Выбрать главу

La teoria di McCullough e dei suoi compagni era che l’Astronave fosse una specie di laboratorio interstellare, carico di animali da esperimento, i quali erano sfuggiti al controllo e avevano sopraffatto e ucciso l’equipaggio. Poteva anche darsi che non ci fosse mai stato un equipaggio, e che le apparecchiature destinate al mantenimento della vita e l’impianto di illuminazione interno, fossero inizialmente serviti ai costruttori durante il montaggio del vascello per essere alla fine usati dagli animali caricati a bordo. In base a queste considerazioni, gli astronauti si sentivano liberi di combattere una guerra difensiva contro le forme di vita straniere che infestavano l’Astronave, per poter fare i rilievi, fotografare, e studiare con tutta tranquillità i macchinari dello scafo e le loro funzioni.

Comunque, avrebbero dato priorità alle ricerche sul sistema di procurare i mezzi di sostentamento usato dagli stranieri. La ragione di questo, come avevano già spiegato, stava nel fatto che l’acqua usata dagli uomini costretti a vivere sull’Astronave si perdeva quasi completamente, dal momento che se ne poteva recuperare soltanto una piccola parte, da filtrare negli apparecchi di rigenerazione degli scafi-P.

— L’acqua viene minuziosamente razionata — continuò McCullough — e al nostro ritmo attuale di consumo la riserva ci potrà bastare per trentadue giorni. Questo ci porta tre giorni oltre l’arrivo dello scafo di rifornimento; ma questo scafo porterà soltanto una riserva per quaranta giorni. Un calcolo molto semplice ci dimostra che, se non possiamo riportare tutti gli uomini sugli scafi-P, dove è possibile rigenerare l’acqua, il nostro problema di scorte è logisticamente insolubile.

“Abbiamo già intaccato le riserve di cibo destinate al viaggio di ritorno” concluse McCullough con amarezza “e se non possiamo trovare delle risorse d’acqua, ci sarà impossibile fare ritorno a casa.”

McCullough non aveva da temere la reazione del generale Brady a questo suo ultimo rapporto. Di lì a poche settimane, la Terra e Prometeo sarebbero passati dietro il Sole. Il veicolo ripetitore, destinato a ovviare a quell’inconveniente non era ancora operante, e i messaggi in arrivo venivano resi quasi incomprensibili dalle interferenze.

Non del tutto, naturalmente. Walters, chiedendo al Controllo di ripetere ogni frase almeno una decina di volte, riusciva quasi sempre a ricomporre un messaggio completo. Walters, al contrario di McCullough, non aveva niente di meglio da fare, e un segnale, quando doveva essere ripetuto tante volte, perdeva in qualche modo tutto il suo contenuto d’importanza e di carica emotiva.

Il razzo ad alta accelerazione con i rifornimenti si unì al P-Uno nel momento calcolato. Oltre all’acqua, conteneva una riserva di cibo per venti giorni, pellicole, carta, e una tuta lacera, accuratamente impacchettata. Qualche bene intenzionato, forse d’impulso e senza pensare ad avvolgere l’arma nel modo dovuto, aveva infilato una .45 automatica nella tuta; i quaranta g di accelerazione del veicolo di rifornimento e la pesante pistola avevano prodotto nella tuta un ampio squarcio all’altezza dell’anca rendendola completamente inutilizzabile.

Gli astronauti avevano perso una tuta ed erano entrati in possesso di una pistola priva di munizioni.

La linea di ricerche prese la forma di una spirale piatta che si snodava lentamente e avanzava più lentamente ancora lungo l’asse laterale dell’Astronave. A intervalli regolari, il gruppo stabiliva delle basi provvisorie per compiere le ricerche entro un raggio di venticinque metri o più, secondo le possibilità di sistemazione e le eventuali ostilità da parte degli esseri extraterrestri. Una volta conclusa la spirale di ricerche, nella mappa tridimensionale che stavano costruendo sarebbero sempre rimaste delle ampie zone inesplorate.

Gli astronauti trovarono soltanto magazzini e compartimenti pieni di utensili le cui forme e i cui scopi divennero loro a poco a poco familiari; dappertutto erano presenti corridoi tappezzati di reti che congiungevano i vari locali. Era evidente che gli alloggi dell’equipaggio, se esistevano, e gli impianti destinati al mantenimento della vita, con tutte le altre apparecchiature essenziali, si trovavano nelle profondità ancora inesplorate dello scafo.

