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— Non importa — disse Larry, con voce atona. — Non c’è niente che ci serva vedere, là dentro.

II

Larry era seduto nel suo alloggio, al buio. Era un comparto singolo, con spazio appena sufficiente per una cuccetta, uno scrittoio e una sedia. Cuccetta e scrittoio erano ricavati dentro le pareti curve, e i cassetti e i tramezzi scorrevoli che chiudevano il guardaroba e il gabinetto si fondevano col metallo argenteo delle pareti diventando quasi invisibili.

Larry era seduto sull’unica sedia, e guardava il vuoto. Nel buio c’era soltanto il bagliore residuo del video ai piedi del letto e la debole fluorescenza del disegno sulla parete che gli aveva fatto Valery anni prima, quando gli era stato assegnato il primo comparto tutto suo.

Hai perduto un padre che non avevi mai conosciuto, continuava a pensare Larry. E non sei il solo. Ciascuno di quei cinquanta uomini e donne era madre e padre di qualcuno a bordo di quest’astronave. Guarda Dan, quant’è stato più duro il colpo per lui.

Ma pensandoci e ripensandoci, cominciò a rendersi conto che era qualcos’altro, in realtà, a turbarlo. Non i morti: quelli non gli avevano lasciato che un senso di vuoto e di freddo. Era qualcos’altro…

Da che cosa era stato provocato l’incendio?

Secondo i dati registrati dall’elaboratore di bordo, l’astronave, coi suoi ventimila passeggeri, viaggiava attraverso l’immensa voragine dello spazio da quasi cinquant’anni. Una piccola gigantesca girandola che da quasi cinquant’anni portava il suo carico di ventimila esseri umani, esiliati dalla Terra, verso Alpha Centauri. E stava per raggiungere la destinazione.

Ma cominciava a morire…

Gli uomini e le donne che avevano iniziato quel lungo, lunghissimo viaggio erano esuli, e quasi tutti scienziati, genetisti molecolari. Il governo mondiale li aveva radunati e imprigionati sull’astronave, che allora era un satellite artificiale, orbitante intorno alla Terra. Il pianeta era sovrappopolato, e aveva bisogno di pace e, soprattutto, di stabilità. I genetisti rappresentavano le forze del cambiamento, erano una minaccia per la stabilità. Offrivano al mondo la possibilità di modificare la razza umana, di trasformare un neonato qualsiasi in un superuomo o in un idiota. A richiesta. Pagare e scegliere.

Il governo mondiale era composto di uomini, ed era stato umanamente fragile e umanamente pietoso. Aveva deciso che un potere simile sarebbe diventato facilmente corruttibile, sarebbe stato una tentazione troppo forte. E così, nel modo più umano possibile ma anche con assoluta freddezza, aveva fatto arrestare tutti gli scienziati che si interessavano d’ingegneria genetica e li aveva spediti in esilio sul satellite. Le loro conoscenze non dovevano mai essere usate sulla Terra col rischio di minarne la preziosa stabilità, conquistata duramente.

Era stato il padre di Dan Christopher, con l’aiuto del padre di Larry, a promuovere l’idea di trasformare il satellite-prigione in un’astronave. Il governo della Terra aveva acconsentito, in un primo tempo con riluttanza, poi con sempre maggior favore. Meglio sbarazzarsi definitivamente dei molesti scienziati, lasciarli partire per Alpha Centauri. Che ce la facessero o no, non sarebbero stati più una minaccia per la brulicante, sovrappopolata Terra.

Il guaio era che l’astronave stessa era sovrappopolata. Non si potevano tenere in vita ventimila persone per decenni, per mezzo secolo e più, su un veicolo spaziale. E così la maggior parte dei passeggeri erano stati congelati nel sonno criogenico, uno stato d’animazione sospesa, da cui sarebbero stati risvegliati alla fine del viaggio o anche durante, se ci fosse stato particolare bisogno di qualcuno. L’astronave era rimasta affidata a un gruppo esiguo, quel migliaio di uomini e donne a cui era stato concesso di viverci e lavorarci.

