All’intersezione, il loro corridoio proseguiva in avanti, mentre l’altro girava nelle due direzioni seguendo la curvatura dello scafo e permettendo la visibilità per una ventina di metri. Proprio all’estremità in cui potevano spingere lo sguardo, in tutte e due le direzioni, si vedevano le aperture di due corridoi paralleli al loro.
— Imboccando uno di quei corridoi — disse Hollis — e poi girando alla prima intersezione, ci dovremmo incontrare con il colonnello e Berryman.
— Volete tentare? — domandò McCullough.
— No.
Il fisico cominciò a prendere note sul blocco degli appunti, e McCullough rimase a guardia dei quattro corridoi. Ma non vennero disturbati da nessuno; dopo un po’, la voce del colonnello ordinò loro di tornare alla camera stagna.
Dieci minuti dopo uscivano tutti dall’Astronave e si dirigevano verso una delle grandi cupole trasparenti, per osservarle da vicino. Hollis stava letteralmente balbettando d’eccitazione, al pensiero di trovarsi di fronte a un autentico generatore iperspaziale. Walters, dal P-Due, gli ricordò che, probabilmente, aveva una potenzialità di parecchi milioni di volt. McCullough non disse niente e pensò alla voce del colonnello Morrison.
Morrison aveva l’irritante abitudine di usare un volume di trasmissione troppo alto, e la sua voce sembrava più una scarica di fulmini che non la voce di un comandante. Ora, però, il dottore cominciava a domandarsi se il volume eccessivo, e forse anche un accorto uso del controllo di tono per far sembrare la voce più profonda, non fossero la sola causa che faceva apparire Morrison secco e autoritario. Certo, la diversità tra la sua voce naturale e quella trasmessa dalla radio era sorprendente. McCullough ebbe la sgradevole sensazione che, in una conversazione faccia a faccia, il colonnello si doveva giocare buona parte della sua autorità, ogni volta che apriva la bocca.
Evidentemente il Morrison che lui, Berryman e Walters avevano conosciuto come voce dal P-Uno era molto diverso da quello conosciuto da Drew e da Hollis, in modo diretto, sullo stesso scafo del colonnello. Cominciava a diventare molto facile credere Morrison capace di spettegolare come una vecchia con Drew, senza badare a Hollis, e lasciando che il fisico precipitasse in quello spaventoso stato in cui McCullough lo aveva trovato dopo il suo viaggio attraverso lo spazio.
Nello stesso tempo, McCullough comprese che doveva guardarsi dai troppo improvvisi capovolgimenti di sensazioni. Una debolezza inaspettata, specialmente in una materia tanto suscettibile alle interpretazioni sbagliate quale il giudicare il tono di voce, non significava automaticamente che il colonnello fosse un uomo debole, inefficiente, inadatto al comando, e che quindi non avesse alcun diritto alla loro obbedienza.
McCullough pensò al colonnello durante tutto il tragitto compiuto per giungere al portello successivo.
Questa volta il gruppo rimase nella camera stagna soltanto pochi minuti, e non penetrò nel corridoio. L’accesso allo spazio tra la fusoliera esterna e quella interna era costituito da una semplice porta scorrevole, non pressurizzata; l’aria che si trovava dall’altra parte era identica a quella del corridoio. Cavi, tubi, e misteriose scatole sporgevano da tutte le parti, in mezzo alla foresta delle intelaiature, tranne nel punto in cui una sottile scala di rete si allungava in una specie di galleria scavata nella giungla metallica. All’altra estremità della scala, la pila del colonnello illuminò un ingresso che, se i loro calcoli erano esatti, doveva dare accesso a una delle cupole.
— Ciascuno usi la propria pila — ordinò Morrison — e che nessuno si allontani dalla scala. Potremmo accidentalmente provocare un corto circuito e ucciderci.
— Non credo — obiettò Berryman. — I cavi sembrano tutti molto bene isolati.
