Si stava facendo molto buio e il vento urlava selvaggiamente. Le nuvole di polvere erano tanto fitte che quasi non ci si vedeva a un passo.
Un lampo guizzò sul mare, illuminando per un brevissimo istante l’intera scena. Dan lo sentì crepitare nella cuffia, e provò un’irragionevole fitta di terrore.
Poi venne il rombo del tuono, lontano ma minaccioso Dan continuò ad avanzare.
Nell’oscurità, nella polvere, non riusciva a vedere l’antenna radio. Poi ci fu un altro lampo e la vide, che ondeggiava come un gigantesco albero spoglio. Ondeggiava ma resisteva, stava in piedi. I nuovi pioli d’ancoraggio facevano il loro dovere.
Una folata di vento improvvisa gli sollevò uno stivale da terra. Dan oscillò un momento, riuscì con un tremendo sforzo a mantenere l’equilibrio e piantò di nuovo il piede sul terreno.
— Ross? — chiamò al microfono nel casco. Nessuna risposta.
— Ross! Sei lì? Torno indietro… arrivo tra un minuto. Silenzio. Solo il crepitìo dei lampi nella cuffia. Ross si era rintanato nel rifugio, evidentemente.
Piegato in due, Dan avanzò lentamente. Ogni passo era uno sforzo doloroso. Un altro lacerante stridore, e, con la coda dell’occhio, Dan vide che un altro dei pannelli solari si era staccato ed era caduto a terra, dove procedeva rimbalzando come un giocattolo sfuggito a un bambino.
Poi ci fu un rumore ancora più sinistro. Un gemito straziante, da far rizzare i capelli in testa, come se il pianeta stesso si squarciasse. Dan alzò gli occhi alle cupole metalliche e alle torri al suo fianco, ma non vide niente che…
Il lamento si ripeté. E poi, debole, si udì un suono… Un rumore morbido, come di plastica… la tenda!
Dan si slanciò forsennatamente avanti. Incespicò e cadde a faccia in giù, ma non si fermò. Per un tratto avanzò carponi, poi, faticosamente, si rimise in piedi. La furia del vento continuava a crescere, diventava intollerabile.
Aggrappandosi a un piolo della scaletta esterna della torre che aveva di fianco, Dan si riposò un momento, squassato dalla veemenza folle del vento. Poi riprese a camminare. Svoltò l’angolo, e allora vide che cos’era quel gemito.
La tenda era crollata e sbatteva sul terreno come un mostruoso pterodattilo moribondo. Dan non vide più la camera di compressione, non riuscì a capire se Ross aveva fatto in tempo a rifugiarsi sottoterra. Se non ce l’aveva fatta, era là dentro morto.
Una sola cosa era certa. Dan non poteva più sperare di mettersi in salvo nella tenda.
L’uragano urlò trionfante.
Nel centro d’osservazione dell’astronave, al mozzo, l’unico rumore era il sussurro dei ventilatori.
Larry, che si librava davanti alla parete trasparente della cupola di vetroplastica, stava guardando la grande massa curva del pianeta. Un’enorme macchia giallobruna nascondeva parte della superficie: l’uragano.
Larry puntò appena le dita sulla plastica, ancorandosi.
Aveva un telefono a parete a portata di mano, ma non voleva usarlo, non voleva sapere quello che stava succedendo.
— Dan è sempre laggiù.
Larry riconobbe, senza bisogno di voltarsi, la voce di Valery. La guardò: nella luce dorata che arrivava fino a loro dal pianeta, sembrava un’antica dea, sfolgorante nella semioscurità del centro d’osservazione. La faccia, però, era anche troppo umana, segnata dall’ansia e dalla paura.
— La scialuppa è arrivata un quarto d’ora fa — disse Larry. — Lastella s’è portato dietro le due ragazze e Vic O’Malley. Dan e Cranston si sono fermati sul pianeta. Dan ha voluto che non si lasciasse a terra un solo grammo di deuterio.
— E lui ora è in mezzo all’uragano. — La voce di Valery era calma, ma Larry sentiva un inizio di tremito.
— Hanno il rifugio sotterraneo. Non gli succederà niente.
— Ma ha dato notizie? Sei sicuro…?
