Lanciava continue occhiate a Valery, sperando che dicesse qualcosa che lo aiutasse a cominciare. Ma lei sembrava prendere particolarmente gusto al suo disagio disperato.
Come sempre, il dottor Loring monopolizzava la conversazione. E se di solito Larry non aveva difficoltà ad ascoltare i suoi sproloqui facendoli entrare da un orecchio e uscire dall’altro, quella sera stava sulle spine. Cristo, se stesse zitto un momento!
Fu la signora Loring a venirgli in aiuto, alla fine. Era lei il modello da cui Valery aveva preso la bellezza, ed era ancora bella, nonostante l’età, ed era forte e vitale. Aveva gli stessi capelli biondo acceso di Valery e gli stessi occhi scintillanti.
Posò una mano sul braccio del marito e disse, interrompendolo: — Che ne diresti di accompagnare il dessert con un po’ di vino? Ce n’è ancora in quella tua bottiglia?
Il dottor Loring la guardò incerto. — Be’… sì, se credi… è che…
— Lo so, lo teniamo per le occasioni speciali — disse la signora Loring. — Ma questa è un’occasione speciale, no? Non capita tutti i giorni che si elegga un nuovo presidente.
Il dottor Loring spinse indietro la sedia per alzarsi, e allora Larry colse la palla al balzo. — L’occasione è doppia… Io e Valery abbiamo deciso di sposarci. — Lo disse tutto d’un fiato.
— Cosa? Voi due… — Il dottor Loring trasecolò.
La signora Loring non parve affatto meravigliata. — Splendida idea. Ora che sei presidente, puoi infischiartene di quella stupida selezione dell’elaboratore, vero?
Con un sorriso smisurato, il dottor Loring abbrancò la mano di Larry, e scuotendola con forza disse: — Congratulazioni. Sono contento, contentissimo!
Larry si sentì alleggerito di mille chili. Guardò Valery: sua madre la baciava sulla guancia, ed erano tutt’e due raggianti.
— Il vino — disse il dottor Loring, lasciando finalmente andare la mano di Larry. — Altroché se è un’occasione speciale! — Si alzò dalla tavola e s’avviò ondeggiando verso il cucinino, dove aprì un armadietto borbottando: — Dovrebbe essere qui.
— Mi fa tanto piacere, davvero — disse la signora Loring con voce pacata. — So che Valery vuole un bene dell’anima a Dan… ma tu sei sempre stato il preferito…
Larry sorrise goffamente, ma il pensiero di Dan lo tormentava. Prima la presidenza, ora Valery. Mi odierà. E ne ha tutte le ragioni.
Valery disse: — Ci ho pensato su, e credo che sia meglio aspettare a dire a Dan… di noi. In questo momento è già abbastanza scosso.
La signora Loring annuì. — Sì, hai ragione.
— Mah… io non… — fece per obiettare Larry.
Valery gli scoccò uno dei suoi più bei sorrisi. — Lascia decidere a me, Larry, per favore. Sta passando un brutto momento, e sarebbe crudele dargli anche questo colpo.
— È crudele anche lasciargli credere…
— So io quello che devo fare.
— Però…
— Per favore.
Larry cedette. — Va bene. Ma non far durare troppo la finzione. Più la tiri per le lunghe e peggio è.
— Io lo conosco e so come trattarlo — disse Valery.
Il dottor Loring pescò una bottiglia verde dal fondo dell’armadietto. — Ah ah! — Alzò la bottiglia tenendola per il collo. — Non ne è rimasto molto, ma un brindisi alla coppia felice lo rimedieremo.
Larry sorrise, anche se in quel momento non si sentiva particolarmente felice.
IV
Dan Christopher fluttuava in stato di quasi totale assenza di peso, nella torretta d’osservazione al centro dell’astronave.
Non c’era un alto e un basso. O meglio, l’alto e il basso potevano essere dovunque, a seconda del punto di vista. In quel momento, Dan guardava una stella particolarmente brillante, che spiccava tra le altre, spruzzate a milioni, come polvere lucente, nel nero infinito dello spazio. E guardandola attentamente, vedeva che non era una stella ma due, le componenti del sistema triplo di Alpha Centauri. La meta del viaggio.
