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— Le ho già detto che va bene. Cosa intende dire per lasciarmi andare? Crede forse di prendere uno schiavo?

Nessuna risposta.

Gli occhi di Jake cercarono quelli del vecchio, restandovi incatenati per qualche secondo. Era uno sguardo sicuro di sé quello che ottenne in risposta, e se non fosse stato dieci centimetri più alto e quarant’anni più giovane forse avrebbe avuto paura. Ma certo, il vecchio era pazzo. Inutile stare a sentire le sue chiacchiere. Peccato. Cinque dollari al giorno erano un’ottima paga, ma cercare di lavorare per uno completamente partito era una pura perdita di tempo. Nulla da fare lì. Nessuna meraviglia che Camilla volesse andarsene.

Jake sospirò e si raddrizzò un poco. Poi guardò Camilla provando pietà per lei. Ma lei sfuggì il suo sguardo. Era spaventata, certo, e neppure questo lo sorprese.

Lui disse: — Me ne vado. Perché non vieni con me, Camilla? Questa è la tua occasione.

Lei parve incredibilmente intimidita. Stava in piedi nell’ombra, immobile, e teneva il cappello avanti a sé girandolo e rigirandolo con entrambe le mani. Quanto finalmente parlò, lo fece con voce davvero sottile: — Jake, io… mi spiace, ma non è possibile andarsene. Devi credermi.

— E perché non è possibile?

Nessuna risposta. — Aspettate e lo vedremo! — esclamò quindi Jake in tono di sfida. — Vieni con me, Camilla. È meglio!

Solo dopo pensò alle complicazioni che poteva portargli quella ragazza. Intanto non potevano andare da nessuna parte se non al campo, e Jake non riusciva a immaginare cosa avrebbe potuto accadere al campo se si fosse fatto vivo l’indomani con una splendida rossa al seguito, dopo esser stato dichiarato disperso tutta la notte. Oh, certo poteva anche trattarsi di un’esperienza interessante, tuttavia le prospettive non erano rosee. Lei non poteva dormire al campo con lui, ma in ogni caso lo avrebbero probabilmente buttato fuori dal Corpo con disonore e lui non aveva lavoro. Ma in quel momento doveva salvare Camilla, portarla via da quel diabolico vecchio.

Camilla esitò solo per un attimo. — Andiamo — disse poi, sorprendendo Jake che ormai credeva di averla persa in cambio di un misero tetto e un pasto sicuro. Ma forse il vecchio Tyrrel era troppo andato anche per lei.

Jake guardò Tyrrel per studiare la sua reazione. Non sembrava affatto il caso di preoccuparsi. La figura coperta di polvere di roccia li osservava con le braccia sempre conserte, in volto un’aria più divertita che arrabbiata. E quindi non sembravano esservi difficoltà in vista. Jake si rilassò un po’. — Mi dica, signor Tyrrel — chiese, indicando le pareti della grotta con un gesto della mano. — Dove ha trovato queste lampade? — Era roba che sembrava uscita da un fumetto di Buck Rogers, e davvero non riusciva a immaginare da dove venisse. Tese l’orecchio in cerca del rumore del generatore, ma tutto ciò che riuscì a sentire fu un vago ronzio a malapena percettibile sopra il costante scrosciare della cascata.

— Da qualche parte negli anni Novanta — fu la risposta. — Adesso non ricordo bene.

— Dove?

Il vecchio Tyrrel non si prese la briga di spiegare. Voltò invece la schiena ai due giovani e si apprestò a dedicare nuovamente la sua attenzione a qualunque cosa stesse facendo prima del loro arrivo. In piedi tra le candide e surreali figure scolpite con pazienza nella nuda roccia, il vecchio scultore afferrò con decisione martello e scalpello e prese a scolpire un nuovo blocco. Rivolgendosi a Jake con voce più rassegnata che ansiosa, Camilla disse: — Sono pronta. Andiamo?

Tyrrel si voltò per guardarli entrambi da sopra la spalla. — Prendete la doppietta — suggerì. — Non si sa mai.

Affatto certo di aver capito bene, Jake lanciò al vecchio un’occhiata interrogativa.

Camilla invece annuì e si voltò, uscendo dalla grotta per dirigersi verso la casa, entrare e uscirne meno di un minuto dopo con una doppietta e nient’altro. La teneva appoggiata alla spalla in modo quantomai casuale, come se fosse abituata a portarsela in giro.

