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Il portello era aperto, e lo spazio dei reattori immerso nel buio. Per un attimo, Larry pensò di spegnere la lampada del casco. Ma sarebbe stato cieco, senza.

Avanzò, camminando di traverso. Sapeva che il portello dava su una passerella sospesa sopra i due reattori e il generatore centrale.

Mise un piede sulla passerella, e immediatamente spense la luce del casco.

Sotto di lui c’era Dan, inginocchiato vicino al generatore e illuminato dalla luce del suo casco. Aveva in mano una pistola laser con cui stava bruciando alcuni fili esterni del generatore. Le viscere dell’apparecchio eruttavano fumo e scintille.

Senza pensarci due volte, Larry scavalcò l’esile parapetto della passerella e si lanciò su Dan. Fu come un sogno, un incubo. Traversò i venti metri che li separavano fluttuando come una nuvola. Alzando la destra, scagliò la pistola contro Dan con tutta la forza di cui era capace. La pistola cadde sulla mano di Dan, e fece ruzzolare via il suo laser. Senza rumore.

Dan si voltò, e il bagliore della torcia colpì Larry dritto negli occhi. Poi i due si scontrarono, con un impatto che li scaraventò oltre il generatore e li fece finire, in un groviglio confuso di braccia e gambe, nello stretto spazio tra il generatore e uno dei reattori.

Sembravano due robot. Nella bassa gravità, ogni movimento energico era spinto oltre il limite del necessario, e i due lottavano goffamente, barcollando, rimbalzando, rotolando sul pavimento e colpendosi l’un l’altro.

La testa di Larry fu sbattuta contro l’interno del casco almeno una decina di volte. Gli fischiavano le orecchie. Sentiva il sapore del sangue in bocca. Il sudore gli colava pungente negli occhi.

Dan allungò una mano su per la spalla di Larry, tentando di afferrare il tubo dell’ossigeno. Larry gli tirò via il braccio con un colpo secco, e lo spinse contro la liscia parete metallica del reattore. Dan si piegò in due, afferrò Larry per le gambe e lo mandò lungo disteso all’indietro.

Sentendosi come una tartaruga rovesciata sul dorso, Larry tentò di rimettersi in piedi, ma Dan gli fu sopra, urlando qualcosa d’incomprensibile, e stringendolo per le spalle lo sbatacchiò contro le piastre metalliche del pavimento. A ogni colpo a Larry si confondeva la vista, e non sapeva se gli si sarebbe rotta prima la testa oppure la tuta.

Agganciò le braccia attorno a Dan, tentando di resistergli e nello stesso tempo di trattenerlo. Ma Dan andava su e giù sopra di lui, scuotendolo ripetutamente con tutta la massa del suo corpo.

Le mani di Larry, annaspando freneticamente, si chiusero su un tubo sottile. Il tubo dell’ossigeno! Il primo impulso fu di strapparlo, ma poi Larry si limitò a stringerlo, stringerlo con tutte le sue forze.

Dopo pochi istanti, Dan smise di scuoterlo. Tentò di prendergli il braccio, ma Larry gli stava troppo avvinghiato. Poi rotolò sul dorso, ma Larry non mollò la presa sul tubo. Lo tenne stretto, stretto, togliendo ai polmoni di Dan l’ossigeno, lasciandolo soffocare.

Dan s’afflosciò e rimase inerte.

Larry aspettò ancora qualche secondo prima di mollare il tubo. Poi crollò anche lui, sopra il corpo immobile di Dan. No. Non posso… lasciarmi andare. Si riavrà presto… appena gli arriverà aria fresca.

Stordito, sanguinante, si tirò su in ginocchio. Sapeva che non ce l’avrebbe fatta a rimettersi in piedi. Accese la lampada del casco e si guardò in giro, cercando i laser. Le gambe di Dan cominciavano a muoversi debolmente. Strisciando a quattro zampe, Larry trovò una delle pistole e la prese in mano. Poi si buttò a sedere pesantemente, appoggiandosi al generatore, puntò la pistola contro Dan, e con la mano libera premette l’interruttore della radio della tuta.

— L’ho fermato — disse, con un filo di voce. — Siamo nello spazio dei reattori.

XVII

I consiglieri avevano tutti un’aria soddisfatta, ma Larry era invaso dal torpore.

Perfino Valery sembrava contenta. Aveva appena presentato i suoi nastri e fatto la sua relazione al Consiglio sul pianeta di Epsilon Indi, che da quella distanza sembrava un gemello della Terra.

— Io propongo — disse Polanyi, sorridendole raggiante, — che la signorina Loring sia nominata membro temporaneo del Consiglio… finché suo padre non tornerà tra noi.

Tutti assentirono, con cenni della testa e mormorii di approvazione.

— Allora la proposta è accolta — disse Larry.

Adrienne Kaufman si schiarì la voce. — Ora che sappiamo dell’esistenza di questo pianeta, cosa decidiamo di fare? Proseguiamo? Perché se no abbiamo davanti un’immane operazione genetica.

Larry diede un’occhiata circolare ai consiglieri. Tutti sembravano aspettare che parlasse lui per primo.

— Mi sembra che non ci sia motivo di prendere decisioni affrettate — disse. — Dobbiamo restare in orbita attorno a questo pianeta alcuni mesi, per riassettare l’astronave. Approfittiamone per raccogliere altri dati sul pianeta di Epsilon Indi.

Valery disse: — Se si potesse costruire un telescopio più grande, e potenziare gli strumenti che abbiamo…

— Si può fare certamente — disse Polanyi.

— Epsilon Indi è su per giù distante da qui quanto Alpha Centauri dalla Terra — disse Larry, — Se decidiamo d’andarci, saranno altri cinquant’anni di viaggio.

— Nessuno di noi sarà sveglio per tutto il viaggio — disse Polanyi.

— Se decidiamo d’andare — disse Adrienne Kaufman.

— Oh, secondo me decideremo d’andare — disse il vecchio ingegnere. — È un bel pianeta, troppo bello per scartarlo.

Poco dopo la riunione si sciolse, e Valery si alzò dalla sua sedia e si avvicinò a Larry.

— Oggi sottopongono Dan al criosonno. Il dottor Thomas dice che è più facile intervenire sugli organi nervosi quando gli impulsi sono rallentati dalle basse temperature.

— Lo so — disse Larry.

— Forse dormirà per anni.

Larry capì che cosa lo turbava ma ebbe paura a dirlo. Paura di sentirsi rispondere da Val che la sua inquietudine era giustificata. Val lo fissò indagatrice: — So cosa pensi.

— Davvero?

— Sì. — Valery sorrise. — Hai paura che voglia farmi addormentare anch’io, per risvegliarmi anch’io con Dan quando sarà guarito.

Larry le prese una mano. — Pensi di farlo?

— No — disse Val. — Quando ti convincerai, idiota, che è te che voglio?

Larry sorrise goffamente. — Bada che ci credo.

Uscirono insieme dalla sala e si avviarono per un lungo corridoio curvo. Al primo oblò si fermarono e stettero a guardare in silenzio il pianeta dorato di fuori.

— Sarebbe un mondo bellissimo… — mormoro Larry. — E così vicino…

— Ce nè uno migliore che ci aspetta — disse Val.

— Ma se non ci facciamo addormentare, probabilmente non arriveremo a vederlo.

Valery lo guardò e gli sorrise. — È vero. Ma deve pur esserci qualcuno che guidi l’astronave e allevi la generazione che vedrà il nuovo mondo.

— I nostri figli — disse lui.

— Già — disse lei. — E adesso si tratta di farli.

FINE