— Non conviene allontanarci dalla fascia esterna e perdere il contatto con i nostri scafi — disse il colonnello, durante una sosta tra una sortita e l’altra effettuate per completare una piccola sezione della mappa — però mi sembra che ci siano periodi in cui il rischio è minore. Forse avrete notato che, ogni cinque o sei ore, l’attività degli stranieri e il loro numero diminuiscono sensibilmente. Supponendo che questo fatto sia dovuto alla loro periodica alimentazione, noi potremmo approfittare di questi momenti per spingere le nostre ricerche nelle profondità dello scafo. Potremmo anche fare il tentativo di seguire uno degli stranieri tenendoci a distanza di sicurezza, nella speranza che ci porti alla fonte del cibo e dell’acqua.

— Le assenze degli extraterrestri non sono completamente regolari — fece osservare Hollis. — Alcune sono più lunghe. Forse si tratta dei periodi di riposo, dopo un certo numero di pasti. Questo può essere un dato molto importante per calcolare la lunghezza del loro giorno e la rotazione del loro pianeta d’origine.

— Personalmente — intervenne Drew con impazienza — preferisco raccogliere dati che ci possono aiutare a sopravvivere. Per esempio, se uno di noi dovesse perdere l’arma, ne sappiamo a sufficienza sulla struttura fisica degli extra-T, per usare un qualsiasi colpo di karate? Mi spiego meglio, dottore. Qual è il loro punto più delicato, quello in cui si può ficcare la punta dello stivale?

McCullough glielo disse, con una certa riluttanza.

Non cercarono di uccidere di proposito gli stranieri, tranne quando venivano attaccati da quelli di Tipo Due, cosa che accadeva spesso. Una volta uccisero un Due che mostrava chiaramente di essere stato parzialmente divorato. Hollis disse che si trattava di un altro dato molto importante a conferma della teoria di McCullough, e cioè che gli extra-T fossero animali da laboratorio, e non esseri razionali.

Il riconoscimento non diede a McCullough molta soddisfazione, perché proprio in quel momento lui stava elaborando una nuova teoria, basata sulla supposizione che l’Astronave avesse sofferto una specie di catastrofe immateriale: per esempio, l’oppressione psicologica di un viaggio troppo lungo, che aveva fatto impazzire l’equipaggio: i Tipo Due potevano essere gli ultimi superstiti, oppure i discendenti dell’equipaggio originale, ormai ridotti allo stato di animali selvaggi.

Non parlò agli altri della sua nuova teoria per non turbarli maggiormente.

Hollis e Berryman stavano diventando degli esperti nell’identificare e nel seguire i cavi di energia e quelli di controllo, senza peraltro sapere cosa rifornissero o comandassero quelle linee. Secondo loro doveva essere possibile utilizzare uno dei circuiti per far giungere i messaggi radio dalle profondità dello scafo, fino al metallo della carenatura esterna. In effetti, i circuiti o le tubature avrebbero funzionato da estensione delle antenne delle loro tute. E, dato che i segnali sarebbero stati impulsi di radio frequenze, anziché flussi di corrente, non c’era pericolo di danneggiare le linee di controllo o i meccanismi degli stranieri.

Allo scopo di sperimentare quella possibilità, e per avvicinarsi al luogo in cui i Tipo Due si nutrivano, la base successiva venne stabilita a circa quaranta metri nell’interno dell’Astronave.

Era un grande compartimento, dalle pareti grigie, pieno delle ordinate masse di tubature e dei soliti armadietti chiusi, che sporgevano da tutti e sei i lati. Una rapida perlustrazione garantì agli astronauti che era deserto; McCullough si mise di guardia all’unica entrata costituita da una porta scorrevole, e non a pressione come quelle della zona esterna. Hollis, Berryman e Drew, ondeggianti uno vicino all’altro, cominciarono una discussione per stabilire se l’ultimo Due fosse stato ucciso per difesa personale, o se lo avessero ucciso prima di venire attaccati. Cominciarono a parlare ad alta voce, con foga, sentendosi evidentemente al sicuro da ogni pericolo. Improvvisamente, un Due che si era tenuto nascosto chissà dove, piombò in mezzo a loro.