— Lo penso anch’io — disse Hollis. — Comunque, ci conviene esaminare i segni codice sui cavi che entrano nella cupola e stabilire quali sono quelli dell’impianto d’illuminazione, del circuito degli strumenti, e dei condotti di energia.
— Siate molto prudenti — insistette il colonnello. — Drew rimane a guardia della camera stagna. Gli altri mi seguano.
Due giorni prima, Berryman avrebbe ribattuto alle parole di un colonnello del genere, pensò McCullough; ma non Hollis.
L’atmosfera rimase tesa fino a quando non ebbero superato il portello per entrare nella cupola. All’interno, scoprirono che non esisteva atmosfera. Il fatto non sorprese Hollis, il quale spiegò di essersi aspettato che i generatori operassero nel vuoto. Pochi minuti dopo, scoprirono che il vuoto era mantenuto nella cupola da aperture sullo spazio. Quelle aperture nel materiale trasparente erano però troppo piccole per il passaggio di un uomo, e forse anche per quello di uno straniero, pensò McCullough. La luce del sole penetrava attraverso la plastica trasparente e si rifletteva in modo sbalorditivo sui metalli e sul materiale simile a ceramica azzurra che li circondava. I due scafi-P erano chiaramente visibili contro il cielo nero, e la cupola non costituiva un ostacolo alle comunicazioni.
— Nella sala ci sono dei cavi scoperti — avvertì il colonnello, seccamente. — Quindi state molto attenti.
— Sì, signore — rispose Hollis. — Comunque, non credo che costituiscano un pericolo… Il generatore non è acceso. Tra l’altro, ci vorranno settimane per esaminare la sala con attenzione, e mi piacerebbe poterlo fare senza correre rischi.
La sua idea era di mettere in corto circuito i cavi elettrici nel punto in cui entravano nella cupola. Era assolutamente certo che il generatore doveva avere fusibili e dispositivi di sicurezza in grado di proteggere la complessa apparecchiatura. Se fosse stato lui a costruire il generatore avrebbe provveduto in tal senso. Hollis non ritenne necessario far notare che l’intricato apparecchio non era costruito rozzamente: sembrava montato con la precisione degli orologiai.
Era anche possibile che il generatore non potesse entrare in funzione qualora dei corpi estranei, i loro, per esempio, si fossero trovati nella cupola. Hollis disse che avrebbe esaminato quella sala con molta maggiore tranquillità, sapendo di correre meno pericolo di venire colpito da un momento all’altro dall’energia degli stranieri.
— Siete voi il fisico — disse il colonnello. — Io, però, sono convinto che se smontiamo uno dei loro generatori, diventeranno furiosi. Molto più di quanto non lo siano diventati per aver sentito sbattere una porta.
Al posto delle reti, attorno e in mezzo alla massa dei macchinari che si trovavano nella cupola, si stendeva una specie di scala di plastica sottile, che terminava a forma di gigantesca racchetta. Era evidente che, in quel luogo, doveva lavorare più di uno straniero. Hollis esaminò gli apparecchi senza parlare; aprì bocca solo per dire in tono eccitato a McCullough che la sua macchina fotografica conteneva le più preziose fotografie mai scattate.
McCullough lo ascoltò distrattamente. Aveva la sensazione che gli altri si fossero lasciati trasportare troppo dall’entusiasmo, e che nessuno si preoccupasse minimamente di quanto potevano pensare i padroni dell’Astronave: sembravano tutti propensi a dimenticare dove si trovavano. Forse volevano proprio dimenticarlo. L’entusiasmo e la mancanza di preoccupazioni favorivano il compimento del lavoro.
Però, McCullough era convinto che sarebbe stato meglio interrompere il lavoro e considerare attentamente il da farsi.
Erano tutti consapevoli, però, di aver commesso un errore, affrontando la situazione in quel modo. Avevano danneggiato la proprietà degli stranieri, e si erano resi colpevoli di sconfinamento. Le loro intenzioni non erano cattive, certo; ma questo poteva anche non essere compreso dagli stranieri.