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Cercò disperatamente di riprendere il controllo di se stesso, in ogni senso.

Ma, per qualche strana ragione, il suo corpo era andato oltre il governo della sua mente, proprio come i diversi strati della sua mente avevano superato il controllo della sua volontà.

Sentiva, anziché pensare. Aveva l’impressione di essere un’enorme spugna asciutta che si imbeve fino a saturarsi di solitudine. La solitudine puramente soggettiva del sentirsi solo e ignorato in mezzo a una folla, la grande solitudine del trovarsi su una spiaggia deserta, dove gli insensibili fenomeni naturali del vento e delle onde premono tutto attorno, e la spaventosa sensazione di solitudine che prova un bambino nel buio della notte, quando crede, a torto o a ragione, di essere indesiderato e senza affetti. McCullough provava un senso di solitudine distillato, concentrato e perfettamente raffinato. Ogni sensazione provata nelle sue precedenti esperienze, appariva al confronto con questa, una leggera scottatura solare confrontata con le ustioni di terzo grado.

Si rannicchiò ancora di più, mentre le invisibili stelle continuavano a roteargli attorno e le lacrime calde cercavano di aprirsi un varco tra le ciglia serrate.

Poi la spaventosa percezione di solitudine cominciò a diminuire; o forse era lui che si allontanava da lei. Il roteare senza peso divenne stranamente piacevole: aveva una qualità ipnotica, priva di tempo. La sensazione era paragonabile a quella che si prova un momento dopo un tuffo in acque profonde, quando è impossibile stabilire se si è a testa in giù o meno, e le calde acque del mare sorreggono, proteggono, e stringono…

— Dite qualcosa! — gridò McCullough.

— Qualcosa — disse subito Berryman.

— Siete in difficoltà, dottore? — domandò Morrison.

— No… non proprio, signore — rispose McCullough. — Comunque… adesso sto bene.

— Meno male. Io pensavo che foste addormentato… Siete rimasto in silenzio per oltre due ore. A questo punto dovreste già vedere il nostro scafo.

McCullough allargò le gambe e le braccia per rallentare la rotazione. Le stelle spuntarono maestose dall’alto del visore, raggiunsero il centro, e lentamente scesero per scomparire dietro il bordo inferiore. Quando comparve il sole, McCullough mise una mano davanti agli occhi per proteggere la vista e continuò a scrutare il cielo. Ma i due oggetti che scorse erano troppo luminosi per essere degli scafi. Probabilmente erano Sirio e Giove; ma lui era ancora troppo disorientato per poterlo stabilire con esattezza.

— Non riesco a trovarvi.

Doveva esserci una traccia di panico nel tono della sua voce, perché Morrison rispose all’istante.

— Va tutto bene, dottore. Sul nostro radar vediamo il P-Due con estrema chiarezza. Se foste di molto fuori rotta vedremmo due tracce. Se c’è uno spostamento deve essere minimo. Guardatevi attorno con attenzione.

Passarono circa dieci minuti, poi Morrison fece di nuovo sentire la sua voce.

— Quando vi hanno lanciato, la nostra posizione rispetto al vostro scafo era circa dieci gradi in basso e quindici a destra della stella centrale nella metà destra della W di Cassiopea, oppure in alto e a sinistra della stella centrale a sinistra, nel caso siate rovesciato e vi sembri una M. Usate Cassiopea come punto di riferimento e spostate le ricerche seguendo la linea Perseo, Andromeda e Cepheus… Avete capito? Più vicino siete, più grande può sembrare il nostro spostamento apparente.

“A questo punto dovremmo essere l’oggetto più luminoso in vista. Fra sette minuti e mezzo vi conviene iniziare la decelerazione…”

Se non avesse decelerato, McCullough sarebbe finito oltre il P-Uno, forse anche senza nemmeno vederlo. Ma se avesse decelerato senza vederlo e avesse usato la spinta dei suoi reattori per dirigersi verso la sezione di cielo indicata, correva il pericolo di avviarsi su una rotta tangente o di superare lo scafo a una velocità doppia di quella attuale. In questo caso, dubitava moltissimo che la riserva di aria e la carica dei reattori sarebbero state sufficienti a permettergli di tornare verso lo scafo.

