Qualche minuto più tardi, mentre gli altri due lo aiutavano a togliersi la tuta, Walters disse seccamente: — Anche il colonnello si mette a fare lo psicologo, adesso!
E Berryman soggiunse: — Il fatto è che il club di psicologi non è sufficientemente riservato ai soci. Vero, dottor McCullough?
Ma il comandante pilota si sbagliava; McCullough apparteneva, in quel momento, al più esclusivo circolo della Terra: a un circolo riservato soltanto a quegli individui selezionati che, a un certo punto, avrebbero lasciato il suddetto pianeta. E, come in tutti i buoni circoli, o negli ordini monastici, o nell’esercito, c’era un certo numero di regole da seguire. Perché anche in quei giorni i membri di un equipaggio potevano trovarsi in guai seri, molto seri.
Quando succedeva una cosa del genere, loro dovevano seguire delle regole stabilite in precedenza da un certo numero di soci fondatori che si erano già trovati in situazioni del genere. Dovevano parlare con calma e mantenere il controllo dei nervi fino al momento di avere persa ogni speranza; poi, magari, rompere le radio per impedire che mogli e amici venissero afflitti dalle loro disperate richieste di aiuto in un momento in cui nessuno avrebbe potuto aiutarli; per esempio, quando finivano le riserve d’aria, o quando i veicoli cominciavano a fondersi durante le fasi di un rientro.
Durante i cinque mesi e mezzo che occorrevano per raggiungere l’Astronave, loro avrebbero mangiato, dormito, parlato e sudato a pochi centimetri uno dall’altro. McCullough si domandò se le regole del circolo, o lo spirito di corpo o qualsiasi altra qualità particolare, avrebbero impedito a quegli uomini di suicidarsi per cupa solitudine, o di uccidersi l’un l’altro per profonda noia, o di impazzire e morire per ragioni che loro non avrebbero neppur lontanamente potuto immaginare.
McCullough sperava di sì: anzi, ne era quasi certo.
2
O il Progetto Prometeo era il risultato di un modo di pensare contorto, o vi avevano introdotto una tale molteplicità di obiettivi, da far pensare che anche chi li aveva studiati non ne sapesse esattamente lo scopo.
La fretta con cui era stata preparata l’operazione e il fatto che i due scafi fossero originariamente destinati alla funzione di laboratori abitati, ideati per le osservazioni di Deimos, giustificava in parte il fatto che le istruzioni date a McCullough fossero un’accozzaglia di dati insufficienti formulati in un linguaggio poco chiaro.
Lui poteva capire le ragioni dei capi e anche provare simpatia per i loro problemi. La presenza di un’astronave straniera oltre l’orbita di Marte era un enigma. Per risolverlo, disponevano solo di due piccoli e fragili scafi, spaventosamente inadeguati, e di sei uomini. Per arrivare alla soluzione più completa possibile, i sei uomini dovevano possedere le più ampie capacità fisiche e sociali. Dato che l’Astronave era ovviamente il prodotto di una cultura altamente avanzata, il sapere dei sei uomini doveva essere completo e molto esteso.
Scegliere sei uomini sani, resistenti, dotati di grande intelligenza, in grado di sopravvivere al più lungo viaggio della storia umana e di rispondere alle domande che sarebbero state loro formulate al rientro, non fu un compito facile, perché a quegli uomini bisognava accordare la più cieca fiducia. Per quanto fossero state migliaia le persone scientificamente qualificate che avevano fatto domanda di partecipare al viaggio, l’ultima parola toccò, come al solito, al medico spaziale.
Al posto di sei riconosciuti geni della Terra, vennero scelti quattro astronauti esperti e due ancora in addestramento, poco conosciuti negli ambienti scientifici, ma molto rispettati dagli amici. Tutto ciò che si poteva dire di loro, era che avevano buone probabilità di sopravvivere al viaggio.