Larry indicò col pollice la nuvola scura. — Non si può trasmettere con quella roba. Abbiamo tentato tutte le frequenze. Ci sono troppe interferenze.
— Forse è morto.
— No. È coraggioso e in gamba. Se la caverà benissimo.
Valery fissò lo sguardo sulla turbinante nuvola color melma. — Sembra viva… un mostro famelico… — Allungò una mano verso Larry. — Non puoi proprio fare niente? Non puoi mandare la scialuppa a prenderlo?
Larry la prese fra le braccia con tenerezza. — Non possiamo fare niente. Solo aspettare. La scialuppa non potrebbe atterrare nell’uragano. Possiamo solo aspettare. — E intanto si chiedeva: se ci fossi io, laggiù, e Dan fosse qui al sicuro, sarebbe così preoccupata?
— È terribile non poter far niente — disse Valery.
— Lo so, lo so.
— Quanto durerà l’uragano?
Larry si strinse nelle spalle. — È impossibile dirlo. Non abbiamo abbastanza dati sui fenomeni meteorologici del pianeta. L’ultimo è durato due giorni. Ma non sappiamo se era eccezionalmente lungo o… — Lasciò in sospeso la frase.
— O eccezionalmente breve — finì Valery. — Questo sembra anche peggio, eh?
Larry non rispose.
Valery non staccava gli occhi dal pianeta.
— Oh, Larry, se morisse…
— Sarà colpa mia.
Valery si voltò bruscamente, rimbalzando via dalla parete. — Colpa tua? E perché?
— Sono stato io a mandarlo laggiù, no?
— È il suo lavoro. E lui ci teneva ad andare.
— Avrei potuto impedirglielo — disse Larry. — Avrei potuto mandare un altro al suo posto. Io sapevo che era pericoloso.
Valery fluttuava a mezz’aria descrivendo un piccolo semicerchio attorno a Larry, che per vederla meglio si voltò con le spalle alla parete.
— Tu volevi che rischiasse di morire?
Larry chiuse gli occhi e cercò la risposta dentro di sé. — No.
— Almeno consciamente.
— Cioè?
— Sapevi che avrebbe corso pericoli enormi.
Larry annuì. — Sì, e ho pensato anche di andare giù con lui… ma quello che so fare io, laggiù non è richiesto. Potevo occupare dello spazio utile nella scialuppa e al campo solamente per dimostrare che ero coraggioso quanto Dan?
— Però, nell’intimo, sapevi che sarebbe potuto rimanere ucciso.
— Certo. Ma questo non vuol dire… — Larry cominciò a capire dove Valery voleva arrivare. — Val, non penserai che… non puoi credere una cosa simile!
— Infatti non la credo — disse Valery. Ma il tono era incerto, poco convincente.
Certo che se lui morisse, tutti i miei problemi sarebbero risolti, pensò Larry. Ma subito un’altra parte della sua mente urlò: ma allora diventeresti un assassino, che tu l’abbia voluto o no!
Valery parve rendersi conto del tumulto che l’agitava. Gli prese una mano e lo attirò contro la parete di vetroplastica, fluttuando lentamente con lui nella grande stanza buia.
— Hai ragione tu — gli disse piano. — È inutile tormentarci. Dobbiamo solo aspettare.
— Val… non credere che io lo desiderassi. Non è così, te l’assicuro.
— Lo so — disse Val, dolcemente. — Lo so.
Scesero sul pavimento, e le calzature dalla suola di velcro li trattennero giù, facendoli aderire leggermente al tappeto.
— Visto che siamo qui — disse Valery, lasciandogli la mano e andando verso la scrivania e gli strumenti al centro della stanza, — ti faccio vedere quello che ho scoperto di nuovo sulle altre stelle.
Vuole cambiare discorso, pensò Larry. Cerca di evitare che pensiamo a Dan.
Val si sedette alla scrivania e sfiorò alcuni tasti sul pannello che aveva davanti. Sul videoschermo apparvero delle immagini.
Larry non vide altro che minuscoli puntini bianchi. Le stelle erano più grandi e più nitide, in certe immagini erano luminosissime. Ma i pianeti erano tutti informi macchioline di luce.