Indietro, molto indietro, a quasi quarantamila miliardi di chilometri, se si era tanto sciocchi da esprimere così le distanze interstellari, c’era il Sole, e la Terra.
Faceva freddo nella torretta d’osservazione, il freddo mortale del vuoto che filtrava dal vetroplastica. Dan si strinse addosso la tuta termica.
— I sogni — mormorò fra sé. — Se solo riuscissi a non sognare più.
Non ne aveva parlato con nessuno. I medici non volevano dimetterlo dall’infermeria, ma lui li aveva convinti. Stava perfettamente bene, a parte i sogni. E per tutta la settimana dopo la morte di suo padre, aveva trovato la forza di sognare senza urlare, senza nemmeno agitarsi nel sonno. La mente può dominare il corpo, si diceva, può farne quello che vuole. Rabbia e terrore, li aveva sepolti dentro, e li sentiva ribollire. Ma nessuno se n’era accorto, nemmeno i medici, anche se erano stati riluttanti a dimetterlo.
Sentì il sibilo di un portello che si apriva alle sue spalle. Si voltò e nel debole chiarore delle luci antiriflesso distinse la sagoma tozza di Joe Haller, che entrò nella torretta a testa in giù e, sempre capovolto, avanzò fluttuando a mezz’aria, raddrizzandosi lentamente man mano che si avvicinava.
— Ah, sei qui — disse Joe.
— Sono qui.
— Ero passato a trovarti in infermeria, ma i medici mi hanno detto che ti avevano dimesso. T’ho cercato per tutta l’astronave…
— Mi sono rintanato qui a pensare.
— Fa un freddo cane. Dobbiamo riparare alla svelta il generatore centrale. Ne avremo bisogno quando arriveremo ad Alpha C.
— Ce la farete a ripararlo in tempo?
— Sì, credo di sì… se non incontriamo ostacoli imprevisti.
Dan annuì. — Com’è che ha smesso di funzionare? Hai poi scoperto la causa del guasto?
— Usura, più che altro. Non si può far funzionare una macchina cinquantanni senza logorarla. Anche se non ha parti mobili.
— Non era revisionato regolarmente?
— Sì, certo… però il materiale isolante e alcuni collegamenti elettrici non sono stati cambiati dal primo giorno.
Dan rimase pensieroso un momento, poi chiese: — Non avete trovato indizi di… danneggiamento?
— Danneggiamento?
— Sì, intenzionale. Sabotaggio, insomma.
Pur nella luce fioca, Dan vide Joe rimanere a bocca aperta. — Sabotaggio? Chi mai si sognerebbe di fare una cosa simile?
— Non avete trovato nessun indizio?
— Veramente non ne abbiamo cercati. Stiamo impazzendo per vedere di aggiustare quel maledetto arnese. Non abbiamo tempo di metterci anche a fare i poliziotti dilettanti.
— Dunque è possibile che il generatore sia stato sabotato.
Joe scosse la testa e, nella gravità zero, con quel movimento si spostò tutto il corpo. — Ma chi potrebbe avere avuto interesse a fare una cosa simile? È un tagliarsi la gola da sé. Abbiamo tutti bisogno dell’energia elettrica…
Dan gli voltò le spalle e tornò a guardare le stelle. La stella doppia, vicina, ammiccante.
— Una cosa tira l’altra — disse. — Il generatore centrale salta, e questo determina un sovraccarico di lavoro per le unità ausiliarie. I circuiti dello spazio crionico si surriscaldano, e scoppia l’incendio. Mio padre muore, io sono ricoverato in infermeria, e il Consiglio elegge il nuovo presidente.
— Ti rendi conto di quello che stai dicendo? — La voce di Joe era appena udibile, scioccata.
Dan annuì, cupo. — Me ne rendo conto, ed è per questo che lo dico a voce bassa, qui e soltanto a te. Se avessi qualcosa di più che brutti sogni e brutti pensieri, lo urlerei all’altoparlante, e inseguirei gli assassini con qualunque arma trovassi a portata di mano.
— Gli assassini? Dan… ma dici cose pazzesche!