McCullough, secondo Berryman, era stato condizionato dalla ripetuta vista di gente che roteava nelle centrifughe. Hollis, il novellino dello scafo di Morrison, era un fisico che lavorava allo sviluppo dei reattori nucleari destinati agli scafi spaziali. Tutti e quattro i veterani avevano detto, a modo loro, a Hollis e a McCullough, di approvare la scelta fatta, anche se forse mentivano diplomaticamente. Al ritorno sarebbero diventati famosi come nessuno avrebbe mai potuto sperare di essere.
Berryman tossì rumorosamente, e riportò di colpo i pensieri di McCullough al presente.
— Io proporrei di seguire il consiglio, dottore — disse. — Sono trascorse trentuno ore, dal nostro ultimo sonno. Tra l’altro, al nostro risveglio lo troveremo ancora.
— Che cosa? — domandò Walters.
— Il vuoto — rispose Berryman. — Milioni di chilometri di vuoto.
— Segui il consiglio — disse Walters. Sospirò e chiuse di colpo gli occhi.
Quando rimasero in silenzio, aspettando che i sonniferi facessero effetto, McCullough tornò col pensiero al quasi ridicolo problema di quella gente che aveva insistito, erroneamente, nel dire che i suoi compagni di viaggio erano sotto la sua responsabilità. A lui piaceva pensare che le sue qualifiche professionali fossero necessarie al successo del viaggio, che avrebbe trascorso il suo tempo in osservazioni dettagliate e nella valutazione dei dati raccolti sulla fisiologia, la sociologia e la psicologia degli extraterrestri, benché lui non fosse uno psicologo. Ma, a parte i cinque nomi, le facce, i toni di voce, e i gradi militari, McCullough sapeva ben poco di coloro che erano suoi compagni di viaggio e potenziali pazienti.
Fondamentalmente erano degli introversi. Un astronauta non ha motivo di non esserlo. Sia il capitano Berryman, sia il maggiore Walters, avevano dimostrato grande rispetto e considerazione nei suoi confronti.
Del colonnello Morrison, McCullough, poteva dire soltanto che era cortese, ma riservato; non aveva avuto molti contatti con lui. La stessa cosa valeva per il maggiore Drew. Il terzo membro dell’equipaggio di Morrison era il fisico, il capitano Hollis. Il suo grado, come quello di McCullough, non aveva un grande significato. Con tutta probabilità, li avevano promossi allo scopo di semplificare gli incartamenti militari e facilitare la loro assegnazione all’impresa. Hollis parlava poco, sempre a bassa voce, quasi con vergogna. Forse aveva preso questa abitudine giocando a scacchi o riparando gli apparecchi TV degli amici.
Quanto a se stesso, il tenente colonnello McCullough, sapeva di avere una personalità piuttosto complessa che aveva creduto di capire fino al giorno in cui si era presentato volontario per quella missione. In quel periodo stava frequentando i corsi di addestramento MOL, e, nelle sue intenzioni, sarebbe dovuto un giorno salire con un certo numero di animali da laboratorio su una delle stazioni orbitali e studiare i processi della vita nelle condizioni di mancanza di peso. Come gli altri, anche lui non era sposato. Questa era probabilmente un’ottima cosa, nonostante la convinzione generale che il matrimonio potesse dare agli astronauti una maggiore forza e stabilità emotiva; ma la missione Prometeo poteva trasformarsi in un suicidio.
McCullough si rigirò nella cuccetta, benché in condizioni di mancanza di peso qualsiasi posizione fosse comoda. Oltre l’oblò, la Terra era una massa scura; le nuvole e la linea dei continenti erano grigie e indistinte. Le stelle sopra l’orizzonte e le luci delle metropoli brillavano con la stessa intensità, tanto che l’intero pianeta sembrava trasparente e privo di sostanza, come un mondo di ectoplasma.
Mentre si abbandonava al sonno, McCullough pensò fantasiosamente che forse, mentre non guardava, era scoppiata la guerra totale che aveva distrutto il mondo intero; e ora, a orbitare attorno al Sole c’era soltanto un fantasma grande quanto il pianeta…
Ma quando si svegliò qualche ora dopo, la Terra era tornata a essere una sfera luminosa e solida, grande appena quanto la circonferenza dell’oblò.