McCullough cercò di non pensarci. Si concentrò tanto da non accorgersi subito di avere nuovamente le ginocchia schiacciate contro lo stomaco e le braccia intrecciate sul petto, e che le stelle gli stavano girando vorticosamente attorno come una tormenta di gioielli. Lanciò un’imprecazione e si allargò ancora una volta a stella di mare, poi concentrò la mente sui cieli che roteavano attorno a lui, e cercò di mettere un certo ordine in quella che era diventata una massa di luci indistinte. Guardò le stelle a testa eretta, poi cercò di immaginarle rovesciate: a poco a poco riuscì a distinguere le forme dei Cacciatori, degli Arcieri, e dei Granchi. Improvvisamente, si rese conto che, oltre a rotolare su se stesso, si era anche girato di fianco; riuscì infatti a identificare Capella, sulla propria sinistra.

Capella si era unita a un compagno molto strano.

McCullough si allineò il più rapidamente possibile con l’oggetto spaziale e infilò le mani e i piedi nelle maniglie e nelle staffe. Poi disse: — Vi ho visti. Comincio la decelerazione.

— Fra otto secondi, dottore. Devo dire che avete fatto appena in tempo… Adesso!

Poco dopo Morrison disse: — Vediamo la fiamma dei vostri reattori, dottore. Ottimo lancio, P-Due.

Dall’altro scafo giunsero le voci di Berryman e di Walters che volevano fare i modesti. Il pericolo precalcolato di decelerazione terminò, e McCullough venne a fermarsi a circa trecento metri dall’altro scafo, dove due uomini stavano già uscendo dal portello. Puntò con precisione e riaccese i reattori per dirigersi lentamente verso lo scafo.

— Dottore — disse Morrison — come sapete, all’interno c’è pochissimo spazio; così, mentre voi date un’occhiata al capitano Hollis, Drew e io restiamo all’esterno a montare il tubo di lancio per il vostro viaggio di ritorno. Fate con calma… entro certi limiti, naturalmente. Forse preferite che non ci sia contatto radio durante la visita al paziente; quindi, quando avrete finito, fateci un segnale con la lampada del portello.

Dopo una breve conversazione, McCullough raggiunse il portello e penetrò all’interno. Venne a trovarsi in una cabina perfettamente identica a quella dell’altro scafo. Anche l’odore era identico. L’unica differenza era data dall’uomo disteso nella cuccetta.

McCullough diede a Hollis una lunga occhiata clinica e piena di simpatia; poi sospirò.

— Cosa vi sentite? — chiese senza nessuna originalità.

5

La domanda era semplice, ma McCullough sentiva che la risposta sarebbe stata complessa. Hollis soffriva ed era profondamente turbato.

Naturalmente, a bordo degli scafi della spedizione Prometeo, non c’era la possibilità di fare dei bagni. Gli equipaggi si massaggiavano periodicamente con l’alcol per pulire i pori; poi l’alcol veniva filtrato e introdotto di nuovo nel sistema di circolazione d’aria. I cibi, per quanto mancassero di volume, contenevano tutte le vitamine. Tuttavia, McCullough, mentre sollevava la coperta dalle spalle e dalle braccia di Hollis, si trovò a pensare agli antichi vascelli con l’acqua che marciva nei barili e con gli equipaggi colpiti da scorbuto o da malattie peggiori.

Gran parte del corpo del fisico non aveva evidentemente visto alcol da diversi mesi. La pelle era sporca, secca e squamosa. Le braccia, il petto e le spalle erano ricoperti di macchie dovute a infiammazione e di piaghe che salivano verso il collo e la faccia. Per quanto nell’impossibilità di usare le unghie, era chiaro che Hollis si era continuamente fregato e grattato attraverso la tuta, fino al giorno in cui il suo corpo era diventato una piaga unica.