Per dove?, fu sul punto di chiedere Larry. Ma non volle dare a Dan la soddisfazione, e disse invece: — T’è piaciuta tanto l’esperienza che hai fatto sul pianeta? Ti sembra un parco di divertimenti?
— È sempre meglio dell’astronave.
Larry sbuffò. — È come dire che la morte è meglio della vita.
— Ti sbagli! — scattò Dan. — Non capisci l’errore che fai? Dobbiamo fermarci qui. Andare avanti significherebbe morire tutti. È questo che vuoi?
— Ne abbiamo già discusso, Dan.
— E sei sempre della stessa idea?
— Questo pianeta è micidiale — disse Larry. — Per quanto possiamo modificare i nostri figli, o i nipoti, o i pronipoti… io non credo che saranno mai in grado di sopravvivere sul Pianeta Giallo. — Dan fece per replicare, ma Larry continuò: — L’universo è grande. Sarebbe assurdo e criminale fermarci su questo pianeta quando ce n’è sicuramente uno migliore.
— Vedremo — disse Dan, con la voce che tremava. — Vedremo. E presto.
Mezzanotte.
Sul ponte di comando niente distingueva un’ora dall’altra. Nei corridoi, nei tubi di collegamento, nel self-service, di notte, le luci venivano abbassate. Ma negli spazi di lavoro, come appunto il ponte di comando, era sempre tutto uguale, a mezzanotte come a mezzogiorno. Cambiavano solo le persone.
Larry era in piedi alle spalle di un operatore, e guardava i video che presentavano il pianeta e la scialuppa in posizione sulla piattaforma di lancio, vicino al mozzo.
Ora il luogo dell’accampamento era illuminato, e dove c’erano state tende e impianti, si vedeva una grande macchia scura.
Larry trasferì lo sguardo sul video che presentava la scialuppa pronta per il lancio, e vide i due uomini in tuta pressurizzata seduti fianco a fianco nella cabina di pilotaggio. La voce di Lastella scandiva le frasi del conto alla rovescia:
— Serbatoi aperti.
— …nove, otto, sette…
— Razzi pronti per l’accensione.
— …cinque, quattro…
— Sistemi di rilevazione telemetrica e radar attivati — disse un operatore.
— …due, uno, zero.
La catapulta elettrica scagliò la scialuppa fuori dal portello aperto della camera di compensazione. E sul video Larry la vide farsi sempre più piccola, finché non diventò un puntino in più fra le innumerevoli stelle.
— Accensione razzi — disse la voce di Lastella.
Il puntino s’illuminò per un attimo di un bagliore vivo. Poi sparì anche quello.
— Volo seguito al telescopio d’osservazione — disse un operatore.
Larry si voltò verso il suo video, e vide la scialuppa, simile a una meteora luminosa che striava di rosso il vasto paesaggio dorato del pianeta.
— Rilevazioni telemetriche e ricezione della voce ottime.
Larry mise una mano sulla spalla dell’operatrice e disse: — Vado nel mio alloggio a dormire un po’. Chiamami quando atterrano.
E lasciandosi alle spalle la luce viva e il trambusto del ponte di comando, uscì nella penombra notturna dei corridoi. Entrò nel suo scomparto buio, e si buttò immediatamente sulla cuccetta.
Quando suonò il videofono, premette il pulsante SOLO VOCE.
— Sì?
— Hanno atterrato. Lastella riferisce che è andato tutto bene. Ora scenderanno sulla superficie e cominceranno a guardarsi attorno.
— Grazie.
Larry rimase a lungo seduto sulla cuccetta, immobile. Poi parlò di nuovo al videofono: — Valery Loring, per favore.
Una pausa. Sicuramente dorme già, la sveglio.
Sul video apparve la faccia della signora Loring. — Larry, sei tu? Non ti vedo. Sei al buio?
— Scusatemi se vi ho svegliato. Val non c’è?
— Non dormivo. Soffro d’insonnia da… — La voce si ruppe. Poi: — Val è all’osservatorio. Ha preso a lavorarci a ore strane, negli ultimi tempi.
