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Larry resse altri due turni. Passò parte del tempo sul ponte e parte con gli uomini di Campbell a perlustrare corridoi e aree di lavoro e di deposito inutilizzate, tutte ermeticamente chiuse e sepolte sotto una polvere di mezzo secolo.

Cenò con Val al self-service.

— Voglio assegnarti due guardie di scorta.

— A me?

— Dan non ha detto che voleva ucciderti?

— Ma solo perché gli ho detto che il pianeta più interno di Epsilon Indi è praticamente uguale alla Terra. Voleva impedirmi di annunciarlo al Consiglio.

— Ah… E adesso sa che era una bugia.

Val sorrise, imbarazzata. — No, è la verità. È a te che ho detto una bugia.

— Cosa? Mi hai detto…

— Era una bugia. Volevo vedere se… insomma, se avresti tentato di… d’impedirmi di fare la relazione al consiglio.

Larry la guardò strabiliato. — Vuoi dire che Epsilon Indi ha davvero un pianeta simile alla Terra?

Val annuì, sorridendo.

Larry ebbe voglia di mettersi a ballare. Ma poi gli tornò in mente Dan. — In ogni caso voglio che tu sia protetta. Dan è pericoloso… e io ti amo ancora.

— Lo so — disse Valery, a voce molto bassa, quasi un sussurro. — Io non ho mai smesso un attimo di amarti.

Larry si protese sul tavolo e la baciò. Settanta persone nel self-service smisero di mangiare per godersi la scena. Larry non se ne curò affatto. Se pure se ne accorse.

— Dev’essere da qualche parte. — Larry aveva un diavolo per capello.

Era sul ponte di comando e parlava con Mort Campbell, che era stancamente abbandonato su una sedia.

— Uno non può sparire per tre giorni — smaniò. — Va bene che l’astronave è grande, ma ormai dovreste averlo scovato.

— Lo so, è quello che penso anch’io — disse Campbell. — O è di una furbizia diabolica o…

— O cosa?

— O ha amici che lo aiutano.

Larry fece un gesto secco trinciando l’aria. — No, questo no. Che ci sia un matto a bordo passi, ma che ce ne siano degli altri che lo aiutano… no, non ci posso credere…

— Però Joe Haller ha preso il suo posto sulla scialuppa.

— Ho parlato con Joe. Non aveva la minima idea delle intenzioni di Dan. Gli aveva chiesto di sostituirlo, e lui l’ha fatto. Tutto qui.

Campbell buttò in aria le braccia disgustato. — Ma allora dove può essersi ficcato? Perché non riusciamo a trovarlo?

— Se lo sapessi, Mort…

— Segnale di emergenza! — annunciò un’operatrice.

Larry fu da lei in un balzo. — Che succede?

La ragazza indicò una luce rossa sul pannello che aveva davanti e premette alcuni tasti. Uno dei due video ai lati del pannello si illuminò, e apparve una guardia che perdeva sangue da una vistosa ferita sulla testa.

— È qui… è qui…

— Da dove è stato inviato il segnale? — urlò Larry alla ragazza.

— Camera di compensazione quattordici, livello tre. Campbell schizzò dalla sedia e in un lampo fu alla porta. Larry disse: — Voglio parlare all’interfono.

La ragazza annuì e armeggiò coi tasti. — Parlate pure.

Larry si chinò sul microfono incassato nel pannello, e disse: — Parla il presidente. Dan Christopher ha aggredito una guardia alla camera di compensazione quattordici, livello tre. Tutte le squadre di perlustrazione si dirigano là. Gli addetti alla sorveglianza restino ai loro posti. — Fece per raddrizzarsi, poi ebbe un’idea. — Dan… Dan Christopher. Arrenditi, Dan. Noi vogliamo aiutarti. Non puoi farcela. Arrenditi, non ti faremo del male.

Ma suonava inefficace a lui per primo.

Passeggiò nervosamente per il ponte ancora per qualche minuto, poi disse: — Vado anch’io al livello tre. Se ci sono chiamate per me, passatemele là.

Arrivò alla camera di compensazione 14 che stavano portando la guardia all’infermeria, su una barella. Campbell era dentro con le mani sui fianchi.