Tutto questo Larry l’aveva appreso dai nastri di storia, e gran parte con Dan, il suo migliore amico, quand’erano bambini e studiavano insieme. Le loro madri erano morte tutte e due di un’infezione virale che aveva fatto centinaia di vittime prima che i medici trovassero il modo d’arrestarla. E i loro padri li avevano affidati ancora neonati ad amici, e si erano sottoposti al sonno criogenico, per essere rianimati quando l’astronave fosse arrivata a destinazione.

Se ci fosse arrivata.

L’astronave era stata costruita da ingegneri della Terra, e quelli che ci vivevano, in viaggio verso le stelle, erano per la maggior parte scienziati con i loro figli. Doveva funzionare cinquant’anni e più, perché tutti potessero sopravvivere. I cinquant’anni erano quasi passati, e i grandi, complessi sistemi del gigantesco veicolo cominciavano a logorarsi. I giovani preparati a fare gli ingegneri e i tecnici possedevano tutte le nozioni contenute nei nastri. Ma erano in grado di far funzionare l’astronave per un tempo infinito?

Un mese prima era stato il generatore di potenza centrale a deteriorarsi, e avevano cominciato a razionare l’energia elettrica. La settimana prima si era guastata una pompa della sezione idroponica. Se non fossero riusciti a ripararla avrebbero perduto non solo un quarto della produzione alimentare, ma anche l’importantissima funzione di riciclo dell’ossigeno delle piante verdi coltivate nelle soluzioni acquose di sali nutritivi. E ora l’incendio, con i cinquanta morti.

Ce la farà almeno qualcuno?

Un bussare leggero alla porta, di unghie contro la plastica. Valery.

— Avanti — disse Larry alzandosi.

La porta si aprì e Valery s’inquadrò nel vano, illuminata dalla luce del corridoio.

Sembrava piccola, ma era in realtà alta quasi quanto Larry, e lui sapeva, fin dall’infanzia che avevano passato insieme, che era resistente e flessibile come l’acciaioplastica. Aveva la faccia larga, con alti zigomi nordici e grandi occhi dallo sguardo sempre un po’ sorpreso. Occhi cangianti: ora azzurri, ora verdi, ora di colore completamente diverso. La pelle era chiara, spruzzata di lentiggini. Bella, bellissima.

Portava una gonna-pantalone e una camicetta, bianche, semplici. Come la maggior parte delle ragazze dell’astronave, anche Valery si cuciva i vestiti da sé.

— Ho saputo di tuo padre — bisbigliò.

E senza aspettare che lui dicesse qualcosa, entrò nella cabina. La porta si richiuse automaticamente alle sue spalle, e il locale ricadde nel buio. Nell’incerto barlume del disegno fluorescente, Larry allungò una mano verso l’interruttore.

— No — disse Valery. — Stiamo bene così. Non ci serve la luce.

— Val…

Gli era vicinissima, e lui sentiva il profumo intenso dei suoi capelli.

— Ho visto Dan. L’hanno portato in infermeria. Ha avuto un collasso nervoso.

— Lo so — disse Larry.

Voleva toccarla, abbracciarla, sprofondare nel suo calore. Ma non poteva.

— Su… siediti — le disse.

Valery andò alla sedia di plastica davanti allo scrittoio e vi si sedette ripiegando le gambe sotto di sé con naturale grazia felina. Larry la distingueva nel buio come un confuso luccicore bianco, simile a una pallida nebulosa contro le immensità dello spazio. Si sedette anche lui, sull’orlo della cuccetta.

— Vorrei trovare qualcosa da dirti — cominciò Valery. — Ma mi sembra tutto inadeguato.

Larry si accorse di stringere spasmodicamente il bordo della cuccetta con tutte e due le mani. — Ehm… come sta Dan?

— Dorme. Gli hanno dato dei sedativi. Lui… lui non è forte come te, Larry.

— Fa quello che può, come io faccio quello che posso — disse Larry. — Lui butta fuori quello che prova.

— Mentre tu lo tieni compresso dentro, perché nessuno lo veda.

Larry non disse niente.