— Non ha ancora dato notizie?
— Niente. Abbiamo esplorato la zona con tutti gli strumenti che abbiamo, e non c’è il minimo segno che lui e Cranston siano sopravvissuti.
— Potrebbero essere nel rifugio.
— Lo so. — Larry scostò la poltroncina della scrivania e vi si lasciò cadere.
Valery era sempre ferma sulla porta.
— Sono io che devo prendere le decisioni — ripeté Larry.
— Lastella è disposto a tentare un atterraggio?
— Sì, ma la decisione la devo prendere io.
— Lo so, Larry, e vorrei poterti aiutare, in qualche modo.
— Nessuno può aiutarmi.
Val fece un passo esitante, entrando nel minuscolo ufficio. — Larry… tu che cosa vorresti fare?
Larry la guardò sorpreso. La risposta era ovvia, per lui. — Io vorrei mandare Lastella a vedere se sono vivi. Credi anche tu che voglia uccidere Dan?
— Io credo che tu voglia fare quello che è giusto, ma che ti lasci fuorviare dalle tue responsabilità di presidente.
— Ma se tentando di atterrare Lastella resta ucciso? Non sappiamo in che stato sia la superficie…
— Si è offerto lui di andare — disse Val. — E tu vuoi fare il tentativo. Se resta ucciso, avrete almeno provato. È sempre meglio che stare qui seduti a far niente, no? A non tentare, sappiamo per certo che Dan morirà. A tentare…
Larry annuì, cupo. — Hai ragione… lo sanno tutti…
— C’è qualcosa che so solo io — disse Valery.
— Cosa?
— Che nonostante quello che è successo e succederà, tu non faresti mai del male a nessuno. Nemmeno a Dan.
— Dan… era il mio migliore amico. Eravamo tutti amici, un tempo.
— Milioni di anni fa. — La voce di Val era debole e lontana.
Larry respirò a fondo, e alzandosi in piedi, disse: — Va bene, faremo questo tentativo di salvataggio. Ma ci vado anch’io con Lastella, là fuori, alla sua ricerca.
Valery non parve sorpresa. — Non ce n’e bisogno. Non devi dimostrare niente, né a me ne a nessun altro.
— Voglio andarci.
— Ma non puoi, sei il presidente. E poi porteresti via spazio prezioso a bordo della scialuppa. L’unica cosa che puoi fare per aiutare Dan e Cranston… è prendere una decisione.
Dan, protetto dalla tuta, era sulla superficie del pianeta. Aveva la faccia smunta, e una barba ispida e scura gli macchiava il mento. Si sentiva la bocca secca, arsa.
Guardava il mare, a pochi metri dalla base distrutta. Le onde lambivano la spiaggia sabbiosa, indolenti e benigne. Sarebbero bastati pochi passi per immergersi nell’acqua fino alla vita.
Ma non si può bere, si diceva Dan. È infetta, velenosa. Dev’essere purificata, prima.
— Ancora qualche ora — mormorò, con la voce rauca e impastata, — e saremo ridotti a berla così com’è.
Cranston era nel rifugio, sdraiato nella sua cuccetta, paralizzato dalla paura di morire.
A un certo punto Dan non ce l’aveva fatta più a dividere con lui l’angusto spazio del rifugio. Molto meglio star fuori, nonostante l’impaccio della tuta. E nonostante la puzza del suo corpo, che cominciava a diventare insopportabile.
Gli venne quasi da sorridere. E così l’avrà vinta Larry, alla fine. Mi sembra di vederlo. È un pianeta micidiale, dirà. Troppo pericoloso. Bisogna proseguire, cercarne un altro. Ci lascerà morire, non muoverà un dito per salvarci.
Lo schianto e il brontolìo di un tuono in lontananza gli fecero alzare la testa. Un altro uragano? No, il cielo non era cambiato negli ultimi tre giorni: grigio, fitto di nuvole, ma non tempestoso. E il vento era leggero, agitava appena l’erba.
Dan strizzò gli occhi. Una sottile linea bianca rigava la massa di nuvole. Ma certo, era la scia di un razzo!