Larry si fece strada tra una decina di uomini e s’infilò nel portello interno.

— Finalmente sappiamo dov’è — gli disse Campbell.

— Che cosa è successo?

Campbell indicò col pollice le tute pressurizzate appese nel corridoio fuori della camera di compensazione. — Ha tramortito la guardia, ha preso una tuta ed è uscito nello spazio.

— Cosa? Sei sicuro?

Campbell annuì. — Sì. Quando siamo arrivati, pochi minuti fa, il portello era aperto.

— Ed è fuori?

— Già. Si sta suicidando.

Larry rimase un po’ pensieroso. — No. Sta cercando di arrivare a una parte dell’astronave, non so quale… Dio mio, potrebbe sfondare le paratie, magari della zona degli alloggi…

Perfino Campbell perse un po’ della sua abituale calma. — Meglio dare l’allarme. Far sigillare i portelli…

Larry annuì. — E far sorvegliare tutte le camere di compensazione.

— Bene. Nient’altro?

— Sì. Raduna una squadra di volontari. Dobbiamo uscire e inseguirlo. Vengo anch’io.

XVI

Era una sensazione strana, fantastica.

Larry era già stato altre volte fuori dell’astronave, ma mai da quando erano entrati in orbita attorno al pianeta. E gli sembrava che la gran massa curva sospesa su di lui fosse insieme ammiccante e minacciosa, pronta a cascargli addosso.

Scosse la testa dentro il casco. — Non è il momento di fare i turisti — disse.

La squadra che era uscita fuori nello spazio alla ricerca di Dan era composta da un dozzina di uomini. Dodici uomini per scoprire le migliaia di posti dove poteva essere nascosto.

Questi uomini agivano secondo un piano. Erano usciti da una camera di compensazione al livello 1, e si erano sparpagliati lungo la circonferenza della ruota. Il piano era che ciascuno avrebbe dovuto esplorare la zona tra due tubi di collegamento. Se nessuno dei dodici avesse trovato Dan, tutti, contemporaneamente, sarebbero saliti lungo i tubi al livello 2, avrebbero esplorato quello, e poi sarebbero passati al successivo. E così via, fino al mozzo.

Ci vorrebbero cento uomini, pensò Larry. Ma solo dodici si erano offerti volontari. La maggior parte degli abitanti dell’astronave non era mai stata fuori nello spazio.

Larry vide l’uomo più vicino a lui sparire oltre la curva della ruota, e rimase solo, ritto sull’involucro metallico con gli stivali a presa magnetica, a guardare il tubo di compensazione che arrivava fino alle cupole di vetroplastica del mozzo.

Le stelle formavano uno sfondo di milioni d’occhi fissi su di lui. Alle sue spalle, Larry sentiva, più che vederla, l’imponente presenza del pianeta.

La voce di Campbell crepitò nella cuffia. — Tutti pronti?

A uno a uno, gli altri undici risposero dando il numero che era stato frettolosamente dipinto a spruzzo sulla tuta.

— Benissimo, ciascuno si muova verso sinistra. Tenete le pistole pronte.

Larry sfiorò il laser, trasformato da arnese in arma, agganciato alla cintura. Le pistole soniche non funzionavano nel vuoto. Se fosse stato necessario sparare, qualcuno sarebbe morto.

Cominciò a camminare a spirale attorno alla gigantesca ruota, con gli stivali magnetici che lo facevano aderire al metallo. Girò infinite volte, spostandosi via via da un tubo all’altro. Non c’erano praticamente nascondigli: la parete esterna del livello 1 era quasi perfettamente liscia, interrotta soltanto da qualche oblò.

Larry evitò con cura di metter piede sugli oblò, che erano fatti di vetroplastica e non fornivano presa agli stivali magnetici. Non aveva nessuna voglia di navigare nello spazio, anche se era provvisto di getti di guida alla cintura. Molto meglio non perdere il contatto con l’astronave.

Quando alla fine arrivò al tubo di collegamento successivo, si accorse che sudava, ansimava, ma era contento. Nessuna traccia di Dan. E questo gli faceva piacere.