì a curiosare. Dopo circa dieci minuti, cominciarono ad arrivare gli altri consiglieri. I vecchi occuparono le sedie, e Larry si alzò e si unì all’irregolare semicerchio dei giovani in piedi dietro.