Se la tuta glielo avesse permesso, Dan avrebbe fatto un salto di gioia. Gli venne voglia di urlare, di ballare, di far capriole.
Invece rimase inchiodato dov’era a guardare la linea bianca fare una giravolta sopra la sua testa. Distingueva ormai chiaramente la sagoma appuntita del razzo, via via più grande. E nonostante il casco e la cuffia, sentiva il dolcissimo ruggito dei turbogetti ausiliari. Il razzo s’inclinò, e sorvolando il mare andò verso di lui, con le ruote d’atterraggio fuori. Toccò terra sollevando un polverone, e oltrepassò rullando la base semidistrutta.
Poi si girò lentamente, tornò indietro verso Dan, coi motori che urlavano, e una tempesta di sabbia e cenere in coda.
Infine il ruggito si spense, il tettuccio si aprì, e una figura in tuta pressurizzata si alzò in piedi.
Per tutto il tempo Dan era rimasto assolutamente immobile. Scuotendosi bruscamente, portò una mano all’interruttore della radio sulla cintura.
— …stai lì fermo? Di’ qualcosa, agita una mano, fa’ qualcosa! Sei mica congelato?
— Sto bene — gracchiò Dan, con una voce rauca che non riconobbe. — Ho solo sete.
— Sei vivo! — Era la voce di Lastella, trionfante. — Non muoverti, aspettami lì. Ho tant’acqua da nuotarci dentro.
Se Dan avesse avuto abbastanza liquido in corpo, avrebbe pianto di gioia.
Quella sera sull’astronave si fece festa.
Tutti quelli che poterono essere esonerati dal lavoro si radunarono nel self-service e mangiarono e bevvero insieme. Dan dovette lottare per sottrarsi alle insistenti attenzioni del personale medico: ma fece la sua scena, su una sedia a rotelle.
Per la prima volta da mesi, Dan, Valery e Larry si trovarono insieme nello stesso posto, perfino allo stesso tavolo. E per qualche ora, fu come ai vecchi tempi. Nessuno accennò alle esitazioni di Larry a mandare la scialuppa sul pianeta. Le tensioni e le paure furono dimenticate, almeno temporaneamente.
Ma poi, quando la festa cominciò a calare di tono, e la gente, in punta di piedi, o barcollando, cominciò ad andarsene, qualcuno disse a voce alta, abbastanza alta da farsi sentire da tutti: — Abbiamo avuto la prova che su questo pianeta non si può stare. È troppo pericoloso. I nostri due festeggiati l’hanno scampata per un pelo.
Dan si rabbuiò immediatamente. — Abbiamo avuto la prova che occorrono impianti più resistenti e molte precauzioni. Ma se siamo sopravvissuti a un uragano simile, niente può farci paura.
— Io dubito… — cominciò Larry.
Valery lo interruppe. — Abbiamo bisogno di altre scorte di deuterio, no? Perciò qualcuno dovrà per forza tornare sulla superficie, possibilmente meglio attrezzato.
— Sarà un lavoro lungo e duro.
— Ma dev’essere fatto.
Dan si alzò dalla sedia a rotelle e sovrastò gli altri, smunto, con gli occhi cupi e spiritati. — Tutto quello che si deve fare, si farà. E i nostri figli ci giocheranno, sul pianeta, quando li avremo adattati a viverci.
Larry sbirciò Val, vide che guardava Dan, e si sentì ribollire d’odio.
XIV
La mattina dopo Dan cercò Valery e la trovò nella biblioteca dell’astronave, in una delle cabine di lettura dei nastri.
Sulla parete della cabina c’erano due video montati uno di fianco all’altro, e Val stava confrontando alcuni dei suoi spettrogrammi con le carte d’analisi spettrali conservate negli archivi della biblioteca.
Dan bussò alla porta di vetro, e Val si voltò, gli sorrise e gli fece segno di entrare.
Nella cabina c’era un’unica poltroncina, e per Dan restava appena lo spazio sufficiente a star in piedi. — È intimo, qua dentro — disse sorridendo.
— Non è un luogo di ritrovo, in effetti — disse Valery, facendosi un po’ in là sul sedile.
— Sei libera stasera? Mangiamo insieme?