— Andiamo — disse a Jake. Ma lo disse come se non avesse la minima intenzione di abbandonare il vecchio, come se si aspettasse di tornare dopo dieci minuti.

Jake guardò lei, il fucile e Tyrrel. Il vecchio scultore pareva totalmente immerso nel suo lavoro e ignorava la giovane coppia.

Guardando colei che ormai poteva ben considerare la sua ragazza, Jake annuì e si mosse.

Qualche attimo più tardi Jake, con Camilla silenziosamente dietro, iniziò a scendere il piccolo sentiero che si snodava lungo le pareti del canyon costeggiando quel torrente non segnato sulle mappe. Alle loro spalle, sempre più lontano, il ritmico martellare degli strumenti di Tyrrel sulla roccia sembrò quasi dar loro l’addio. Stava completamente ignorando la loro partenza. Meglio così.

Cento metri più a valle, Jake, perplesso e insoddisfatto, si fermò voltandosi verso la sua compagna. — Perché ti ha consigliato di prendere il fucile?

Anche Camilla si fermò — Per difenderci.

— Contro che cosa? Nel Grand Canyon non ci sono animali pericolosi per l’uomo tranne i serpenti a sonagli, e per quelli il fucile non serve a molto. I puma invece girano al largo, almeno quasi sempre.

Lei non rispose.

— Non servirà a difenderti da me, spero…

— Oh Jake, no! Non lo userei mai contro di te, o contro chiunque altro.

Jake sospirò, si voltò e riprese la sua marcia. Avanzando a fatica tra le ombre ormai profonde del ripido sentiero, scendendo ogni tanto qualche scalino naturale tra le rocce, cercò di pensare a come lui e Camilla avrebbero passato la notte sotto le stelle, senza letto né coperta. La prospettiva lo fece sorridere: in due avrebbero trascorso quella notte molto meglio di quanto potevano mai sperare di trascorrerla da soli. Poi l’indomani avrebbero pensato a cosa fare.

Avevano disceso le ripide pareti del canyon per circa un miglio, con Camilla sempre in silenzio dietro di lui. Finalmente arrivarono al luogo dove si erano incontrati quella mattina. E subito dopo, Jake Rezner constatò con immensa sorpresa che né il sentiero né il canyon sembravano più gli stessi: una vera assurdità, visto e considerato che si era arrampicato su per quelle rocce poche ore prima. Si chiese brevemente se avessero sbagliato strada, ma quella spiegazione suonò ancora più assurda: esisteva un solo canyon secondario che saliva dal Colorado alla casa del vecchio Tyrrel, un solo sentiero a mezza costa da seguire e un solo torrente che lo affiancava scrosciando e borbottando di continuo.

E tuttavia c’era quella sensazione, anzi, quell’ineffabile e persistente certezza che il sentiero fosse diverso. E non solo il sentiero: tutto sembrava cambiato in qualche modo.

Lui comunque decise di continuare a scendere, cercando con l’orecchio la voce delle acque. Ma quel torrente non aveva nulla da dirgli, proprio nulla.

Cinque minuti dopo il primo palesarsi di quella sensazione, Jake si ritrovò fuori dal canyon laterale, direttamente sulla sponda di un grande fiume turbolento. Esisteva un solo fiume di quelle dimensioni nel raggio di cinquecento miglia, e quindi non ci si poteva sbagliare: quello era il Colorado. Ma allo stesso momento non poteva esserlo. In quel fiume, l’acqua ribolliva per una serie di terribili rapide che cominciavano almeno cento metri più sopra e proseguivano oltre lo sbocco del torrente.

Su entrambe le sponde del fiume, le possenti rupi e le grandi formazioni delle pareti del Grand Canyon torreggiavano su di loro, immote e silenti come sempre.

Immote e silenti, certo, ma non uguali a prima. Solo allora Jake si accorse che c’era qualcosa di sbagliato anche nel canyon. Le pareti, i promontori e persino la forma generale sembravano diversi. Non era… non era profondo a sufficienza, ecco. E sia le rocce che il terreno non erano del colore giusto. Il sole stava tramontando e la luce era cambiata, ma quanto vedeva andava ben oltre qualsiasi illusione ottica immaginabile.