— Grazie. La chiamerò là.
Ma sapeva che non avrebbe telefonato. Doveva andare all’osservatorio e vederla faccia a faccia.
Altre due notti, si disse Valery. Altre due notti, e la mattina del terzo giorno il Consiglio si sarebbe riunito.
Era una settimana ormai che passava la notte all’osservatorio, seduta alla scrivania di suo padre. Le miriadi di stelle spruzzate nel buio di fuori accentuavano il senso di freddo e di solitudine che si provava a stare lassù. La loro luce era senza calore. La grande massa del Pianeta Giallo non si vedeva, era dall’altra parte dell’astronave.
La sagoma mastodontica del telescopio si stagliava contro le stelle, e gli altri strumenti, più piccoli, facevano un guazzabuglio d’ombre. Nero su nero. Buio e più buio. Impercettibilmente attenuato dalle luci del terminale dell’elaboratore e dei videoschermi.
In tutte quelle notti, Val si era sempre sforzata di stare sveglia, naturalmente, e aveva anche fatto molto lavoro. Ma nei lunghi intervalli in cui erano gli strumenti a lavorare e per lei c’era poco o niente da fare, spesso, troppo spesso, era scivolata nel sonno, cullata dal silenzio e dall’assenza di peso.
Clic!
Valery si tese.
Si udì il rumore di un portello che si apriva. Val sforzò gli occhi ma non riuscì a vedere niente. C’erano diversi portelli che davano nell’osservatorio, ma anche quando se ne apriva uno, la luce dei tubi al di là era troppo debole per notare la differenza.
Passi ovattati. Piedi in pantofole che attraversavano silenziosamente il pavimento dell’osservatorio.
— Chi è? — chiese Val. Nessuna risposta.
Dan è sceso sul pianeta con la scialuppa.
— Larry, sei tu, vero?
La snella figura di Larry si delineò nell’ombra, a non più di cinque metri da Val. — Sì, sono io.
— Oh… mi hai spaventato… un po’.
— Scusa, non volevo.
Adesso era vicinissimo e Val vide che aveva la faccia molto stanca.
— Perché… come mai sei venuto a trovarmi?
Per un attimo lui la guardò fisso, senza rispondere. — Avevo bisogno di parlare con qualcuno — disse alla fine. — Mi sono sentito terribilmente solo in questi giorni. Senza amici, senza nessuno.
— Io ti sono sempre amica, Larry.
— È difficile considerarti un’amica, Val. Dopo quello che è successo… no, non potremo mai essere amici.
— Non capisco.
Larry parve affranto. — Non capisci? Quando riferirai al Consiglio che non hai trovato un pianeta simile alla Terra voteranno per fermarci qui. Eleggeranno presidente Dan, e i genetisti si metteranno al lavoro per adattare la prossima generazione a quel mondo micidiale laggiù. I tuoi figli, Val! Tuoi e di Dan. Saranno mostri grossi come gorilla, capaci di respirare zolfo.
Val dovette fare uno sforzo per mantenere ferma la voce. — Ma che altro possiamo fare?
— Dobbiamo andare avanti. Dobbiamo trovarlo il pianeta simile alla Terra. In questo grande universo…
— Non è detto che ci sia — disse Valery. — Forse la Terra è unica. Perché dovrebbe esserci un altro pianeta uguale?
Larry non rispose. Buttò indietro la testa e guardò le stelle che si affollavano tutto intorno.
— Capisco perché ti piace star qui — disse. — C’è una gran pace. È come esser soli in mezzo all’universo… fluttuare leggeri fra le stelle. Non sarebbe neanche un brutto modo di morire, cadere nel vuoto qui fuori. Senza peso, senza più preoccupazioni, liberi nello spazio sterminato.
— Che… cosa intendi dire?
Larry si scosse e fissò lo sguardo su di lei, e davanti a quegli occhi azzurro ghiaccio, Valery rabbrividì.
— Hai convinto il dottor Hsai a far rianimare il gruppo di psichiatri — disse Larry in tono inespressivo.
— Be’… ne abbiamo parlato, sì…